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venerdì 28 febbraio 2025

La purificazione della contaminazione nel cammino giornaliero (2)

Perché dunque non si insiste di più su questa grande verità pratica presso i credenti? Perché siamo così lenti ad esortarci gli uni gli altri secondo la potenza di separazione che la croce di Cristo comporta? Se il mio cuore ama Gesù, non cercherò un posto, una parte o un nome, là ove Egli non ha trovato che la croce d’un malfattore. Caro lettore, è il solo modo di esaminare la cosa. Amate voi realmente Cristo? Il vostro cuore è stato veramente commosso e attirato dal suo meraviglioso amore per voi? Se così è, non dimenticate che egli è stato rigettato dal mondo. Nulla è cambiato. Il mondo è sempre il mondo. Ricordiamoci che uno degli artifizi speciali di Satana è di condurre gli uomini che han trovato la salvezza in Cristo, a disconoscere o a rinnegare la loro identificazione con Lui, nel suo rigettamento — a prevalersi dell’opera espiatoria della croce, pure stabilendosi a loro agio in un mondo colpevole d’aver inchiodato Cristo a quella croce. In altri termini, Satana conduce gli uomini a pensare e a dire che il mondo del ventesimo secolo è del tutto differente da quello del primo secolo; che se il Signore Gesù fosse sulla terra ora, sarebbe trattato ben differentemente di quel che lo fu allora; che il mondo attuale non è pagano, ma cristiano; e che ciò costituisce una differenza tale che ogni cristiano può attualmente accettare un diritto di cittadinanza in questo mondo, avervi un nome, una posizione, una parte.

Ora tutto ciò non è che una menzogna del grande nemico delle anime. Il mondo può aver modificato i suoi costumi, ma non ha cambiato di natura, di spirito, di principii. Esso odia Gesù tanto cordialmente che quando gridava: «Toglilo, toglilo di mezzo, crocifiggilo!». Se giudichiamo il mondo alla luce della croce di Cristo, troveremo che esso è, come sempre, un mondo malvagio, che odia Dio e rigetta Cristo.

Ci sia accordato di comprendere più a fondo la verità presentata dalle ceneri della giovenca rossa! Allora la nostra separazione dal mondo e la nostra consacrazione a Cristo saranno più energiche e più reali. Voglia il Signore, nella sua infinita bontà, che così sia di tutto il suo popolo in questi giorni di falsità, di mondanità e di professione esteriore!

Vediamo ora l’impegno e la destinazione delle ceneri: «Chi avrà toccato il cadavere di una persona umana sarà impuro sette giorni. Quando uno si sarà purificato con quell’acqua il terzo e il settimo giorno, sarà puro; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà puro. Chiunque tocchi un morto, cioè il corpo di una persona umana che sia morta, e non si purifica, contamina la dimora dell’Eterno; e quel tale sarà tolto via da Israele. Siccome l’acqua di purificazione non è stata spruzzata su di lui, egli è impuro; ha ancora addosso la sua impurità» (vers. 11-13).

È una cosa ben seria l’aver da fare con Dio — camminare con Lui giornalmente, in mezzo ad un mondo corrotto e corruttore. Dio non può tollerare alcuna impurità in coloro coi quali si degna camminare e nei quali abita. Egli può perdonare e togliere i peccati; può guarire, purificare e restaurare; ma non può tollerare nel suo popolo, un male che non sia giudicato. Se lo facesse, sarebbe rinnegare il suo nome e la sua natura stessa. Questa verità è ad un tempo profondamente solenne e benedetta. È la nostra gioia aver da fare con Colui la cui presenza reclama e assicura la santità. Noi attraversiamo un mondo, in cui siamo circondati da influenze corruttrici. La vera contaminazione non si contrae, ora, toccando «un morto, o delle ossa umane, o un sepolcro». Queste cose erano, come lo sappiamo, dei tipi di cose morali e spirituali con cui siamo in pericolo d’essere in contatto ad ogni momento.

Non dubitiamo affatto che coloro i quali han molto da fare con le cose di questo mondo, risentano penosamente la grande difficoltà di uscirne con mani pure. Per questo occorre una santa vigilanza in tutte le nostre abitudini e nelle nostre relazioni, per tema di contrarre delle contaminazioni che interromperebbero la nostra comunione con Dio. Egli vuole averci in uno stato degno di Lui: «Siate santi, perché io sono santo».

Ma il lettore serio la cui anima aspira alla santità può chiedersi: Che dobbiamo dunque fare, se è vero che siamo circondati da ogni lato da influenze corruttrici, e se siamo talmente inclini a contrarre questa contaminazione? Inoltre, se è impossibile aver comunione con Dio, quando le nostre mani sono impure e la nostra coscienza ci condanna, che dobbiamo fare? Rispondiamo: Innanzi tutto, siate vigilanti. Contate molto e seriamente su Dio. Egli è fedele e misericordioso — un Dio che ascolta la preghiera e l’esaudisce — un Dio liberale e che non fa rimproveri. «Egli ci accorda una grazia maggiore». Questo è positivamente una carta in bianco su cui la fede può scrivere la somma che desidera. Il desiderio reale dell’anima vostra è forse quello di avanzare nella vita divina, di crescere nella santità personale? Allora badate di non camminare, neppure un’ora sola, in contatto con ciò che contamina le vostre mani, ferisce la vostra coscienza, contrista lo Spirito Santo e distrugge la vostra comunione. Siate energici. Abbiate un cuore diritto. Rinunciate immediatamente ad ogni cosa impura; checché ve ne costi, rinunciatevi; qualunque perdita trascini con sé, abbandonatela. Nessun interesse mondano, nessun vantaggio terrestre può compensare la perdita d’una coscienza pura, d’un cuore tranquillo e del godimento della luce della faccia del nostro Padre. Siete convinti di ciò? Se lo siete, applicatevi a realizzare la vostra convinzione.

Qualcuno potrebbe chiedere ancora: Che cosa si deve fare quando si ha realmente contratto una contaminazione? Come si può toglierla? Ascoltate il linguaggio figurato del capitolo 19 dei Numeri: «Per colui che sarà divenuto impuro si prenderà della cenere della vittima arsa per il peccato, e vi si verserà su dell’acqua di fonte, in un vaso; poi un uomo puro prenderà dell’issopo, lo intingerà nell’acqua e spruzzerà la tenda, tutti gli utensili, tutte le persone presenti e colui che ha toccato l’osso o l’ucciso o il morto o il sepolcro. L’uomo puro spruzzerà l’impuro il terzo giorno e il settimo giorno, e lo purificherà il settimo giorno; poi l’impuro si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua e sarà puro la sera» (vers. 17-19).

Vi è una doppia azione presentata nei versetti 12 e 19; cioè l’azione del terzo giorno e quella del settimo. Entrambe erano essenzialmente necessarie per togliere la contaminazione, contratta nel cammino, dal contatto con le diverse forme della morte specificate più su. Che cosa figurava questa doppia azione? Che cosa ciò corrisponde nella nostra storia spirituale? Senza dubbio questo: allorché per mancanza di vigilanza e di energia spirituale, tocchiamo la cosa impura e in tal modo siamo contaminati, possiamo ignorarlo; ma Dio conosce tutto, a questo riguardo. Egli se ne occupa per noi, veglia su noi; e, sia benedetto il suo Nome, non come un giudice irritato o come un censore rigido, ma come un tenero padre, che non ci imputerà mai nulla, perché tutto è già stato da tempo imputato a Colui che morì al nostro posto. Nondimeno Egli non mancherà di farcelo sentire profondamente e vivamente. Egli sarà un censore fedele della cosa impura; e può riprovarla tanto più energicamente in quanto non ce ne terrà mai conto. Lo Spirito Santo ci ricorda il nostro peccato, ciò che ci causa una inesprimibile angoscia di cuore. Quest’angoscia può continuare per qualche tempo. Può durare per qualche istante, o anche dei giorni, dei mesi, degli anni. Abbiamo conosciuto un giovane cristiano che fu infelice durante tre anni, per aver fatto un’escursione con degli amici mondani. Noi crediamo che quest’opera convincente dello Spirito Santo sia rappresentata dall’azione del terzo giorno. Ci ricorda il nostro peccato, poi ci ricorda ed applica alle nostre anime, per mezzo della Parola scritta, il valore della morte di Cristo come essendo ciò che ha già risposto alla contaminazione che contraiamo così facilmente. Questo risponde all’azione del settimo giorno, toglie la contaminazione e ristabilisce la nostra comunione.

Ricordiamoci bene che non possiamo mai sbarazzarci dalla contaminazione in alcun altro modo. Possiamo cercare di dimenticare la ferita o lasciare al tempo la cura di cancellarla dalla nostra memoria. Ma non c’è nulla di più disastroso che di trattare così la coscienza e i diritti della santità. Questo è insensato quanto pericoloso, poiché Dio, nella sua grazia, ha pienamente provveduto a togliere l’impurità che la sua santità scopre e condanna in tal modo che se l’impurità non è tolta, la comunione è impossibile: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». La sospensione dalla comunione d’un credente è ciò che risponde al recidimento d’un membro dalla congregazione d’Israele. Il cristiano non può mai essere reciso da Cristo, ma la comunione può essere interrotta da un solo pensiero colpevole; bisogna dunque che questo pensiero colpevole sia giudicato e confessato, affinché la contaminazione sia tolta e la comunione ristabilita. Caro lettore, dobbiamo conservare una coscienza pura e mantenere la santità di Dio, altrimenti faremo bentosto naufragio quanto alla fede, poi cadremo del tutto. Che il Signore ci dia di camminare tranquillamente e con cura, nella vigilanza e nella preghiera, finché abbiamo deposto i nostri corpi di peccato e di morte, e siamo entrati nel soggiorno risplendente e benedetto dove il peccato, la contaminazione e la morte sono sconosciuti.


(segue)

28 febbraio - Chi risponderà ai nostri interrogativi?

