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venerdì 30 aprile 2021

Durezza di cuore

Esiste una malattia che fa diventare le giunture rigide come se fossero pezzi di legno.

Il sistema scheletrico è tenuto insieme da legamenti e tendini, la FOP, ovvero la fibrodisplasia ossea permanente, irrigidisce i tessuti teneri e trasforma il corpo in un armatura ossea.

Questa malattia, favorita spesso da vecchie lesioni e ferite, fa si che le ossa reagiscono in modo eccessivo sviluppandosi in maniera invasiva.

Si manifesta iniziando a solidificare il collo e la spina dorsale, poi è la volta di spalle, fianchi e gomiti. Con il passare degli anni la malattia può arrivare a imprigionare tutto il corpo.

“ho considerato bene questo popolo, popolo ecco è un popolo dal collo duro”  Esodo 32:9.

Avevano visto l'acqua trasformarsi in sangue, il sole a mezzogiorno scomparire nelle tenebre più fitte, il Mare Rosso aprirsi in due lasciando che i loro lo attraversassero come per l'asciutto e l'esercito egiziano scomparire nel tentativo di imitarli. Avevano attraversato il deserto sotto la nuvola ed avevano visto le loro notti illuminate da una colonna di fuoco.

Ex schiavi testimoni di un'infinità di miracoli. Ma non avevano creduto, anzi il loro collo si era irrigidito e più volte si erano opposti a Dio e a Mosè.

Avevano chiesto aiuto ad una statua e avevano danzato intorno ad essa cantando e ballando. 

Che sintomo terribile quando il collo s'irrigidisce e non vuole più piegarsi.

Spiritualmente parlando possiamo dire che questa malattia colpisce anche il cuore e quando ciò accade non rovina solo la nostra vita ma anche quella dei nostri familiari.

Come esempio il Signore identificò nel cuore indurito il martello capace di demolire un matrimonio. 

Quando lo interrogarono sul divorzio, rispose: “Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma nel principio non era così” Matteo 19:8.

Noi non abbiamo visto tutti i miracoli che Israele ha visto ma per ragion di tempo dovremmo essere dei maestri capaci di insegnare ad altri

“Poiché, mentre per ragion di tempo dovreste esser maestri, avete di nuovo bisogno che vi s'insegnino i primi elementi degli oracoli di Dio; e siete giunti a tale che avete bisogno di latte e non di cibo sodo.” Ebrei 5:12.

Ma spesso c'è ancora bisogno di latte. Un cibo predigerito. 

Frutto di lavoro di altri che hanno mangiato e ruminato.

Hai il cuore duro? Portalo a tuo Padre, confessa a Lui il tuo stato.

Non lasciare che questa malattia distrugga la tua vita e la tua testimonianza.

30 aprile - “Sii per me una forte rocca”

È meglio rifugiarsi nel SIGNORE che confidare nell’uomo.

Salmo 118:8

 

O SIGNORE, poiché ho confidato in te… sii per me una forte rocca, una fortezza dove tu mi porti in salvo.

Salmo 31:1, 2

  

“Sii per me una forte rocca”

 

Certe zone del nostro pianeta sono particolarmente soggette a gravi terremoti. Ricordiamo tutti il terribile sisma avvenuto in Giappone nel Marzo 2011 e le sue disastrose conseguenze. Da qualche anno un gruppo di scienziati ha pubblicato la “World Stress Map”, un’opera continuamente aggiornata che rileva le forze all’origine dei movimenti della crosta terrestre in più di 14.000 luoghi del globo. Questo fa sì che i sismi siano in qualche modo prevedibili anche nella loro intensità.

Il rischio di un sisma ci spaventa, e frasi come “Qui da noi non capiterà” non sono per nulla realistiche (basti pensare al prolungato terremoto in Emilia, zona non considerata particolarmente a rischio, del maggio 2012). In un terremoto sono coinvolti tutti, buoni e cattivi, cristiani e non. I credenti, anche i più fedeli, non ne sono risparmiati. Però, la promessa del loro Signore vale più della sicurezza ambientale: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:20). Il credente, che appartiene a Dio per la fede in Gesù Cristo, è al sicuro nelle Sue mani, anche se sopravviene la morte. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Giovanni 11:25). Nel corso di qualsiasi tempesta della vita, il credente conosce grandi liberazioni. Egli non è mai solo! Ecco la promessa di Dio.

giovedì 29 aprile 2021

Cacciatore

“Certo egli ti libererà dal laccio del cacciatore” Salmo 91:3. 


