PASQUA AL SIGNORE
Siamo ormai alla fine dell'opera di riforma di Giosia. Si
celebra la Pasqua. È una Pasqua speciale “Nessuna Pasqua, come quella, era
stata celebrata in Israele dai giorni del profeta Samuele; né alcuno dei re
d'Israele aveva celebrato una Pasqua pari a quella celebrata da Giosia, dai
sacerdoti e dai Leviti, da tutto Giuda e Israele che si trovavano là, e dagli
abitanti di Gerusalemme” 2 Cronache 35:18.
Il fatto che Giosia abbia fatto celebrare la Pasqua ci
mostra innanzitutto che egli aveva continuato a crescere interiormente. Non era
soddisfatto di ciò che aveva ottenuto, ora capisce che Dio sta aspettando che
il Suo popolo gli dimostri qualcosa. Ecco perché si afferma espressamente che
si trattava di una Pasqua celebrata “in onore del Signore” 2 Cr. 35:1.
Prima di applicare a noi stessi questo evento della vita di
Giosia, chiediamoci brevemente quale sia il significato della Pasqua. Dobbiamo
distinguere attentamente tra due cose. Innanzitutto dobbiamo vedere quale
significato ha avuto la Pasqua ebraica per Israele e quale applicazione può
avere per noi. In secondo luogo, dobbiamo distinguere la Pasqua osservata per
la prima volta in Egitto ( Esodo 12) dalle celebrazioni pasquali che il popolo
di Dio condusse successivamente nel deserto e poi sulla terra. Per il popolo
d'Israele la Pasqua in Egitto ha rappresentato un nuovo inizio fondamentale.
Dio voleva liberare il Suo popolo dalla schiavitù del Faraone, e la Pasqua fu
l'inizio. Mentre il giudizio si abbatteva sul paese d'Egitto, gli Israeliti
erano sotto la protezione del sangue dell'Agnello pasquale. Per ricordare il
loro esodo dall'Egitto e la salvezza che ne derivava, Dio aveva dato loro la
Pasqua come istituzione perenne (Esodo 12:24). Dovrevano celebrarlo anno dopo
anno (Levitico 23:5).
Applicati a noi stessi, possiamo distinguere tre particolari
riguardo la Pasqua:
Innanzitutto, la Pasqua in Egitto ci ricorda il Calvario.
L'agnello pasquale rimanda senza dubbio al Signore Gesù, l'Agnello di Dio, che
versò il Suo sangue alla croce quando morì (1 Cor 5,7).
In secondo luogo, nella storia dell’Egitto vediamo
l’immagine di un uomo che si mette al riparo del sangue del Signore Gesù per
trovare il perdono dei suoi peccati e protezione dal giusto giudizio di Dio.
In terzo luogo, e questo è ciò che abbiamo qui, le
celebrazioni annuali della Pasqua ci mostrano qualcosa di ciò che facciamo
quando ci riuniamo per spezzare il pane. Naturalmente non celebriamo la Pasqua,
ma proprio come gli Israeliti ricordavano continuamente ciò che accadde per
loro in Egitto, noi ricordiamo continuamente ciò che il Signore Gesù fece sulla
croce. Nonostante tutte le differenze tra le due istituzioni, vediamo ancora
alcuni parallelismi, così che possiamo, con tutta la dovuta cautela, applicare
le celebrazioni annuali della Pasqua alla frazione del pane. Ciò vale anche per
la Pasqua celebrata da Giosia.
Allora cosa c’era di così speciale nella Pasqua di Giosia?