Chi ha messo nella mente la sapienza, o chi ha dato intendimento al cuore?

Giobbe 38:36

 

L’Eterno è il vero DIO, egli è il DIO vivente e il re eterno.

Geremia 10:10

 

Chi risponderà ai nostri interrogativi?

 

Un proverbio africano dice che chi fa delle domande non sbaglia strada. Un giorno o l’altro, ogni essere umano dovrà porsi degli interrogativi: Qual è l’origine della vita? Perché tante catastrofi e sofferenze nel mondo? Cosa c’è dopo la morte? Ma dove trovare le risposte?

A queste domande hanno cercato di rispondere filosofi, uomini politici, intellettuali, scienziati... Hanno soddisfatto quelle risposte? Ci hanno dato l’impressione che ci portassero verso la vera luce? Uno solo può darci le risposte giuste: Dio. È Lui che ha portato tutto all’esistenza, che ha disposto gli astri nello spazio, che ha stabilito gli uomini sulla terra, che possiede la chiave del futuro e quella dell’universo. Egli conosce ogni cosa perché è il Creatore.

La Bibbia è la Sua Parola. È in questo Libro che ha rivelato i Suoi pensieri per noi. Cerchiamo lì la risposta alle nostre domande. Non capiremo tutto, forse ci porremo altre domande. Ma le questioni che sorgono, in seguito alla lettura della Bibbia ci porteranno verso la luce divina, alla conoscenza di Dio e di Gesù Cristo come nostro Salvatore e Signore.

Quando qualcosa ci sfugge chiediamo a Dio di illuminarci, di rispondere ai nostri interrogativi. Dio vuole farlo, ma aspetta che il nostro cuore sia disposto a ricevere con umiltà le Sue risposte per colmarlo di luce e di pace.

giovedì 27 febbraio 2025

La purificazione della contaminazione nel cammino giornaliero (1)

Dio non ha soltanto provveduto ai peccati passati, ma anche alla contaminazione attuale, affinché possiamo sempre essere dinanzi a Lui in tutto il valore dell’opera perfetta di Cristo. Egli vuole che percorriamo i cortili del suo santuario come «interamente netti» (Giovanni 13). Ora, non soltanto Egli stesso ci vede così, ma, sia per sempre benedetto il suo nome, vorrebbe che facessimo altrettanto nella nostra coscienza intima. Vorrebbe darci per mezzo del suo Spirito, mediante la Parola, un sentimento profondo della nostra purezza ai suoi occhi, affinché la nostra comunione con Lui possa essere senza ostacoli.

“Ma se camminiamo nella luce, com’egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato” 1Giov. 1:7. Ma se non camminiamo nella luce, se trascuriamo ciò e, dimentichevoli, ci contaminiamo con cose impure, come sarà ristabilita la nostra comunione? Soltanto togliendo la contaminazione. E come ciò s’effettuerà? Per mezzo dell’applicazione ai nostri cuori e alle nostre coscienze della preziosa verità della morte di Cristo. Lo Spirito Santo produce il giudizio di noi stessi e ci rammenta la preziosa verità che Cristo ha sofferto la morte per le contaminazioni che noi contraiamo sovente tanto leggermente. Non si tratta d’una nuova aspersione del sangue di Cristo — cosa sconosciuta nella Scrittura — ma del ricordo della sua morte apportato, in potenza nuova, al cuore contrito, dal ministerio dello Spirito Santo.

«Poiché si brucerà la giovenca sotto i suoi occhi… Il sacerdote prenderà quindi del legno di cedro, dell’issopo, della stoffa scarlatta, e getterà tutto in mezzo al fuoco che consuma la giovenca… Un uomo puro raccoglierà le ceneri della giovenca e le depositerà fuori del campo in un luogo puro, dove saranno conservate per la comunità dei figli d’Israele come acqua di purificazione: è un sacrificio (o una purificazione) per il peccato» (Numeri 19:5-9).

L’intento di Dio è che i suoi figli siano purificati da ogni iniquità e che camminino nella separazione da questo presente secolo malvagio ove tutto è morte e corruzione. Questa separazione si produce per l’azione della Parola sul cuore, per la potenza dello Spirito Santo. «Grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo, che ha dato sé stesso per i nostri peccati, per sottrarci al presente secolo malvagio, secondo la volontà del nostro Dio e Padre» (Galati 1:3-4). E ancora: «Aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù. Egli ha dato sé stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga, zelante nelle opere buone» (Tito 2:13-14).

È notevole di vedere come lo Spirito di Dio leghi costantemente ed intimamente il perfetto alleggerimento della coscienza da ogni sentimento di colpa, alla liberazione dall’influenza morale di questo presente secolo malvagio. Ora, dovremmo aver cura, diletto lettore cristiano, di mantenere l’integrità di questo legame. Naturalmente non possiamo farlo che per l’energia dello Spirito Santo; ma dovremmo cercare ardentemente di comprendere e dimostrare in pratica il legame benedetto che esiste fra la morte di Cristo considerata come espiazione per il peccato, e come motivo e potenza morale per la nostra separazione da questo mondo.

Un gran numero di figli di Dio non vanno mai al di là della prima verità, se pur vi arrivano. Molti si contentano unicamente della conoscenza del perdono dei peccati per l’opera espiatoria di Cristo, senza realizzare la loro morte al mondo, in virtù della morte di Cristo e della loro identificazione con lui in questa morte.

Se, riflettendo sulla morte della giovenca rossa avvenuta per il fuoco, esaminiamo questo mistico ammasso di cenere, che cosa scopriremo? Possiamo ben rispondere: Vi troviamo i nostri peccati. Difatti, grazie siano rese a Dio, e al Figlio del suo amore, troviamo i nostri peccati, le nostre iniquità, i nostri falli, la nostra profonda colpevolezza, tutto ciò ridotto in cenere.

Ma, non vi è altro? Certamente, vi vediamo pure la natura in ogni periodo della sua esistenza — dal più alto fino al più basso punto della sua storia. Vi vediamo anche la fine di tutta la gloria di questo mondo. Il cedro e l’issopo rappresentano la natura in tutta la sua estensione, da ciò che essa ha di più infimo a ciò che racchiude di più elevato. Salomone «parlò degli alberi, dal cedro del Libano all’issopo che spunta dalla muraglia» (1 Re 4:-33).

Lo «scarlatto» è considerato, da coloro che hanno accuratamente esaminato la Scrittura, come il tipo o l’espressione dello splendore umano, della grandezza mondana, della gloria di questo mondo, della gloria dell’uomo. Vediamo dunque nelle ceneri, residuo dell’incenerimento della giovenca, la fine di ogni grandezza mondana, di ogni gloria umana, e la messa a parte della carne con tutto ciò che le appartiene. Questo rende profondamente significativo l’atto di bruciare la giovenca, ed espone una verità troppo poco conosciuta e troppo presto dimenticata quand’è nota — verità proclamata in quelle parole memorabili dell’Apostolo: «Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo» (Galati 6:14).

Pur accettando la croce come base della liberazione da tutte le conseguenze dei nostri peccati, e della nostra completa accettazione da Dio, noi siamo tutti, purtroppo, inclinati a rifiutarla come base della nostra completa separazione dal mondo. Tuttavia la croce ci ha separati per sempre da tutto ciò che appartiene al mondo che attraversiamo. Sono i miei peccati aboliti? Sì, sia benedetto il Dio di ogni grazia! In virtù di che cosa? In virtù della perfezione del sacrificio espiatorio di Cristo secondo la stima di Dio stesso. Ora è precisamente nella stessa misura che troviamo, nella croce, la nostra liberazione da questo presente secolo malvagio, dalle sue massime, dalle sue abitudini, dai suoi principii. Il credente non ha assolutamente nulla di comune con questa terra appena realizza il significato e la potenza della croce del Signore Gesù Cristo. Questa croce ha fatto di lui un pellegrino e uno straniero in questo mondo. Ogni cuore devoto vede l’ombra cupa della croce librarsi al di sopra di tutto lo splendore, di tutte le vanità, di tutte le pompe di questo mondo. Questa vista rendeva Paolo capace di stimare come fango il mondo, le sue dignità più elevate, le sue forme più attraenti, le sue glorie più brillanti: «Il mondo, per me, è stato crocifisso» dice egli, «e io sono stato crocifisso per il mondo». Tale era Paolo; tale dovrebbe essere ogni cristiano — uno straniero sulla terra, un cittadino del cielo, e ciò non soltanto in principio o in teoria, ma di fatto e in realtà; poiché, tanto sicuramente la nostra liberazione dall’inferno è più che un semplice principio od una teoria, altrettanto sicuramente la nostra separazione da questo presente secolo malvagio è un fatto che dobbiamo realizzare.

(segue)

27 febbraio - 6. “Beati i puri di cuore”

Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio.

Matteo 5:8

 

“Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo”.

Ezechiele 36:26

 

6. “Beati i puri di cuore”

 

Nella Bibbia, il cuore rappresenta il nostro essere morale, interiore, in contrasto con il corpo. È nel cuore che si formano i sentimenti, i pensieri, le motivazioni, è nel cuore che si prendono le decisioni.

Un cuore impuro ci allontana da Dio. Ci porta a fare scelte sbagliate, ci trascina alla sventura, all’amarezza, alla morte. È bene che anche noi, come Davide, preghiamo Dio dicendo: “O DIO, crea in me un cuore puro e rinnova dentro di me uno spirito saldo” (Salmo 51:10).

A noi che crediamo al Signore Gesù, Dio ha dato un cuore nuovo con delle nuove motivazioni, e un amore nuovo. Egli ci chiede allora di vivere questa vita nuova purificandoci da tutto ciò che, in noi, si oppone alla Sua volontà: la gelosia, l’orgoglio, i risentimenti, le dissolutezze, l’avarizia... Un cuore puro è un cuore che tiene conto di Dio e che è in una felice relazione con Lui, che cammina alla Sua luce e gode del Suo amore.