Come un cacciatore, Satana, il grande nemico delle anime, prende gli uomini nelle sue trappole. Il laccio è sempre “nascosto” alla vista delle possibili vittime. Per questo è necessario stare in guardia anche quando pensiamo che “non ci sia gran che di male a fare questo o quello”. Satana affascina con le apparenze che ingannano. Fa balenare delle gioie sconosciute, dei vantaggi nuovi. Esattamente come il cacciatore cela i suoi lacci all'interno di un cespuglio di more o di bacche appetibili.

Una volta era diffusa l'arte di addestrare dei falconi per catturare gli uccelli. Quando il cacciatore lanciava il suo falcone verso la preda, quest'ultima non aveva che una via di salvezza: innalzarsi. Questo perché il falcone non può attaccare, finché l'uccello che sta cacciando si tiene in ascesa. Ma se scende al suo livello o sotto di lui, diventa una facile preda.

E' la stessa cosa per ogni credente: fino a quando il suo obiettivo è il cielo e sale, non ha niente da temere da parte del nemico. Se siamo coscienti della nostra estrema debolezza, della nostra incapacità di combattere il nemico, cerchiamo rifugio presso di Lui, presso Colui che ci dice: “Resta con me, non temere...con me sarai al sicuro” 1 Sam. 22:23.

Quanti fra voi sono ancora schiavi del cacciatore o impigliati nei lacci del peccato? Sappiate, che gli sforzi che fate per liberarvi da soli non serviranno a niente. C'è qualcuno più forte del “cacciatore” e delle sue trappole, il Liberatore, Cristo che ha vinto. Affidatevi a Lui e potrete elevarvi al di sopra da ogni attacco.

29 aprile - Al di là del mondo visibile

Chi è salito in cielo e ne è disceso? Chi ha raccolto il vento nel suo pugno? Chi ha racchiuso le acque nella sua veste? Chi ha stabilito tutti i confini della terra? Qual è il suo nome e il nome di suo figlio? Lo sai tu?

Proverbi 30:4

 

Al di là del mondo visibile

 

L’uomo, essere intelligente e sensibile, non ha cessato di ampliare le sue conoscenze del mondo visibile. Si resta meravigliati nel vedere quanti segreti siamo riusciti progressivamente a scoprire, anche in campi per tanto tempo sconosciuti.

Ma se l’essere umano ha grandi capacità e grandi aspirazioni, se la sua curiosità sembra senza limite, sarà comunque sempre superato. Il mondo visibile è troppo vasto, la sua complessa organizzazione troppo misteriosa perché la mente umana l’abbracci nella sua estensione. Le più grandi intelligenze vi si perdono e riescono a sollevare solo un angolino del velo che nasconde la realtà delle cose. È una ricerca continua, ma sempre limitata e imperfetta.

Cosa dire allora del mondo invisibile? L’unico accesso alla conoscenza di quel mondo si ha tramite la rivelazione che Dio stesso ci fa nella Bibbia. C’è riposo per coloro che credono con semplicità in un Dio creatore. Essi credono che Dio all’inizio ha fatto ogni cosa bella, ma che poi il male ha rovinato tutto quando l’uomo ha rifiutato di ubbidire al suo Creatore. Sanno anche che il peccato dell’uomo non ha fermato l’opera di Dio, tant’è vero che la Sua grandezza risplende nel piano di salvezza proprio in favore di quell’umanità che l’ha rifiutato. Questa conoscenza di Dio, che va ben al di là del mondo materiale, è il privilegio supremo di chi, per aver accolto Gesù nel suo cuore, ha ricevuto il diritto di diventare un figlio di Dio! (Giovanni 1:11-13)

mercoledì 28 aprile 2021

Morti al peccato, ma viventi a Dio

“Fate conto di essere morti al peccato” (Romani 6:11).

“Presentate voi stessi a Dio come di morti fatti viventi” (Romani 6:13).