Durante il regno dei re di Giuda si celebravano molte Pasqua. Quindi il fatto
in quanto tale non era necessariamente qualcosa di speciale. Ciò che è stato
distintivo è stato, da un lato, il momento e dall'altro, il modo in cui è stato
celebrato. Per quanto riguarda il momento, era la fine dei tempi dei re di
Giuda. Ancora qualche anno e sarebbe arrivato il giudizio. È proprio in quel
momento che si celebra una Pasqua che non è mai stata celebrata sotto nessun
altro re per il modo nel quale viene fatta. Questo è un principio importante e
allo stesso tempo un grande incoraggiamento. Anche se viviamo negli ultimi
tempi della testimonianza cristiana, non è bene dire che automaticamente tutto
peggiorerà. È una grazia speciale di Dio che anche nei giorni più bui, quasi
alla fine del periodo di grazia, ci sia permesso di agire secondo la volontà di
Dio riguardo al ricordo della morte del Signore e di godere delle benedizioni
che ne derivano.
Perché Giosia si è impegnato così tanto in questa Pasqua?
Anche si manifesta come un uomo che non si arrende. Se Giosia fosse stato
influenzato dallo spirito e dai princìpi degli ultimi tempi, di certo non
avrebbe celebrato la Pasqua. Si sarebbe seduto godendosi i benefici che la sua
posizione gli consentiva rilegando le cose che riguardavano Dio in seconda
posizione. E noi? Negli ultimi tempi vale ancora la pena interrogarsi sulla
volontà di Dio e su ciò che lo riguarda?
La mente di Dio non è cambiata e ci dà ancora l'opportunità di celebrare la
Commemorazione come aveva originariamente previsto. Non possiamo semplicemente
scusarci dicendo che tutto è così debole e sta peggiorando sempre di più. La
storia di Giosia deve incoraggiarci.
Anche per quanto riguarda il modo in cui Giosia e il popolo
celebravano la Pasqua possiamo imparare molto.
In primo luogo, notiamo, e anche questo è caratteristico di
Giosia, che tutto è stato eseguito esattamente secondo le istruzioni che Dio
aveva dato tramite Mosè (2 Cr 35:4,6,12,13). La Parola di Dio veniva ascoltata
e rispettata. Giosia andò oltre, ad esempio, rispetto a Ezechia, che aveva
celebrato anche lui una grande Pasqua. Ezechia lo celebrò il 14 del secondo
mese (2 Cr. 30:15). Dio aveva dato questa possibilità in caso di contaminazione
(Num. 9:9-11), ma l'idea reale di Dio era che la Pasqua dovesse essere
celebrata nel primo mese (in Abib) (Deuteronomio 16:1). Dio diede istruzioni
chiare anche riguardo allo spezzare il pane. Non lascia alla nostra ingegnosità
il modo in cui riunirci per ricordare il nostro Signore. Siamo disposti a
sottometterci alla volontà di Dio o pensiamo di saperne di più? È la Cena del
Signore e anche la Mensa del Signore. Lì è Lui a comandare. Lui aspetta che ci
riuniamo per spezzare il pane, ma aspetta anche che lo facciamo secondo i suoi
pensieri. Come ci parla l'obbedienza di Giosia!
In secondo luogo, qui troviamo l’idea di santità. Anche se
avevano avuto luogo grandi preparativi, la casa di Dio era stata purificata e
il popolo aveva rinnovato l'alleanza, Giosia esortò alla santità i leviti che
immolarono la Pasqua. (2 Cronache 35:3-6). Evidentemente gli attribuiva grande
importanza. Anche in questo caso i pensieri di Dio non sono cambiati. Sappiamo
ancora qualcosa della santità legata alla mensa del Signore? Siamo un
sacerdozio santo, qualificato a esercitare il sacerdozio spirituale nel
santuario. Ma questo da solo non basta, perché il Signore si aspetta che anche
noi compariamo davanti a Lui in una santità pratica.