La promessa è molto bella: “essi vedranno Dio”. Non si tratta qui di un rapido sguardo, come si dà a quelli che s’incrociano per strada. Ma come vedere Dio che è invisibile? E’ Gesù, diventato uomo, che ce lo ha rivelato. Leggete i Vangeli, e sarete spinti, come i discepoli sulla strada di Emmaus, a esclamare con gioia: “Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?” (Luca 24:32). Questo è “vedere Dio”, non soltanto con un cuore puro, ma con un cuore gioioso che arde d’amore per Gesù, ora e per sempre. Che felicità!


(il seguito il prossimo giovedì)

mercoledì 26 febbraio 2025

La Bibbia di che cosa parla (8)

7. La profezia

Dobbiamo distinguere, prima di tutto, vari tipi di profezia, per non sviarci nella sua interpretazione. Poiché lo scopo della profezia è sempre quello di parlare al cuore e alla coscienza, essa avverte, incoraggia, consola. Questi vari aspetti possono essere riassunti da quanto segue:

    1. Parole rivolte a Israele, alcune delle quali sono già realizzate ed altre future, anche se hanno già avuto un compimento parziale.

    2. Parole rivolte al mondo, sia ad ogni individuo personalmente, sia ad una nazione particolare o all’insieme dei popoli.

    3. Parole che si riferiscono al Messia, alle sue sofferenze e alla sua morte da un lato, alla sua gloria ed al suo regno dall’altro.

    4. La parte storica delle Sacre Scritture che ha pure un senso profetico, meno facile da discernere, ma che spesso ci dà un quadro delle vie di Dio verso il suo popolo o verso il mondo.

 

7.1 La sorgente della profezia

«Lo Spirito dell'Eterno ha parlato per mezzo mio, e la sua parola è stata sulle mie labbra» (2 Samuele 23:2). Usando vari mezzi per comunicare il suo pensiero, Dio ha voluto far conoscere agli uomini il senso e lo scopo degli avvenimenti futuri, sia con un sogno o una visione, sia per rivelazione diretta in una specie di conversazione amichevole. Abramo ne è un esempio in Genesi 15:1-16 c ancora in Genesi 17:1-22 e 18:1-33. Anche Mosè fu introdotto in questa dolce prossimità con Dio per ricevere la comunicazione dei suoi pensieri. Anch’egli infatti, come Abramo, fu chiamato amico di Dio. «L’Eterno parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico» (Esodo 33:11).

Dio a volte comunicava inviando un angelo, come ha fatto con Daniele, Ezechiele ed anche con l’apostolo Giovanni, quando gli ha fatto vedere le visioni dell’Apocalisse. Tuttavia, in modo generale, la parola di Dio era rivolta ai profeti tramite lo Spirito Santo, secondo ciò che dice Pietro: «I santi uomini di Dio hanno parlato perché spinti dallo Spirito Santo» (2 Pietro 1:21). Questi poi la proclamavano o la scrivevano per comunicarla al popolo.

 

7.2 Il piano della profezia

Dio, fin dai giorni di Abramo, si è scelto un popolo per farne il suo testimone sulla terra; ha stabilito con lui un patto perpetuo, incondizionato, garantito dalla fedeltà di Dio alle sue promesse. Il patto del Sinai, la legge, aggiunto quattrocento anni più tardi, non annullò le promesse anteriori, benché la ribellione del popolo costringesse Dio a prorogarne la realizzazione. Occorreva l’opera di Gesù, la sua morte sul Calvario e la sua risurrezione, per rendere realizzabili le promesse divine nonostante il peccato dell’uomo, che Egli ha portato sulla croce.

La profezia ha così in vista la restaurazione del popolo di Dio, il suo pentimento, la sua umiliazione e la sua benedizione finale. Oltre i confini del popolo d’Israele, tutte le nazioni parteciperanno a queste benedizioni promesse quando si volgeranno verso il Re dei re e il Signore dei signori, con sincera umiliazione.

«Ecco, egli viene colle nuvole, ed ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno cordoglio per lui» (Apocalisse 1:7).

«Molte saranno le nazioni di cui desterà l’ammirazione; i re chiuderanno la bocca dinanzi a lui, poiché vedranno…» (Isaia 52:15)

La profezia, dunque, è centrata su Israele. «La parte dell’Eterno è il suo popolo, Giacobbe è la porzione della sua eredità» (Deuteronomio 32:9). Le parole che Dio rivolge alle nazioni sono tutte in rapporto con Israele, poiché è in relazione con lui che tutti i popoli parteciperanno alla benedizione recata dal Messia.

 

7.3 Il soggetto centrale della profezia

Fin dalla prima promessa fatta da Dio all’uomo, è in vista Gesù Cristo: «Ella (la progenie della donna) ti schiaccerà il capo e tu (Satana) le ferirai il calcagno» (Genesi 3:15). Durante tutta la storia d’Israele, Dio ha manifestato, con tipi, figure ed anche con dichiarazioni dirette, che il Messia era al centro dei suoi pensieri. Un Messia glorioso, potente Redentore per il suo popolo e per tutta la terra, ma anche un Messia sofferente, rigettato dal suo popolo e messo a morte. La porzione della profezia più significativa a questo riguardo è il capitolo 53 del profeta Isaia. Vi vediamo la nascita del Salvatore nella più umile delle condizioni, la sua vita di sofferenza, incompreso e disprezzato da tutti, la sua morte sotto il giudizio di Dio a causa dei nostri peccati e la sua sepoltura, la sua vita al di là della tomba e la sua glorificazione.

Anche numerosi Salmi parlano della sua sofferenza e della sua gloria. Potremmo moltiplicare le citazioni che lo riguardano. Esse, dalla sua nascita da una vergine (Isaia 7:14), alla sua elevazione alla destra di Dio (Salmo 110:1), ci descrivono Colui che, in ogni tempo e per sempre, è al centro dei consigli divini. Inoltre, l’Apocalisse, principale profezia del Nuovo Testamento, proclama la gloria del Figlio dell’uomo, Gesù, l’Agnello di Dio. Dal primo all’ultimo capitolo vediamo, Lui, il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine (vedere Apocalisse 1:17 e 22:13).

 

7.4 Lo scopo della profezia

Quando i discepoli di Gesù lo interrogano dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta», Gesù risponde innanzi tutto: «Guardate che nessuno vi seduca» (Matteo 24:3-4). In seguito dà loro numerosi particolari riguardanti le tribolazioni che il popolo giudeo dovrà subire, ma termina il suo discorso ripetendo: «Vegliate, dunque, perché non sapete in qual giorno il vostro Signore stia per venire» (24:42).

Dio non vuole che siamo all’oscuro delle cose che stanno per accadere, e questo per esercitarci alla vigilanza. L’effetto della parola profetica sulle nostre anime deve essere salutare producendo pentimento a salvezza in chi non ha ancora aperto il suo cuore all’amore del Salvatore, e producendo un effetto santificante sulla condotta del cristiano. La profezia, avendo in vista la gloria di Gesù Cristo, attaccherà i nostri cuori alla sua persona ed accrescerà in noi il desiderio di vederlo. La promessa della sua venuta ci spingerà a dire con fervore: «Amen! Vieni, Signore Gesù!» (Apocalisse 22:20).

Non è nel periodo attuale che avviene il compimento totale delle profezie, poiché queste riprenderanno a realizzarsi soltanto dopo la fine della storia della Chiesa sulla terra. Possiamo tuttavia già discernere la preparazione degli elementi necessari al loro compimento, il che dimostra l’imminenza della venuta del Signore per prendere con Sé i suoi. Infatti il Signore Gesù ci ha lasciato questa promessa: «E quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò, e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io siate voi» (Giovanni 14:3). Anche l’apostolo Paolo lo conferma: «Questo vi diciamo per parola del Signore… Il Signore stesso… scenderà dal cielo… e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insieme con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore» (1 Tessalonicesi 4:5-17).

Questa speranza era molto reale nel cuore dei cristiani di Tessalonica; infatti l’apostolo rende loro testimonianza che si erano «convertiti dagli idoli a Dio… per aspettare dai cieli il suo Figliuolo, il quale Egli ha risuscitato dai morti: cioè Gesù che ci libera dall’ira a venire» (1 Tessalonicesi 1:10).

Prestare attenzione alla profezia non è senza profitto per noi; l’apostolo Pietro dice che essa è «come una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori» (2 Pietro 1:19). Questa stella mattutina, Cristo stesso, speranza celeste, illuminerà i nostri cuori con i suoi raggi ristoratori e ci guiderà a dire con lo Spirito: «Amen! Vieni, Signore Gesù» (Apocalisse 22:20).

 

7.5 La realizzazione della profezia

Non c’è nessuna necessità, per la fede, di vedere il compimento delle cose previste per porre la nostra fiducia nella Parola di Dio. Tuttavia Dio ha ritenuto opportuno riferirci parecchi avvenimenti che si sono svolti esattamente secondo l’annuncio profetico che ne era stato fatto. Basteranno tre esempi per dimostrarlo:

 

    1. In Genesi 15:13-14:

Dio dice ad Abramo che i suoi discendenti avrebbero soggiornato in un paese straniero per quattrocento anni, dove sarebbero stati oppressi finché ne sarebbero usciti con grandi ricchezze per andare ad abitare in Canaan. L’inizio del libro dell’Esodo conferma questa profezia.

 

    2. In Geremia 29:10-14:

L’Eterno manda a dire ai prigionieri di Babilonia che era stato determinato un periodo di settant’anni per la potenza dei re caldei, dopo di che il popolo d’Israele, là deportato, avrebbe potuto ritornare nella sua terra. E fu proprio settant’anni dopo l’inizio del regno di Nebucadnetsar che Ciro proclamò l’editto in cui invitava il popolo giudeo a ritornare in Palestina.