“Non regni il peccato nel vostro corpo mortale” (Romani 6:12).


Questi versetti ci insegnano a vivere come discepoli del Signore Gesù Cristo. Si nota subito che questo insegnamento non è presentato come un sistema di regole particolari da osservare. Non c’è nessun elenco che ci indichi dettagliatamente come dobbiamo comportarci nelle circostanze diverse nelle quali veniamo a trovarci. Non troviamo niente di simile nel Nuovo Testamento. 

A questo riguardo, il Nuovo Testamento è in contrasto con l’Antico, nel quale i doveri della vita sono descritti in modo dettagliato e preciso, tanto che il Giudeo poteva trovare con grande facilità tutte le ordinanze religiose che doveva osservare. Nell’ultima e definitiva rivelazione di Dio, quella che troviamo nel Nuovo Testamento, la Sua volontà, per quelli che lo servono, è espressa in modo diverso.

A coloro che seguono le orme di Cristo, adesso sono indicati i princìpi generali del loro modo di vivere, non delle regole dettagliate e precise. E questi principi toccano molto più profondamente la nostra vita intima di quanto non lo facesse la legge di Mosè. Essi devono essere pesati con cura nel nostro cuore e nella nostra coscienza, ed esigono che noi vegliamo attentamente sul nostro modo di vivere, se vogliamo comportarci in modo che piaccia a Dio, ed è certamente quel che desideriamo.

Ma c’è un principio importante in rapporto alla vita dei credenti. Esso riguarda quella parte di noi esseri umani che, prima o poi, mette i credenti sinceri in una seria inquietudine, quando si manifesta: si tratta della presenza del peccato che persiste in noi. Questo fatto è sottinteso in tutta questa parte della Lettera ai Romani; infatti, supporre che un figlio di Dio possa raggiungere, in questo mondo, uno stato di totale assenza del peccato, è solo un sogno privo di senso. È falso pensare che ci siano delle persone che vivono nel mondo come se fossero nel cielo, perché totalmente al riparo da ogni cattiva influenza esterna o interna. E tutti quelli che pensano di essere in un simile stato di perfezione si sbagliano di grosso (1 Giovanni 1:8, 10).

Paolo presenta la presenza del peccato nell’uomo, e quindi anche nel credente, con l’immagine di un tiranno che, in lotta con la giustizia e la santità divine, cerca di esercitare il suo dominio. In parallelo con la descrizione delle tendenze di questa potenza malvagia, è sviluppata la verità della signoria e dell’autorità di Dio. Dai nostri progenitori abbiamo ricevuto, come eredità inalienabile, una natura peccatrice: è quello che caratterizza la famiglia umana naturale. Però c’è un’altra famiglia, di cui Cristo è il capo, alla quale appartengono tutti i credenti. Ora se siamo credenti sinceri e lucidi impariamo per esperienza che, nonostante la nostra nuova posizione nella seconda famiglia, il peccato è sempre presente in noi come una forza attiva. Questo non pregiudica certo la nostra salvezza, ma implica un combattimento continuo nel quale lo Spirito Santo interviene con potenza per darci l’energia per vincere e onorare il Signore. 

“La carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra di loro…” (Galati 5:16). “Camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne” (id. v. 17).


W. J. Hocking

28 aprile - “Chi gli ha dato qualcosa per primo?”

 Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché ti vanti?

…perché nessuno si vanti di fronte a Dio.

1 Corinzi 4:7; 1:29

 

“Chi gli ha dato qualcosa per primo?”

 

Meravigliato dalla saggezza e dalla grazia di Dio, l’apostolo Paolo esclama: “Chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio?” (Romani 11:35). Infatti, non c’è uomo che sia in grado di dare per primo qualcosa a Dio, di modo che Dio gli debba qualcosa in cambio. Dio non è debitore di nessuno. Se dona lo fa generosamente e gratuitamente, secondo la Sua volontà sovrana. Egli è “il Dio di ogni grazia” (1 Pietro 5:10).

Ciò pone l’uomo, creatura di Dio, nella giusta posizione davanti a Colui “che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa” (Atti 17:25). La vita, le facoltà, e tutto ciò che Dio ha ritenuto bene di darci, lo dobbiamo a Lui. Ciò che nella Sua saggezza ha ritenuto bene di non darci, non devo rivendicarlo quasi che fosse un diritto che Dio rifiuterebbe di riconoscermi.

