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martedì 27 maggio 2014

Giuseppe - L’ultimo muro


La vita di Giuseppe è stata costellata da grandi difficoltà, momenti lunghi di prova, pericoli. Sappiamo che Giacobbe, nelle sue parole profetiche in Genesi 49, lo paragona ad un albero fruttifero i cui rami si stendono oltre il muro.  Come già evidenziato nell’articolo “I rami che si stendono sopra il muro” un’applicazione morale di questo passo è che quest’uomo  ha dimostrato fede e portato frutto per Dio in ogni circostanza della sua vita.

                Guardando alla sua storia crediamo di poter affermare con certezza che:
- Per fede ha servito quando era nella casa di Potifar;
- Per fede è fuggito alle tentazioni della moglie di Potifar per non peccare contro Dio;
- Per fede ha sopportato l’ingiustizia della prigione;
- Per fede ha perdonato i suoi fratelli;
- Per fede ha potuto affermare ai suoi fratelli: “Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare la vita a molti scampati”. Genesi 45:7.
E molto altro oltre a questo.

                Se leggiamo però nel capitolo 11 dell’epistola agli Ebrei, l’autore della lettera si esprime in questo modo: “Per fede Giuseppe, quando stava per morire, fece menzione dell’esodo dei figli di Israele e diede disposizione circa le sue ossa” Ebrei 11:22.
Questo brano ci trasporta agli ultimi attimi della vita di quest’uomo di fede.
Ricordiamo qual è la definizione di fede e cosa dobbiamo fare guardando alla fede di chi ci ha preceduto.
“Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” Ebrei  11:1. La stessa lettera ci dice “Ricordatevi dei vostri conduttori, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; e considerando quale sia stata la fine della loro vita, imitate la loro fede”(13:7).
Allora vediamo come Giuseppe ha finito la corsa e cosa dobbiamo imitare di questa fede.

                Giuseppe è un uomo che si è avvicinato al momento della morte in modo consapevole. Era conscio che il momento di lasciare la scena di questo mondo stava arrivando. Possiamo dire che per gli uomini  la morte è un muro che fa paura. Nella Bibbia è definita come “il re degli spaventi” Giobbe 18:14. Per l’essere umano è un terreno inesplorato. I credenti certamente hanno delle promesse che sono contenute nella Parola di Dio, ma la morte però anche per loro è qualcosa che porta dolore, che crea un distacco e separa dalle persone care.  La Bibbia, inoltre definisce la morte un nemico, l’ultimo nemico che sarà vinto.  Anche Giuseppe aveva delle promesse e su  di esse si fondava. Erano le promesse che Dio aveva fatto ad Abramo tanti anni prima. Ascoltiamo direttamente dalla voce di Giuseppe cosa disse ai suoi fratelli. “Giuseppe disse ai suoi  fratelli:<<Io sto per morire, ma Dio per certo vi visiterà e vi farà salire, da questo paese, nel paese che promise con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe>>. Giuseppe fece giurare i figli di Israele, dicendo: <<Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui le mie ossa>>. Genesi 50:24-25.
 Dio aveva fatto delle promesse ad Abramo (Genesi 15:7-16), le stesse erano state rinnovate ad Isacco (Genesi 26:2-6) e a Giacobbe(Genesi 28:13-15). E’ interessante notare che Giacobbe aveva detto a Giuseppe: “Ecco, io muoio; ma Dio sarà con voi e vi farà ritornare nel paese dei vostri padri” (Genesi  48:21).
Possiamo dire che le promesse di Dio passano attraverso le generazioni,  sia quelle  fatte ad Abramo che quelle per i credenti del tempo attuale. Ognuno però se ne deve appropriare personalmente per mezzo della fede. Questo è ciò che ha fatto Giuseppe. Possiamo notare la sua convinzione. Per ben due volte ripete “Dio per certo  vi visiterà”.  Non ci sono dubbi nelle sue parole, ci sono solo certezze. Questa espressione  “vi visiterà”, fa intendere che Dio sarebbe intervenuto in potenza in favore del suo popolo. Ci ricordiamo che qualche generazione dopo, quando Mosè ed Aaronne andarono dagli anziani di Israele , è detto: “Essi compresero che il Signore aveva visitato i figli di Israele e aveva visto la loro afflizione, e s’inchinarono e adorarono”. Le parole di Giuseppe dovevano ricordare che l’Egitto era solo un’esperienza transitoria per Israele. Questo popolo aveva un paese promesso.  Dio  avrebbe mantenuto le sue promesse e nemmeno i suoi resti sarebbero dovuti rimanere in Egitto. Notiamo anche la solennità del momento: “fece giurare i figli di Israele”.