 

    3. In Isaia 7:14; 9:5; 11:1; 53:1-12:

Circa settecentotrent’anni prima di Gesù Cristo, Isaia ha profetizzato la nascita del Messia. Al capitolo 7 v. 14 annuncia il suo concepimento nel seno di una vergine e gli dà nome Emmanuele (che significa: «Dio con noi»); all’inizio del cap. 9 dice in quale contrada sarebbe vissuto; all’inizio del cap. 11 troviamo che questo Messia è un discendente di Isai; al cap. 53 già citato è fatta menzione della sua sepoltura per opera di un uomo ricco, benché egli sia stato posto al livello dei malfattori. Tutti gli Evangeli dimostrano l’esattezza di queste testimonianze.

 

Se dunque la parte delle profezie già realizzate si sono avverate con un’ esattezza perfetta, sarà lo stesso di quella ancora futura. Alcuni particolari possono essere poco chiari per noi oggi, ma quelli che vivranno in quell’epoca conosceranno il modo con cui Dio ne otterrà la realizzazione, poiché «la conoscenza aumenterà» e «capiranno i savi» (Daniele 12:4-10).

Lo stesso Daniele non comprese quello che gli veniva annunziato; non ne aveva nessuna necessità e Dio glielo dice. Quando si realizzeranno gli avvenimenti, lo spirito di Dio indicherà chiaramente in che modo il loro corso corrisponderà alle profezie, pertanto i credenti di quel tempo ne potranno interpretare il senso esatto in tutti i particolari, senza nessuna difficoltà. A noi oggi basta conoscere il piano generale delle profezie per non lasciarci sviare da false applicazioni.

Aspettiamo il Signore! La sua venuta è imminente per prendere con sé la sua sposa.

26 febbraio - Una povertà che arricchisce

Voi conoscete la grazia del nostro Signore Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventar ricchi.

2 Corinzi 8:9

 

Una povertà che arricchisce

 

È strano che un povero possa arricchire qualcuno… Eppure questo ha fatto il Signore per noi; è nato nella povertà, è stato “un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia” (Luca 2:12) perché il mondo non gli ha saputo offrire niente di meglio. È stato “disprezzato e abbandonato dagli uomini… e noi non ne facemmo stima alcuna”, scrive Isaia (53:3). Non ha mai avuto una dimora stabile. Ad uno che avrebbe voluto seguirlo ha detto: “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Luca 9:58). Lui, il creatore e padrone dell’universo, non possedeva nulla quand’era in questo mondo.

Anche oggi Gesù vuole “arricchire” ogni essere umano. Chi gli dà fiducia e accetta il valore del Suo sacrificio espiatorio riceve il perdono dei peccati e la vita eterna. Una tale ricchezza può provenire solo da Lui. Sulla terra, per amore per noi, fu povero e disprezzato, ma era e rimane eternamente Dio. Potremmo noi disprezzare “l’immensa ricchezza della sua grazia” e rimanere impuniti? (Efesini 2:7).

E noi che abbiamo creduto in Lui, lo apprezziamo in tutto il Suo valore?

“Siamo riconoscenti – è scritto nella Lettera agli Ebrei – e offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore!” (12:28), cioè una vita che lo onora, una testimonianza che lo glorifica.


martedì 25 febbraio 2025

La Bibbia di che cosa parla (7)

6. La chiesa

6.1 Il suo fondamento

La Chiesa, o Assemblea (il termine Ecclesia in greco significa assemblea) è menzionata per la prima volta nell’evangelo di Matteo dove il Signore dice: «Su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Matteo 16:18). Il Signore Gesù è dunque Egli stesso il costruttore. L’«edificio» fatto di «pietre viventi», che sono i credenti in Cristo, era ancora da costruire quando Pietro ha pronunciato quella bella dichiarazione: «Tu sei il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente» (Matteo 16:16). Il solido fondamento su cui doveva poggiare la Chiesa era la verità detta dall’apostolo, ed egli stesso fu designato dal Signore per riunire i primi elementi di questa «costruzione» e stabilirli sul fondamento irremovibile, sulla «pietra» che è Gesù Cristo. Anche l’apostolo Paolo dice: «Secundo la grazia di Dio che m’è stata data, come savio architetto, ho posto il fondamento… Poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Gesù Cristo» (1 Corinzi 3:10-11).

Questo fondamento è stato insegnato agli apostoli, e posto da loro stessi, sia nelle parole del discorso di Pietro all’inizio degli Atti, sia nelle sue epistole e in quelle di Paolo. L’epistola agli Efesini, il cui soggetto è l’unione di Cristo e della Chiesa, dice: «Siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio, essendo stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare» (Efesini 2:19-20).

Così stabilita, fondata su Cristo e costruita da Lui, la Chiesa non è dunque un’organizzazione umana, ma un’opera divina.

 

6.2 Chi è membro della Chiesa?

All’inizio del libro degli Atti è detto che «il Signore aggiungeva alla chiesa ogni giorno coloro che erano salvati» (Atti 2:47 vers. Diodati). Anche se sono i membri dell’assemblea a predicare l’evangelo e ad annunciare Cristo alle anime, l’opera è poi tutta di Dio. I peccatori salvati per grazia sono aggiunti da Gesù Cristo stesso a quest’edificio in formazione, come tante «pietre viventi», secondo quanto leggiamo: «Anche voi, come pietre viventi, siete edificati qual casa spirituale» (1 Pietro 2:5). Non appena uno si pente dei suoi peccati e crede all’opera redentrice di Cristo, diventa parte integrante della casa di Dio, che è la Chiesa dell’Iddio vivente. Forse lo ignora, per mancanza d’insegnamento a questo riguardo, ma nondimeno è quello che il Signore ha voluto fare di lui.

Questo «edificio» è ancora in costruzione, ma è in via di compimento, poiché presto il Signore verrà a prendere con sé i suoi riscattati per riunirli tutti nella casa del Padre. Non ne sarà dimenticato alcuno; ma nessuno potrà far parte di questi beati se non ha risposto personalmente alla chiamata di grazia del Salvatore.

 

6.3 Chiesa e cristianità

Per l’opera di formazione della sua Chiesa il Signore Gesù impiega quelli che già ne fanno parte. Essi sono tanti «ambasciatori» mandati nel mondo per portare delle anime a Cristo; sono dei collaboratori di Dio, operai ai quali è affidata un’opera nella costruzione dell’edificio. Ma non appena si affida all’uomo una responsabilità, questi si dimostra incapace. Nelle chiese, fin dall’inizio, si sono introdotti dei falsi fratelli e anche dei falsi dottori. Così si è costituita la cristianità dove, accanto ai veri figli di Dio, membri della Chiesa di Cristo, c’è gente che di cristiano ha soltanto il nome. Questo insieme, poi, si è frazionato in gruppi, che rivendicano, ognuno, il titolo di chiesa: chiesa romana, ortodossa, luterana, calvinista, anglicana, ecc… Si è persino giunti al punto di dare il nome di chiesa ai locali in cui si celebrano le funzioni religiose.

 

6.4 Il ruolo della Chiesa sulla terra

Ma torniamo alla Chiesa del Signore, composta da tutti i veri figli di Dio sparsi nella cristianità. «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo» ha detto Gesù a suo Padre, aggiungendo: «Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo» (Giovanni 17:16,18). Ne risulta pertanto un duplice aspetto della posizione della Chiesa sulla terra: essa è straniera, perché la sua posizione è celeste, ma nello stesso tempo si trova sulla terra per rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Per non aver compreso questo, certi credenti si sono rinchiusi nei chiostri ed, altri si sono immischiati nella politica del mondo. Separato moralmente dal mondo, tanto dalla sua politica quanto dal suo stato morale, il vero credente è responsabile di assolvere i compiti di testimone e di collaboratore al servizio del Signore, sia nei riguardi dei non credenti, sia in seno alla Chiesa stessa. 

La Chiesa, paragonata ad un corpo in parecchie parti della Parola di Dio, è formata da tutte «le membra» di questo corpo. Ogni credente è uno di queste «membra». Lo Spirito di Dio è la potenza vitale che le anima ed ognuno ha una funzione particolare, a somiglianza delle varie membra e degli organi del corpo umano. «Iddio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto» (1 Corinzi 12:18). Gli uni hanno un’attività visibile, altri nascosta. Gli uni svolgono il loro compito all’esterno del corpo, nel mondo, e gli altri hanno delle funzioni interne, nell’ambito della Chiesa. Le funzioni più importanti non sono quelle più in vista, ma ognuno svolge il suo ruolo là dove Dio l’ha posto. Nonostante la mescolanza con elementi estranei, causa della sua rovina, la vera Chiesa compie ancora la sua funzione nel mondo. Con la diffusione del Vangelo, con gli aiuti agli infelici, con la preghiera e l’intercessione in favore di tutti gli uomini, ogni membro del corpo di Cristo contribuisce alla testimonianza di Dio sulla terra.

 

6.5 La chiesa locale

Quando la Parola di Dio fu scritta, vi erano delle chiese, o assemblee, in parecchie località. L’apostolo Paolo è stato il mezzo per formare molti di questi radunamenti durante i suoi viaggi in Asia e in Europa. A questi egli si rivolge con le sue epistole riconoscendo loro il titolo di «chiesa di Dio». Questi radunamenti avevano una responsabilità nella città in cui si erano formati; essi rappresentavano la testimonianza del Signore e dovevano farne brillare la luce. Non è mal indicato il numero di coloro che ne facevano parte, poiché, fossero pur stati soltanto due o tre (Matteo 18:20), la presenza del Signore in mezzo a loro era ciò che contava.

 In parecchi luoghi vi sono stati disordini fin dai primi tempi, e lo Spirito di Dio ha guidato gli apostoli a scrivere delle lettere per dare anche a noi, oggi, indicazioni quanto al nostro comportamento in circostanze analoghe. Vediamo pure come veniva riconosciuta l’autorità apostolica. Oggi non ci sono più gli apostoli, ma rimangono i loro scritti che fanno parte della Parola di Dio, unica referenza per risolvere ogni problema.