Voi che avete raggiunto una buona posizione grazie ai vostri sforzi e alla vostra intelligenza, avete risposto a questa semplice domanda, posta un tempo da Giobbe: “Chi ha messo sapienza nell’interno dell’uomo?” La salute che vi ha permesso di lavorare non l’avete meritata.

Colmato di beni dal suo Creatore, l’uomo è diventato peccatore e infelice per aver desiderato qualcosa che Dio non riteneva bene di dargli. Nonostante ciò Dio ha fatto alla Sua creatura ribelle e indegna un dono supremo: il Suo unico e amato Figlio come Salvatore (Giovanni 3:16). Dono gratuito che basta accettare con fede e riconoscenza!

martedì 27 aprile 2021

Valori

Ho letto di recente una notizia bizzarra. Sembra che una coppia di banditi abbia fatto irruzione nel grande magazzino di una città. Essi riuscirono ad entrare nel negozio e vi rimasero abbastanza a lungo ma senza riuscire ad aprire le casse e a impossessarsi del denaro. Quindi fuggirono, ma ciò che è insolito in questa storia e ciò che fecero i banditi. Essi non presero nulla, assolutamente nulla. Ma ciò che fecero fu davvero ridicolo. Si misero a scambiare i cartellini sui vari prodotti. I valori furono mutati, “riprezzarono” gran parte della merce del grande magazzino.

Voi non ci crederete ma la mattina successiva nessuno si accorse di nulla. I clienti cominciarono a fare acquisti. Il negozio funzionò come al solito per quattro ore prima che qualcuno si accorgesse di quello che era successo.

Quatto ore! Alcune persone fecero dei buoni affari. Altre rimasero sconcertate.

Difficile da credere?

Non dovrebbe.

Vediamo accadere le stesse cose ogni giorno. Siamo tempestati da un distorto sistema di valori. Vediamo le cose che nelle nostre vite hanno maggior valore svendute per pochi spiccioli e le scemate più inutili valutate milioni.

I nostri valori sono stati confusi. Qualcuno è entrato nel supermercato è ha cambiato le targhette con i prezzi. 

Si spasima per avere quanto più denaro possibile mentre il valore dell'essere umano è assolutamente svilito.

Tutto è cominciato quando qualcuno ci ha convinti che la razza umana non è diretta da nessuna parte. Che gli uomini non hanno un destino. Che questa assurda esistenza non ha ne capo ne coda. Il seguito è ancora peggio. Se l'uomo non ha destino egli quindi non ha doveri. Non ha obblighi e responsabilità.

Il valore ora viene misurato secondo due criteri: l'apparenza e i risultati.

Un sistema abbastanza inflessibile, non è vero? Dove colloca i ritardatari? O i brutti e gli ignoranti? Dove si mettono gli anziani e gli handicappati? Quale speranze hanno i bambini?

Nella Scrittura, l'uomo si sta dirigendo verso qualcosa. Tutti indistintamente, alti e bassi, belli e brutti, europei e asiatici. Tutti hanno un destino stupefacente. 

Valiamo.

“Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; e, trovata una perla di gran valore, se n'è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l'ha comperata”  Matteo 13:45-46.

Egli vende tutto. Il Signore ha lascito tutto, ha annichilito se stesso, ha rinunciato a tutti i suoi diritti per acquistare qualcosa che ha stimato essere di gran prezzo.

Valiamo.

Nessuno di noi lo merita, ma ogni uomo ha un grande valore per Dio.

Ricordalo la prossima volta che qualcuno ti disprezza e cerca di farti passare per un poveraccio, ricordalo. Pensa al modo in cui Gesù ti accoglierà.

“Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è.” 1 Giovanni 3:2.

27 aprile - Lodare e celebrare

Celebrate il SIGNORE, perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno.

Salmo 139:1

 

Io celebrerò il SIGNORE con tutto il cuore nel convegno dei giusti e nell’assemblea. Grandi sono le opere del SIGNORE.