                Come ci poniamo davanti alla morte? Il nostro corpo può tornare alla terra, quello di Giuseppe è stato messo in un sarcofago, ma “sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna nei cieli” (2 Corinzi 5:1). Siamo animati da questa certezza di fede? La trasmettiamo anche agli altri?

                Un altro aspetto importante da considerare. Che impatto ha avuto sulle generazioni successive  la fede di Giuseppe? Io credo che i resti di Giuseppe, conservati dagli Israeliti, fossero una testimonianza permanente del fatto che Dio avrebbe liberato il suo popolo e mantenuto le sue promesse. C’era stata la schiavitù, peraltro prevista nella promessa fatta ad Abramo, le condizioni di vita degli Israeliti peggioravano progressivamente, ma le ossa di Giuseppe ricordavano che ci sarebbe stata una partenza per il luogo della promessa.  Riflettiamo un momento su quanto è accaduto per la decima piaga: alla concitazione, alla tensione  di quegli attimi, alla Pasqua che doveva essere mangiata “in fretta”, agli Egiziani che “fecero pressione sul popolo per affrettare la sua partenza” (Esodo 12:33), ad un popolo di seicentomila uomini che si mette in cammino. E in tutto questo scenario  la Parola ci dice: “Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe; perché questi aveva espressamente fatto giurare ai figli di Israele, dicendo:<<Dio, certamente vi visiterà; allora, porterete con voi le mie ossa da qui>>” (Esodo 13:19). Tutto questo non parla ai nostri cuori? Le parole di Giuseppe, e la volontà che queste esprimevano, erano passate attraverso le generazioni! Nonostante tutto quello che era accaduto nel corso di quegli anni, le sue parole non erano state dimenticate.
 Se abbiamo sperimentato di essere al capezzale di un nostro congiunto credente, che in modo cosciente si avvicina alla morte, la sua pace, la sua calma, la sua serenità, il fatto che aspetti di entrare nella pace del Suo Salvatore in attesa della risurrezione del corpo, credo che possano avere un effetto dirompente su di noi.  Sono la dimostrazione che il credente può superare questo muro, l’ultimo muro di questa vita, con la forza che Dio dà, avendo davanti la gloria celeste, il luogo che il Signore ci ha promesso e preparato. Questo ci dà forza e ci può donare la  piena convinzione che Dio darà anche a  noi la stessa energia spirituale quando questo momento verrà.

                Passano gli anni, il popolo dopo il pellegrinaggio nel deserto arriva in Canaan, conquista il paese. La Parola ci ricorda:  “E le ossa di Giuseppe, che i figli d’Israele avevano portate dall’Egitto, essi le seppellirono a Sichem, nella parte del campo che Giacobbe aveva comprato dai figli di Chemor, padre di Sichem, per cento pezzi di denaro; e i figli di Giuseppe le avevano ricevute come eredità(Giosuè 24:32).
Il viaggio è terminato. Dio ha mantenuto le sue promesse nonostante le infedeltà del popolo. I figli di Giuseppe  ricevono la parte di eredità nel paese promesso, una parte doppia. La sepoltura delle ossa di Giuseppe in quel luogo avrebbe parlato anche alle generazioni successive e rimanevano testimoni della fedeltà e della potenza di Dio verso il Suo popolo.  Giuseppe e il popolo di Israele avevano delle promesse terrene e Dio le ha mantenute, la morte non ha minimamente scalfito le certezze di fede di Giuseppe. Noi per il tempo presente potremmo essere chiamati a passare per la morte, magari in modo consapevole, come è stato per Giuseppe. L’apostolo Paolo, condannato a morte, scrivendo a Timoteo, vedendo la  sua vita terrena giungere al  termine scriveva: “Quanto a me io sto per essere offerto in libazione, il tempo della mia partenza è giunto” (2 Timoteo 4:6). Non parla di fine, di termine, parla di partenza. Il termine veniva utilizzato in campo nautico, quando una nave levava l’ancora e scioglieva le vele. Per il credente la morte non è la fine, non è un muro insormontabile, è addormentarsi nella pace del Salvatore per essere alla Sua presenza in una  gioiosa e cosciente attesa della risurrezione del corpo. Paolo scriveva ai Filippesi al cap 1 versetto 23  “..ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio. Giuseppe attendeva che i suoi resti fossero trasportati dall’Egitto in Canaan e noi? “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere a sé ogni cosa” (Filippesi 3:20-21).
Quali grandi promesse abbiamo grazie al valore dell’opera di Cristo! Che certezze ha la fede! Non ci sono muri insormontabili per i credenti!


Cesare Casarotta