 Nei capitoli 2 e 3 dell’Apocalisse, il Signore Gesù stesso manda una lettera a sette chiese dell’Asia. Questi radunamenti nelle località citate avevano ognuno la propria responsabilità, pertanto il Signore dichiara ad ognuno di essi: «Io conosco le tue opere…» (*). I rimproveri rivolti a cinque di questi si accompagnano a vere e proprie minacce quando dice loro: «Rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto» o ancora: «Io ti vomiterò dalla mia bocca». Invitato al pentimento, ognuno di essi riceve pure una promessa di benedizione se l’avvertimento è ascoltato. Con questo possiamo vedere che la chiesa locale è riconosciuta nella sua propria responsabilità e che è formata da tutti i veri credenti che si trovano in quella località.

 La realizzazione concreta del piano del Signore per la Chiesa non è durata a lungo poiché sopraggiunsero presto gravi disordini. Ora, la lampada della testimonianza collettiva fa poca luce a causa delle molteplici divisioni. Tuttavia, rimane aperta una possibilità, perché il Signore è fedele alla sua promessa. Quando dei credenti si riuniscono nel nome di Gesù, nell’ubbidienza alla Parola e sotto la sola direzione dello Spirito Santo, e testimoniano di Cristo in quel luogo, essi sono l’espressione visibile della Chiesa di Dio in quella località, con le sue responsabilità ed i suoi privilegi. Tale radunamento è investito di un’autorità risultante dalla presenza del Signore, secondo le istruzioni e le promesse di Matteo 18:17-20.

 

6.6 Il destino della Chiesa

«Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei… affin di fare egli stesso comparire dinanzi a sé questa Chiesa, gloriosa» (Efesini 5:25-27).

«Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dato» (Giovanni 17:24).

 Acquistata dal Signore Gesù al prezzo delle sue sofferenze, la Chiesa gli è data dal Padre per essere sempre con Lui. Egli la ama. Sia nelle figure dell’Antico Testamento, sia nella rivelazione del Nuovo, essa è rappresentata con la figura di una sposa. Apocalisse 19:7-9 ci descrive le nozze celebrate nel cielo che consacreranno per l’eternità l’unione indissolubile di Cristo e della sua Chiesa 

Il Signore cerca, nel cuore di quelli che gli appartengono, dei sentimenti d’amore rispondenti ai suoi. Il desiderio della loro anima, quando corrisponde a quello del Signore Gesù, li porta a dire insieme, guidati dallo Spirito: «Vieni, Signore Gesù» (Apocalisse 22:20). «E lo spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ode dica: Vieni» (Apocalisse 22:17).

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(*) o «Io conosco la tua tribolazione…», o «Io so dove abiti…».

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 (segue)

25 febbraio - Signore, “se vuoi, tu puoi mondarmi”

Venne da lui un lebbroso il quale, supplicandolo... gli disse: «Se vuoi, tu puoi mondarmi». E Gesù, mosso a pietà, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Sì, lo voglio, sii mondato!». E... subito la lebbra lo lasciò e fu guarito.

Marco 1:40-42

 

Signore, “se vuoi, tu puoi mondarmi”

 

Ai tempi in cui Gesù era sulla terra, una persona colpita dalla lebbra era esclusa dalla società. Doveva starsene in disparte e segnalare da lontano la sua presenza per evitare ogni contatto con le persone sane. Eppure, malgrado il divieto, l’uomo lebbroso di cui parla il passo di oggi si avvicina a Gesù. È per la propria situazione disperata? È perché ha fiducia in Lui e sente che Egli può guarirlo? Il testo non lo dice, ma ci mostra il suo coraggio che supera ogni ostacolo.

Se vuoi, tu puoi mondarmi”, dice il lebbroso a Gesù. Egli era sicuro che Gesù aveva la potenza di guarirlo, ma lo sollecita umilmente, rimettendosi alla Sua volontà.

Gesù è mosso a compassione. Non si allontana, non respinge l’uomo sofferente. Anzi, con un gesto amorevole lo tocca e lo guarisce dicendogli: “Lo voglio, sii mondato”.

Nella Bibbia, la lebbra è il simbolo del peccato che ci contamina, degrada e porta alla morte. Forse qualcuno di noi soffre, come quell’uomo, perché il peccato gli ha rovinato la vita. Allora, facciamo come lui! Andiamo a Gesù e diciamogli con fede e umiltà: Signore, se tu vuoi, tu puoi rendermi puro. Gesù non aspetta altro, e lo farà!

Noi che abbiamo creduto diciamo agli emarginati dalla società che Dio non scarta nessuno! Egli dà a chiunque crede in Lui (e non fa distinzioni) il perdono dei peccati e una nuova dignità: quella di “figlio di Dio”.

lunedì 24 febbraio 2025

La Bibbia di che cosa parla (6)

5. Israele

Il pensiero di Dio era di rivelarsi ad ogni uomo; ma l’umanità si diede all’idolatria, e allora Dio scelse un popolo a cui comunicare la sua rivelazione: Israele. Lo fece secondo la sua sovrana libertà di scelta e non perché avesse dei meriti particolari. La storia di questo popolo dimostra ampiamente che il privilegio di essere depositario degli oracoli di Dio non è automaticamente un segno di nobiltà morale.

 

5.1 La sua origine

Nella famiglia umana che discese da Noè dopo il diluvio, Abramo fu il primo ad essere chiamato da Dio. La conoscenza del vero Dio si era già molto affievolita a causa dell’idolatria sempre crescente. In quell’epoca lontana, la testimonianza di Dio era trasmessa oralmente da una generazione all’altra. Nonostante la lunga durata della vita umana che permetteva a sei generazioni di coesistere, questa trasmissione orale della Parola correva il rischio di profonde falsificazioni. Occorreva dunque una particolare rivelazione di Dio insieme all’azione dello Spirito Santo per rendere possibile il mantenimento di una relazione tra l’uomo e il suo Creatore.

 La chiamata di Abramo ci fa conoscere due fatti di fondamentale importanza: la separazione dal mondo, «esci dal tuo paese e dal tuo parentado», e l’ubbidienza della fede, «e vieni nel paese che io ti mostrerò» (Atti 7:3).

 In rapporto con la sua discendenza gli vengono fatte promesse incondizionate. Tali promesse sono rinnovate a Isacco e a Giacobbe, i quali devono ancora attendere il loro compimento in un paese in cui vivono da stranieri. La storia di questi tre patriarchi, contenuta nei capitoli 12 e seguenti del libro della Genesi, è piena di istruzioni, e ne avrà grande profitto chi la studierà. Dunque, con Abramo, Isacco e Giacobbe, abbiamo il «ceppo» del popolo d’Israele. Il nome «Israele» fu dato a Giacobbe in occasione di due incontri memorabili con Dio, durante il ritorno dal suo esilio (vedere Genesi 32:28 e 35:10). I dodici figli di Giacobbe diventarono i padri, i capostipiti delle dodici tribù d’Israele la cui storia riempie l’Antico Testamento.

 

5.2 La sua organizzazione

Dio aveva già predetto ad Abramo che i suoi discendenti avrebbero soggiornato in un paese straniero come schiavi per quattrocento anni; e ciò avvenne in Egitto, da quando Giuseppe, venduto dai suoi fratelli, diventò governatore di quel paese. Dopo avervi fatto abitare la propria famiglia per preservarla da una grave carestia, Giuseppe morì e nel paese ci fu un cambiamento di dinastia. I Faraoni che regnarono da quel momento in poi angariarono il popolo d’Israele, che nel frattempo, divenne molto numeroso. Allora Dio suscitò Mosè che, miracolosamente, entrò alla corte del Faraone dove fu allevato ed istruito in tutte le conoscenze possedute da quel popolo. Nelle sue vie, Dio voleva dunque dotare Israele di un liberatore in grado di guidarlo e ammaestrarlo; ed anche formare un legislatore in grado di scrivere gli ordini da Lui dettati per comunicarli al popolo.

La rivelazione fatta da Dio a Mosè sul monte Horeb, nel fuoco del cespuglio spinoso, è il punto di partenza della relazione di Dio con il popolo d’Israele. La successiva fuga del popolo dall’Egitto con il sacrificio della Pasqua e la traversata del Mar Rosso è anche un punto di partenza, visto da parte dell’uomo. Non appena il sangue dell’agnello della Pasqua, prefigurazione di quello di Gesù Cristo, «l’Agnello di Dio», venne sparso all’ingresso delle case degli Israeliti, il popolo fu appartato, in vista della liberazione. Uscito dall’Egitto attraverso il Mar Rosso, fu guidato da Dio stesso, per essere in seguito introdotto nel paese promesso ad Abramo: la Palestina.

 Ma un popolo di più di due milioni di persone aveva bisogno di una legislazione. Come fare? È ancora l’Eterno che, per mezzo degli angeli, diede al suo popolo una legge che rimase un modello fino alle nostre generazioni. Nulla è lasciato in balia della fantasia dell’uomo. Tutto si basa su ciò che Dio aveva comandato a Mosè sia sul monte Sinai, sia successivamente dall’interno della cosiddetta «tenda di convegno». Tutti gli insegnamenti sono dati, sia per quanto riguarda il culto, che per la vita corrente.

 

5.3 Il suo destino

Il pensiero di Dio riguardo al suo popolo è stato comunicato ad Abramo, è stato ripetuto a Mosè e confermato molte volte dai profeti. È il soggetto della lode di Israele, già sulle rive del Mar Rosso: «Tu li introdurrai e li pianterai sul monte del tuo retaggio, nel luogo che hai preparato, o Eterno, per la tua dimora, nel santuario che le tue mani, o Signore, hanno stabilito» (Esodo 15:17). Il desiderio di Dio era di abitare in mezzo al suo popolo e rendere questo popolo perfettamente felice intorno a Lui. Per rendere possibile la realizzazione di un simile piano d’amore, Dio nel corso del tempo ha utilizzato tutti i mezzi possibili; e alla fine, duemila anni fa, ha inviato il suo proprio Figlio. Purtroppo, tutto sembra essere stato vano: la legge data da Mosè è stata violata, i profeti che vennero successivamente non sono stati ascoltati, e il Figlio fu messo a morte!