Salmo 111:1, 2

 

Lodare e celebrare

 

Celebrare vuol dire rendere solenne, festeggiare un avvenimento, un matrimonio per esempio. Questo bisogno di festeggiare è comune a tutte le culture, e nella nostra epoca si cerca di soddisfarlo anche con grandi eventi sportivi o musicali… Ma tutto questo soddisfa i bisogni del nostro cuore?

Il termine celebrare ha anche un altro significato legato, nella Bibbia, al sentimento della grandezza di Dio. Celebrare Dio è manifestare la nostra meraviglia davanti a ciò che Egli è, è offrirgli la nostra lode e la nostra adorazione. Quando sperimentiamo l’amore di Dio, quando, per fede, contempliamo la Sua gloria, la gioia sgorga dal nostro cuore e abbiamo il desiderio di parlare di questo amore, di cantarlo, di farlo conoscere. È una gioia individuale e condivisa, una comunione col Padre e col Figlio per mezzo dello Spirito Santo.

Ma è necessario saper parlare bene o cantare bene per celebrare Dio? È necessario far parte di una corale? Ascoltiamo cosa dice Gesù: «Non avete mai letto: “Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto lode?”» (Matteo 21:16). I bambini hanno molto valore per il Signore; essi Lo rallegrano con la freschezza e la spontaneità della loro lode. Hanno la capacità di vivere intensamente il presente, di esprimere con semplicità la loro gioia.

Impariamo anche noi a celebrare Dio con amore e con gioia sincera.

lunedì 26 aprile 2021

Cristiani

“Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia” 1 Giov. 3:13. 


Dei primi cristiani è detto che avevano “il favore di tutto il popolo” Atti 2:47. Ma questa condizione non durò a lungo. Si può rimanere impressionati da una vita santa, ma se la coscienza e il cuore non vengono raggiunti, tutto ciò che parla della presenza di Dio risveglia ben presto l'inimicizia naturale dell'uomo nei confronti di quel Dio potente, santo e giusto. 

Le persecuzioni non tardarono a venire. I più accaniti persecutori furono gli uomini “religiosi”. I fedeli furono etichettati come  quelli della “Via che essi chiamano setta” (Atti 24:14) gente stretta che segue un cammino diverso da quello della maggioranza degli uomini e fu dato loro il nome di cristiani (Atti  11:26), non era un titolo onorifico agli occhi del mondo, essere discepoli di un uomo crocifisso. 

Discepoli di Gesù di Nazaret, il disprezzato da tutti, chiamati poi “la setta dei Nazareni” (Atti 24:5). Quando Paolo comparendo davanti ad Agrippa e Festo, annunciò l'Evangelo è trattato, da parte del governatore romano, come un uomo “fuori di senno” (Atti 26:24).

Perché avveniva questo? Perché non scendevano a patti con il mondo ma mantenevano la loro posizione di Testimoni di Dio e come tali non ricercavano una posizione quaggiù ne possedevano già una maggiore (Fil. 3:20) e non intendevano conformarsi col presente secolo malvagio.

Dobbiamo riflettere sulle ragioni dell'attuale benevolenza nei confronti del cristianesimo “moderno”.

26 aprile - “A chi mi vorreste assomigliare?”

Volgetevi a me e siate salvati… Poiché io sono Dio, e non ce n’è alcun altro.

Isaia 45:22

 

Il Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e che abita una luce inaccessibile… a lui siano onore e potenza eterna.

1 Timoteo 6:16

 

“A chi mi vorreste assomigliare?”

Le domande della Bibbia

 

Nell’antichità la grande piaga spirituale era l’idolatria, l’adorazione di divinità inesistenti raffigurate il più delle volte da statue. Ma parlando ad Israele Dio dice: “A chi mi vorreste assomigliare?” (Isaia 40:18, 25; 46:5), e mette l’accento sulla Sua propria grandezza: “Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose?” Gl’idoli non sono che legno, pietra o altri materiali; non si muovono, non parlano, non possono fare nulla, non sanno nulla…

Oggi Dio potrebbe rivolgersi allo stesso modo all’uomo moderno: A chi mi vorreste assomigliare? Al caso? Ma il caso non è creatore, non ha progetti! All’energia, alla materia? Ma esse non sono eterne, non possono fare nulla di per sé stesse! No, niente può assomigliare al Creatore, la Sua gloria resta per sempre unica e suprema! Quando Dio pone questa domanda, prende un nome caratteristico: “il Santo”. Egli è l’assoluto, al di sopra di tutto, sia dello spazio che del tempo. Egli “abita l’eternità” (57:15) e la “luce inaccessibile”. La parola “trascendente” traduce un po’ ciò che Dio è: Dio è al di là di tutto quello che la mente limitata dell’uomo potrebbe immaginare.