In terzo luogo notiamo il carattere volontario della
donazione (2 Cr. 35:8). Il Signore non ci obbliga a riunirci e a spezzare il
pane in memoria di Lui. Anche nel culto legato alla mensa del Signore non c'è
costrizione, ma piuttosto volontarietà. Il Signore Gesù disse alla donna al
pozzo di Giacobbe: "Il Padre cerca tali adoratori" Giovanni 4:23. Il
Padre non comanda l'adorazione, ma la cerca. Non è un pensiero che commuove i
nostri cuori? Vogliamo lasciarlo cercare invano? Rifiuteremo il desiderio del
nostro Signore che disse: “Fate questo in memoria di me”? Quanto tempo vuoi
farlo aspettare?
In quarto luogo, vediamo che la celebrazione della Pasqua
non era limitata ai residenti di Gerusalemme e di Giuda. È specificato
specificamente chi celebrò, vale a dire "Giosia ... e i sacerdoti, i
leviti, tutto Giuda e Israele che erano presenti, e gli abitanti di
Gerusalemme" (2 Cr. 35:18). La Pasqua non era solo una commemorazione, ma
era anche un simbolo dell'unità del popolo di Dio. Ritroviamo queste due facce
nella frazione del pane. Da un lato lo spezziamo in ricordo di nostro Signore e
della Sua opera (1 Cor 11:24), dall'altro lo spezziamo come espressione
dell'unità di tutti i figli di Dio (1 Cor 10:17). Quando ci riuniamo alla mensa
del Signore per spezzare il pane, lo facciamo sulla base dell'unità del popolo
di Dio. Non è questo un ottimo modo per testimoniare l'unità che raccoglie
tutti i figli di Dio, soprattutto in un tempo di divisione e disgregazione?
Possiamo ben immaginare quanto gioissero i figli d'Israele
ai giorni di Giosia. Ripensarono a ciò che era accaduto in Egitto ed erano
felici di celebrare la festa come Dio voleva. Possiamo sperimentare questa
gioia ogni domenica quando ricordiamo l'opera del nostro Salvatore sulla croce.
Non manchiamo di riconoscere che ci sono alcune cose che ci rendono tristi, ma
nonostante tutta la tristezza, non vogliamo lasciare che ci privi della gioia
che proviamo quando ci riuniamo per spezzare il pane. Il Signore ci sta dando
l'opportunità, soprattutto negli ultimi giorni, di annunciare la Sua morte come
Lui vuole. Il prerequisito è che conosciamo i Suoi pensieri e siamo pronti a
metterli in pratica. Allora non è semplicemente un “esercizio obbligatorio” per
noi presentarci alla mensa del Signore la domenica, ma è il nostro cuore che ce
lo suggerisce.
4. UN FINALE TRISTE
“Dopo tutto questo“ (2 Cr. 35:20), così comincia il
resoconto della fine di Giosia. Viene quasi voglia di rileggere la frase di
inizio per la sorpresa. Eppure, anche attraverso questo triste evento, Dio
vuole parlarci. La Scrittura è sempre realistica. La Bibbia non ci dice che gli
“eroi della fede“ non avevano difetti. Persino uomini come Abramo, Isacco,
Giosuè, Davide e altri hanno avuto periodi o almeno situazioni nella loro vita
in cui non hanno agito in accordo con il loro Dio. Se Dio ci dice qualcosa al
riguardo, non è sicuramente per farci giudicare loro, ma perché possiamo
imparare qualcosa da soli. Se cerchiamo la perfezione, la troveremo solo nella
vita di nostro Signore. In Lui non c'è stata la minima deviazione nel cammino
intrapreso per la gloria del Padre suo.
Ciò che rende la vita di Giosia così tragica è il fatto che
alla fine sia caduto all'improvviso. Da giovane aveva cominciato a cercare Dio,
da giovane ha condotto una vita di fede attiva e ha anche motivato gli altri,
ma quando è diventato adulto è caduto. Un buon inizio, un buon seguito, ma una
fine triste: ecco come si potrebbe riassumere la sua vita. Una vita improntata
sulla volontà di Dio, ecco che all'improvviso giunge a una tragica fine.
Questo, in qualche modo, deve farci riflettere.
(fine)