 Cosa farà Dio? Manterrà le sue promesse? La costante ribellione del suo popolo distoglierà per sempre i progetti di Dio a suo riguardo? L’unica risposta a queste domande è basata sulla misericordia divina, come leggiamo in Romani 11:29-32: «I doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento. Poiché, siccome voi siete stati in passato disubbidienti a Dio ma ora avete ottenuto misericordia… così anch’essi (Israele) sono stati disubbidienti, onde ottengano misericordia. Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per fare misericordia a tutti». Il profeta Michea l’aveva già dichiarato alla fine del suo messaggio: «Qual Dio è come te, che perdoni l’iniquità e passi sopra alla trasgressione del residuo della tua eredità? Egli non serba l’ira sua in perpetuo, perché si compiace d’usar misericordia. Egli tornerà ad aver pietà di noi, si metterà sotti i piedi le nostre iniquità e getterà nel fondo del mare tutti i nostri peccati. Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe, la tua misericordia ad Abrahamo, come giurasti ai nostri padri, fino dai giorni antichi» (Michea 7:18-20).

 Sì. Dio benedirà il suo popolo, in un tempo futuro ma non lontano, quando si sarà rivolto al Signore Gesù, colui che hanno trafitto, e con profonda umiliazione confesseranno il loro delitto (vedere Zaccaria 12:10-14). Allora il Signore apparirà in gloria agli sguardi sorpresi dei fedeli di quel tempo che gli diranno: «Che son quelle ferite che hai nelle mani? Ed Egli risponderà: Son le ferite che ho ricevuto nella casa dei miei amici» (Zaccaria 13:6). Allora verrà stabilito il Regno di mille anni, regno di giustizia e di pace al quale tutto il mondo aspira e che porterà Israele a godere finalmente delle promesse fatte ad Abrahamo quattro millenni fa.

 

5.4 Il privilegio di questo popolo

Attualmente Israele è in stato di disgrazia. Già il profeta Osea l’annunciava dicendo: «Mettigli nome Lo-ruhama (che significa «che non ottiene misericordia») perché io non avrò più compassione della casa d’Israle… Mettigli nome Lo-ammi (che significa «non più mio popolo») perché voi non siete mio popolo, e io non sono vostro» (Osea 1:6,9).

 Lo stato di Israele, tuttavia, non ostacola la bontà di Dio che si manifesta sempre attiva nei riguardi di chi si volge verso di Lui, tanto fra i Giudei quanto fra le altre nazioni. Ma il ripristino delle relazioni privilegiate dell’Eterno con Israele avrà luogo soltanto più tardi, dopo che i credenti dell’attuale periodo della grazia, che costituiscono la Chiesa del Signore, saranno riuniti nella casa del Padre. Paolo scrive che «un indurimento parziale si è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili (con quest’espressione si intendono i salvati delle altre nazioni che non sono Israele); e così tutto Israele sarà salvato… Per quanto concerne l’Evangelo, essi sono nemici…; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati per via dei loro padri; perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento» (Romani 11:25-29).

 Questo popolo, posto sotto il castigo di Dio a causa della sua disubbidienza, rimane tuttavia un popolo privilegiato: «Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? O qual è l’utilità della circoncisione? Grande per ogni maniera; prima di tutto, perché a loro furono affidati gli oracoli di Dio» (Romani 3:1-2). Di loro è ancora detto: «Ai quali appartengono l’adozione e la gloria e i patti e la legislazione e il culto e le promesse; dei quali sono i padri, e dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno» (Romani 9:4-5).

 Le promesse riguardanti Israele riempiono la Parola di Dio. Sono state pronunciate fin dai tempi antichi, sia da Dio stesso, quando s’è rivolto ai patriarchi, sia da Giacobbe nel magnifico capitolo 49 della Genesi, sia, anche se involontariamente, dall’indivino Balaam nei capitoli 23 e 24 dei Numeri in cui leggiamo espressamente: «Ecco, è un popolo che dimora solo, e non è contato nel novero delle nazioni» (Numeri 23:9). Il fatto che questo popolo abbia mantenuto la propria identità, nonostante la sua dispersione nel mondo e le innumerevoli persecuzioni subite, rimane un mistero e conferma la veridicità della Parola di Dio. È straordinario leggere nella Bibbia descrizioni profetiche scritte più di duemila anni fa riguardo ad Israele e che corrispondono esattamente a quanto gli è accaduto, e a quanto gli accade oggi e gli accadrà ancora.

 La caratteristica del popolo giudeo, che ha attirato su di sé molto odio e che suscita pure la gelosia di molti popoli vicini, corrisponde esattamente alla sua storia come ci è rivelata nella Parola di Dio. Accecato com’è per aver rifiutato Cristo, e sotto l’influenza di Satana che gli ha oscurato il cuore, questo popolo ha sempre usato la propria ingegnosità per soddisfare il suo orgoglioso desiderio di dominio. Quando, con sincero pentimento, si volgerà verso il Signore e gli si sottometterà, allora ci sarà per lui una completa riabilitazione.

 

5.5 Le tribolazioni d’Israele

Già anticamente, in Egitto, i figliuoli d’Israele conobbero la tribolazione. Quando sorse nel paese un nuovo Faraone che non aveva conosciuto Giuseppe, essi furono sottomessi ad una terribile schiavitù. Un Faraone decretò persino di uccidere tutti i neonati di sesso maschile (Esodo 1:15-20), pensando di annientare così per sempre quella razza che gli faceva paura. In Faraone possiamo discernere l’opera di Satana stesso, intento con tutti gli sforzi possibili ad impedire che da Israele nascesse il Messia, il Salvatore, secondo la promessa di Dio. Ricordiamo infatti che già ad Eva l’Eterno aveva promesso che la sua discendenza (Cristo) avrebbe schiacciato la testa del serpente (Satana). Poi aveva precisato che il Cristo sarebbe venuto dal popolo di Israele. Così Satana ha ripetutamente cercato di impedire che questo avvenisse; ma Dio non ha mai permesso che si realizzassero i suoi diabolici disegni.

 Il rinnegamento del Messia, Gesù Cristo, da parte di Israele e la sua crocifissione hanno attirato su questo popolo un terribile giudizio. L’espugnazione di Gerusalemme e la dispersione dei Giudei fra le nazioni, avvenuta nel 70 d.C. per opera dei Romani, sono state le conseguenze dirette di quell’atroce delitto. Son quasi duemila anni che il popolo Giudeo soffre tribolazioni sconosciute a qualunque altra nazione. I ghetti, le razzie e i campi di sterminio sono nella memoria di tutti. Satana sta dietro la scena, non c’è dubbio, sempre con lo scopo di nuocere al compimento dei piani divini. Ma, nonostante ciò, essi si realizzeranno per la gloria del Signore e Salvatore Gesù Cristo, per la completa riabilitazione d’Israele e per la benedizione di tutto il mondo. Ma fino a quel momento ci sarà ancora un terribile tempo di prova per i Giudei, «un tempo di distretta per Giacobbe; ma pure ei ne sarà salvato» (Geremia 30:7). Questa tribolazione senza precedenti, limitata a tre anni e mozzo è preannunciata sia dai profeti che dal Signore Gesù e dagli apostoli. Ci sarà fra poco e, alla fine, il Signore apparirà in gloria (*).

 

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(*) In quel momento sarà anche distrutto l’Anticristo, un personaggio sinistro che, con la potenza e l’astuzia di Satana, si farà ricevere dai Giudei dicendo di essere il Messia promesso, e parecchi lo seguiranno. Tuttavia un residuo fedele, attaccato al suo Dio, resterà nella vigile attesa della venuta gloriosa di Cristo. Preservati dalla morte, durante questo terribile periodo, questi Giudei fedeli, rappresentati dai centoquarantaquattromila suggellati del cap. 7 dell’Apocalisse, costituiranno il nucleo dell’Israele futuro che con Cristo regnerà mille anni, e che sarà, sotto l’egida del Re di gloria una benedizione per tutta la terra.

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(segue)

24 febbraio - “Gesù ha guarito il mio cuore”

 (Gesù disse:) “Io vi lascio la pace, vi do la mia pace; io ve la do, non come la dà il mondo; il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi”.

Giovanni 14:27

 

“Gesù ha guarito il mio cuore”

 

“Nata in una famiglia cristiana, sono stata educata secondo l’insegnamento della Bibbia, ma non per questo lo rispettavo; anzi, ero molto ribelle e disubbidiente ai miei genitori. Quello che non sapevo era che Dio, nella Sua bontà e nel Suo amore infinito, aveva un piano per me.

Nel 2010, sono stata colpita da una malattia rara, che attacca i muscoli, i legamenti e le articolazioni. Il guaio era che non esistono cure per quella malattia, e avevo dolori persistenti, giorno e notte...

Una sera sono andata a una riunione cristiana e ho sentito predicare l’Evangelo. Quella sera, Dio ha agito profondamente nel mio cuore e ho compreso che la mia vita non mi apparteneva più: era di Cristo... Mi sono sentita liberata, trasformata. La pace regnava nel mio cuore. Oggi, dopo anni di sofferenza, mi rendo conto che una vita con Dio è un cambiamento radicale e una grazia infinita. Dio mi dà anche la grazia di poter testimoniare agli altri di ciò che ha fatto per me. Non ho mai chiesto a Dio di farmi guarire, ma so che, se è la Sua volontà, Lui lo potrà fare. Ciò che voglio è conoscere meglio Gesù, il mio Salvatore.

Lo dico anche a voi, lettori: una vita senza Dio, senza il Signore Gesù, è infelice... La mia vita non è nulla, io non sono nulla, ma per la grazia di Dio sono diventata ciò che Lui vuole che io sia.”

Silvana P.


domenica 23 febbraio 2025

La Bibbia di che cosa parla (5)

4. Lo Spirito Santo

Benché la parola «trinità» non si trovi nella Parola di Dio, la realtà di quello che essa esprime vi è ampiamente confermata.

Quando è parlato della creazione dell’uomo, il verbo è al plurale: «Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza» (Genesi 1:26). Al versetto 2 di questo stesso capitolo troviamo menzionato lo Spirito di Dio, quando è detto: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque». Le attività dello Spirito sono indicate a più riprese nell’antico Testamento. Esso agiva con potenza nei giudici e nei profeti, sia per il compimento di opere particolari, sia per la testimonianza che quegli uomini di Dio dovevano rendere. Sotto la guida dello Spirito Santo è stata scritta la Bibbia, tanto la parte storica quanto la parte profetica e quella poetica. Pietro scrive che «degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo» (2 Pietro 1:21).

Leggendo il Nuovo Testamento, impariamo a conoscere meglio questa Persona divina, la terza persona della gloriosa Divinità.

 

4.1 La sua origine e la sua natura

Lo Spirito Santo procede dal Padre (Giovanni 15:26), e il Padre lo manda a nome del Figlio (Giovanni 14:26). In seguito alla glorificazione di Gesù, la promessa riguardante la discesa dello Spirito Santo si compie il giorno della Pentecoste sui discepoli riuniti. Mentre, fino a quel momento, lo Spirito Santo esercitava il suo potere in occasioni particolari, a partire dal giorno della Pentecoste esso è venuto sulla terra per abitare in ogni singolo credente e nella Chiesa del Signore (Efesini 2:22).

È nominato «Spirito di Dio», «Spirito di Cristo», «Spirito di Gesù» e, più frequentemente, «Spirito Santo» o semplicemente «Spirito». I passi della Bibbia che lo riguardano sono così tanti che non possiamo citarli: gli scritti del Nuovo Testamento ne sono pieni.

Quanto alla natura divina dello Spirito e al fatto che sia una persona distinta dal Padre e dal Figlio, proponiamo al lettore di considerare i seguenti passi: Matteo 28:19; 1 Corinzi 12: 4-6; 2 Corinzi 13:13, come pure le tre parabole di Luca 15 dove possiamo vedere rappresentati il Figlio nella prima, lo Spirito nella seconda e il Padre nella terza.

 

4.2 Le sue funzioni essenziali

Nei capitoli 14. 15 e 16 del vangelo di Giovanni, il Signore Gesù ammaestra i suoi discepoli in vista del tempo in cui sarebbero stati lasciati sulla terra senza di Lui. Nel corso di questi intrattenimenti di deliziosa intimità, il Signore fa spesso allusione allo Spirito Santo, chiamandolo «il Consolatore». Questo termine (in greco «Paracletos») ha anche il significato di avvocato, assistente, difensore.

Lo Spirito Santo sostituisce il Signore sulla terra nella parte che Gesù aveva mentre era con i suoi discepoli. Pertanto, non poteva essere mandato prima che Gesù Cristo fosse glorificato (vedere Giovanni 7:39; 14:16; 16:7). Le funzioni di questo Consolatore sono date nei seguenti versetti:

«Lo Spirito Santo… v’insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che v’ho detto» (Giovanni 14:26);

«Egli testimonierà di me» (Giovanni 15:26); «convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio» (Giovanni 16:8);

«Egli vi guiderà in tutta la verità… e vi annunzierà le cose a venire» (Giovanni 16:13);

«Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Giovanni 16:14).

Lo Spirito Santo è come un «sigillo» che Dio mette su ogni uomo che crede quale segno che appartiene a Lui. È anche «il pegno» (cioè la caparra) dei beni celesti che Dio ci darà in eredità (Efesini 1:13-14). È Lui che ci fa comprendere la Parola di Dio e, per la sua testimonianza in noi, noi conosciamo la relazione che abbiamo con Dio per la fede (vedere 1 Giovanni 2:27; Romani 8:15-16; 1 Giovanni 3:24; 4:13).

Lo Spirito Santo è anche la «potenza» che opera nella vita di ogni credente, e la sua azione non deve venire né «rattristata» né «soffocata» né «spenta». Lo Spirito Santo agisce nel cuore dei riscattati del Signore per sviluppare degli affetti sinceri per il loro Salvatore e guidarli a desiderare più ardentemente il suo ritorno. «Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!» (Apocalisse 22:17).

Ma la sua opera non è solamente un’azione nel cuore di ogni singolo credente, ma è pure un’azione collettiva. Egli agisce nella Chiesa del Signore per mezzo di svariati «doni» tendenti tutti all’edificazione (vedere 1 Corinzi 12 e 14 come pure Efesini 4:11-13).

 

4.3 Le sue azioni occasionali

«Fan tutti dei miracoli? Tutti hanno i doni delle guarigioni? Parlano tutti in altre lingue? Interpretano tutti?» (1 Corinzi 12:29-30). Queste domande dimostrano che i doni dello Spirito sono soltanto prerogativa di alcuni (*). Se la necessità di un dono non si presenta, questo dono può non esserci. Non c’è niente che impedisca allo Spirito di agire, allora come oggi, nello stesso modo, se le circostanze lo richiedono. In generale non esistano più, per lo meno nei paesi cristianizzati, le condizioni che rendevano necessari i doni citati nei versetti qui sopra. Questi doni erano indispensabili quando la Parola di Dio non era interamente scritta e il Cristianesimo era ancora sconosciuto.

Gli ultimi versetti del Vangelo di Marco e il versetto 4 del capitolo 2 dell’epistola agli Ebrei, ci dicono che i miracoli «accompagnavano» la Parola di Dio e la «confermavano». Sia l’ambiente idolatra dei paesi pagani vicini ad Israele, sia il formalismo del culto levitico praticato dagli Ebrei, come pure la filosofia dei Greci e il tradizionalismo dei Giudei, tutto era diametralmente opposto alla verità dell’evangelo. Lo Spirito Santo doveva dunque dimostrarne la potenza per sconfiggere gli oppositori. Nei tempi futuri, descritti nell’Apocalisse, questa potenza dello Spirito di Dio agirà in modo ancor più spettacolare per mezzo dei due testimoni che allora saranno suscitati (Apocalisse 11:4-6).

 

4.4 Il tempio dello Spirito Santo

«Il Padre… vi darà un altro Consolatore, perché sia con voi in perpetuo, lo Spirito della verità… Egli dimora con voi e sarà in voi» (Giovanni 14:16-17).

«Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Corinzi 3:16).

«Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale avete da Dio?» (1 Corinzi 6:19).

«E in Lui voi pure entrate a far parte dell’edificio, che ha da servire di dimora a Dio per lo Spirito» (Efesini 2:22).

 Questi versetti dicono chiaramente quale sia il «tempio» dello Spirito Santo sulla terra. Non si tratta di una construzione umana né di un edificio particolare. Come si è detto, il credente, riscattato dal sangue di Cristo, nato di nuovo per la fede nell’opera di Gesù, è egli stesso il tempio dello Spirito Santo. Ne è suggellato e ne ha l’unzione, secondo la Parola di Dio (vedere 2 Corinzi 1:21-22; Efesini 1:13). Anche il più giovane e semplice convertito possiede questo privilegio, come leggiamo: «Quanto a voi, avete l’unzione dal Santo e conoscete ogni cosa… L’unzione che avete ricevuta da Lui dimora in voi» (1 Giovanni 2:20,27).

 Il passo di Efesini 2:22 presenta l’aspetto collettivo di questa verità; è l’insieme dei credenti, la Chiesa di Dio sulla terra che è il tempio dello Spirito Santo. Tale aspetto collettivo risalta pure dal pensiero del legame che troviamo in 2 Corinzi 1:21 e in Efesini 4:3: «Colui che con voi ci rende fermi in Cristo e che ci ha unti, è Dio»; «Studiandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace».

 

4.5 Ciò che limita l’azione dello Spirito Santo

«Non contristate lo Spirito Santo di Dio col quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione (Efesini 4: 30).

«Siate ripieni dello Spirito» (Efesini 5: 18). «Non spegnete lo Spirito» (1 Tessalonicesi 5: 19).

 Ne risulta così che il nostro comportamento può impedire allo Spirito di agire liberamente, sia nella nostra vita individuale, sia nella Chiesa di Dio in generale o in quella che ne è la rappresentazione locale, il radunamento dei credenti in un certo luogo.

 Perché tanta infedeltà generale? Perché tanta pigrizia nella testimonianza individuale? Ci sono cose che nuociono alla libera azione dello Spirito Santo. Lo Spirito non può riempire completamente il nostro cuore se questo è ancora ingombro di tante altre cose. Non dobbiamo cercare altrove le cause della debolezza della testimonianza cristiana. Lo Spirito di Dio c’è, ma la sua azione è intralciata da quella della nostra carne; e ciò si riflette sulla testimonianza collettiva tanto più quando, venuta a mancare la libera azione dello Spirito, l’uomo cerca di sostituirla con organizzazioni umane.


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(*) A ciascuno è stato dato un dono dello Spirito (1 Cor. 12:7). Però questo dono non è il medesimo per tutti (Rom. 12:6).

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 (Segue)

23 febbraio - Come fare per essere forti?

«Io credo Signore, sovvieni alla mia incredulità».

Marco 9:24

 

Per fede... trassero forza dalla debolezza.

Ebrei 11:33-34

 

Come fare per essere forti?

 

– “Io credo, ma vorrei tanto avere una fede più grande!” Pensare alla qualità della nostra fede non può che scoraggiarci. Eppure, il Signore Gesù dice che Dio risponderà persino a chi ha una fede piccola “come un granello di senape” (Matteo 17:20)! Dio non pretende da noi necessariamente delle grandi cose. Egli ama la fedeltà anche nelle cose piccole. Dopo aver messo la nostra fiducia in Gesù, cresceremo nella fede vivendo vicino a Lui, pregando e leggendo la Bibbia.

– “Io credo, ma vorrei avere una fede più solida!” Ogni giorno possiamo renderci conto della nostra incostanza: quello che davamo per acquisito lo dobbiamo imparare di nuovo. Anche i più grandi servitori del Signore hanno avuto dei dubbi. Il profeta Elia era un uomo “sottoposto alle stesse nostre passioni” (Giacomo 5:17), ma dopo aver sperimentato delle straordinarie liberazioni aveva dubitato ed era fuggito. Dio però ha continuato ad occuparsi di lui (1 Re da 17 a 19)

– “Io credo, ma vorrei avere una fede più viva!” Dopo aver creduto che Gesù è il Figlio di Dio, morto sulla croce per noi, abbiamo la tendenza a ritornare alla nostra routine. I discepoli di Gesù lo avevano accompagnato per tre anni e avevano creduto le Sue parole; eppure, dopo la Sua crocifissione, molti erano tornati delusi al loro vecchio lavoro. Ma Gesù risuscitato era apparso e aveva parlato con loro. Manteniamo anche noi un’intimità giornaliera col Signore parlandogli e ascoltando le Sue parole: è questa relazione permanente che renderà viva la nostra fede.



sabato 22 febbraio 2025

La Bibbia di che cosa parla (4)

3. Gesù Cristo

Da un lato c’è l’Iddio santo, dall’altro l’uomo peccatore… come conciliare queste due parti?

Una simile domanda è posta già nel libro di Giobbe, la cui narrazione risale a tempi estremamente remoti:

«Come sarebbe il mortale giusto davanti a Dio?» (Giobbe 9:2).

«Che è mai l’uomo per essere puro, il nato di donna per esser giusto?» (Giobbe 15:14).

«Come può dunque l’uomo esser giusto dinanzi a Dio? Come può esser puro il nato dalla donna?» (Giobbe 25:4).

In questo stesso libro è già intravista una risposta, annunziata dallo spirito di Dio per bocca del saggio Elihu: «Se presso a lui vi è un angelo, un interprete… Iddio ha pietà di lui e dice: Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto» (Giobbe 33:23-24). C’è dunque la necessità di un «mediatore», di uno che interceda.

Fin dall’inizio del Nuovo Testamento, lo Spirito di Dio ci fa conoscere chi è l’intermediario tra Dio e gli uomini, il grande Mediatore: Gesù Cristo. Egli non poteva essere trovato fra i figli degli uomini, perché tutti sono intaccati dal peccato: «Non v’è alcun giusto, neppure uno» (Romani 3:10). Ogni sforzo della nostra razza colpevole si rivelò inutile per produrre un seppur minimo miglioramento. Eppure Dio voleva ristabilire la relazione tra Sé e la sua creatura. E il solo mezzo era mandare il suo Figlio sulla terra, Gesù, Emmanuele (che significa «Dio con noi»)!

 

3.1 Chi è Gesù

a. La sua natura divina

«Maria… si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo… Ciò che in lei è generato è dallo Spirito Santo. Ed ella partorirà un figliuolo e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati… La vergine sarà incinta e partorirà un figliuolo, al quale sarà posto nome Emmanuele, che interpretato vuol dire: Iddio con noi» (Matteo 1:18-23).

«Dio ha parlato a noi mediante il suo Figliuolo, ch’Egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale pure ha creato i mondi; il quale, essendo lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza, quand’ebbe fatta la purificazione dei peccati, si pose a sedere alla destra della Maestà nei luoghi altissimi» (Ebrei 1:1-3).

«Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio» (Giovanni 1:1).

 

b. La sua natura umana

«E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi» (Giovanni 1:14).

«Grande è il mistero della pietà: Dio è stato manifestato in carne» (1 Timoteo 3:16).

«Gesù è stato fatto di poco inferiore agli angeli… a motivo della morte che ha patita» (Ebrei 2:9).

«Io sono il primo e l’ultimo, e il Vivente; e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli» (Apocalisse 1:18).


La realtà della natura umana di Gesù è ampiamente dimostrata dalle narrazioni dei Vangeli; e la testimonianza che ne danno gli apostoli rende questa verità ancora più evidente.

Vogliamo tuttavia aggiungere ancora tre versetti indicanti la perfezione assoluta dell’umanità rivestita dal nostro Signore, poiché, pur «partecipando al sangue ed alla carne» (Ebrei 2:14), Egli non aveva la natura peccatrice dell’uomo:

«Colui che non ha conosciuto peccato, Egli l’ha fatto essere peccato per noi» (2 Corinzi 5:21).

«Egli che non commise peccato…» (1 Pietro 2:22).

«In Lui non c’è peccato» (1 Giovanni 3:5).

L’unione della natura umana e della natura divina in una stessa persona è un mistero che non abbiamo la possibilità di analizzare. La Parola di Dio lo dichiara, e noi crediamo e adoriamo. I profeti lo avevano già annunziato, come in quel passo di Isaia: «Un fanciullo ci è nato (è la sua umanità), un figliuolo ci è stato dato (è la divinità, è Cristo figlio di Dio), e l’imperio riposa sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della Pace» (Isaia 9:6).

Questi vari titoli dimostrano la sua divinità e la sua umanità nello stesso tempo; Egli farà valere i diritti di queste sue caratteristiche secondo il suo potere divino, e a motivo della sua qualità di «Figlio dell’uomo», come Egli stesso dice: «Come il Padre ha vita in se stesso così ha dato anche al Figliuolo d’aver vita in se stesso; e gli ha dato autorità di giudicare, perché è il Figliuol dell’uomo» (Giovanni 5:26-27).

 

3.2 L’opera di Gesù Cristo

«Il Figliuol dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Marco 10:45). Egli è venuto per servire Dio, suo Padre, ma anche per servire il suo popolo durante il tempo del suo ministerio di grazia.

Venuto nell’umiltà più profonda, il Signore Gesù ha preso «la forma di servo» (Filippesi 2:7) ed era fra i suoi discepoli come «colui che serve» (Luca 22:27). La perfezione del suo servizio a favore dei suoi è stata ed è altrettanto grande quanto la perfezione della sua abnegazione. Quest’umiltà nel servizio lo portò a lavare i piedi dei suoi discepoli. Non c’era niente di troppo piccolo né di troppo modesto per il Servitore perfetto la cui completa gioia consisteva nel fare la volontà di Colui che l’aveva mandato.

 «Io sono il buon pastore; il buon pastore mette la sua vita per le pecore» (Giovanni 10: 11). Gesù Cristo ha messo la propria vita al servizio dei suoi durante il suo ministerio, ma, ancora di più, ha dato la sua vita «come prezzo di riscatto per molti».

 Indicheremo ora, con dei passi della Scrittura, vari aspetti dello scopo della morte del Signore Gesù sulla croce del Calvario:

«Gesù Cristo… ha dato se stesso per i nostri peccati» (Galati 1:4).

«Gesù Cristo uomo… diede se stesso qual prezzo di riscatto per tutti» (1 Timoteo 2:6).

«Ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo sul legno» (1 Pietro 2:24).

«Gesù, nostro Signore… è stato dato a cagione delle nostre offese, ed è risuscitato a cagione della nostra giustificazione» (Romani 4:25).

«Cristo ci ha amati ed ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio, qual profumo d’odor soave» (Efesini 5:2).

«Cristo,… mediante lo spirito eterno ha offerto se stesso puro d’ogni colpa a Dio» (Ebrei 9:14).

«Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per ripigliarla poi» (Giovanni 10:17).

 Si potrebbero citare molti altri versetti della Parola di Dio, che ci indicano i due grandi scopi della morte di Gesù sulla croce:

    1. rivendicare la gloria di Dio secondo i diritti della sua giustizia e della sua santità;

    2. salvare l’uomo purificandolo dal suo peccato.

 

3.3 Il trionfo di Gesù Cristo

Mediante la morte Egli ha «reso impotente colui che aveva l’impero della morte, cioè il diavolo» (Ebrei 2:14). Alla croce, il Signore ha trionfato sulle potenze delle tenebre, le ha spogliate e ne ha fatto un pubblico spettacolo (Colossesi 2:15).

 Al termine delle ore trascorse sulla croce, prima di rimettere il suo spirito nelle mani del Padre, ha detto: «È compiuto» (Giovanni 19:30). Poi entrò nel soggiorno della morte ma come un vincitore, perché questa fortezza inespugnabile, custodita da Satana stesso, è ormai presa: «Egli ha rotto le porte di rame e ha spezzato le sbarre di ferro» (Salmo 107:16). Niente impedirà alla morte di restituire la sua preda; infatti il Signore è risuscitato; il sepolcro, nonostante la pesante pietra che ne chiudeva l’entrata, si aprì e fu visto vuoto. «La morte è stata sommersa nella vittoria» (1 Corinzi 15:54).

 Ci sono numerose prove che attestano questa verità capitale: «Cristo è risuscitato dai morti» (1 Corinzi 15:20). Questo grande avvenimento è il fondamento della fede cristiana; non c’è da stupirsi quindi che i nemici dell’evangelo si siano accaniti contro questa grande verità.

 Ma il trionfo di Gesù non si limita alla sua risurrezione: «L’ora viene in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne verranno fuori» (Giovanni 5:28). A Lui che è morto sulla croce e che è stato risuscitato sarà data la dominazione universale. Questo glorioso trionfo è dichiarato da numerosi testi delle Sacre Scritture, sia esplicitamente sia attraverso simboli e figure. Senza trascriverli tutti, proponiamo al lettore di cercare nella sua Bibbia quelli citati qui sotto, lasciandogli la cura di scoprirne altri:

    – I Salmi 2; 8; 21; 22; 24; 45; 110 ecc.

    – Apocalisse 19:6-16.

    – La storia di Giuseppe, in Genesi cap. 39 a 41.

    – La storia di Mardocheo, in Ester 6 a 8.