Con la Sua grandezza e la Sua potenza, Dio sostiene i miliardi di astri che popolano l’universo (Salmo 147:4) e conosce anche ogni essere umano. Dio conosce anche me che ho creduto in Lui; l’ho conosciuto per mezzo della rivelazione della Bibbia e posso dire con emozione: Dio mi ama!

domenica 25 aprile 2021

Quelli che sperano nel Signore rinnovano le loro forze


“Perché dici tu, Giacobbe, e perché parli così, Israele: «La mia via è occulta al SIGNORE e al mio diritto non bada il mio Dio?» Non lo sai tu? Non l'hai mai udito? Il SIGNORE è Dio eterno, il creatore degli estremi confini della terra; egli non si affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel SIGNORE acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano” (Isaia 40:27, 31)

Da questi versetti impariamo come fare per ricevere forze nuove nella nostra vita spirituale. Vediamo con quanta bellezza lo Spirito Santo ci presenta questo soggetto.

1. Prima di tutto, Dio ci pone tre domande allo scopo di prepararci a ricevere il Suo aiuto, la Sua consolazione e la Sua forza. La prima domanda “Perché dici tu…?” rivela i nostri pensieri. Se suppongo che Dio non conosca ciò che io vivo, come potrò pensare che si interessi a me? Se, per una ragione qualsiasi, penso che Dio non si prenda cura della mia causa, come potrei aspettarmi un soccorso da parte Sua? Mi sento abbandonato da Lui. Dio mi pone allora due ulteriori domande: “Non lo sai tu? Non l'hai mai udito?”. Questo mi ricorda che Egli ha già parlato ma, evidentemente, io non ho ascoltato. Per mezzo di queste domande di nuovo mi vuole parlare. Sono pronto, adesso, ad ascoltarlo?

2. Il nostro Dio è il Dio di ogni consolazione; per questo si presenta qui in tre modi diversi. 

È Eterno. Siamo spesso tristi per il fatto che per noi ogni cosa ha una fine, ma Dio rimane eternamente: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8).

È Dio Eterno, il Signore (Yaveh). Pur essendo eterno e infinito, Egli cerca di stabilire una relazione con noi, esseri umani, legati alle nozioni di spazio e di tempo. È il Dio del patto con Israele, è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo e anche il nostro Padre celeste. 

È il creatore degli estremi confini della terra. Noi siamo dunque opera Sua. Come conservatore della vita si prende cura di noi, si occupa del benessere delle Sue creature; per questo dice: “Mi date degli ordini (o meglio “datemi” ordini) circa i miei figli e circa l'opera delle mie mani” (Isaia 45:11. Vedere anche Matteo 6:26-30 e Malachia 3:10).

3. Ciò che è vero per l’Eterno è all’opposto di ciò che caratterizza l'uomo: Dio non si affatica e non si stanca. Inoltre, la Sua intelligenza è imperscrutabile. Ne facciamo l'esperienza quando Dio risolve uno dei nostri problemi. Guardando indietro non ci stupiamo forse della maniera in cui è intervenuto quando non avevamo alcuna idea del modo in cui avrebbe potuto risolvere la nostra difficoltà? Dio può aiutarci in un modo meraviglioso. 

4. A chi si rivolge, poi, Dio? A persone affaticate e stanche. A volte attraversiamo situazioni che necessitano di una forza speciale: allora ci darà una forza abbondante. Se la fede è provata a lungo riceveremo sempre forze nuove. Questo ci capita specialmente quando passiamo per le difficoltà della vita o la malattia, oppure per la debolezza dovuta all'età avanzata. D’altra parte, Dio non ci può aiutare se non quando riconosciamo la nostra impotenza. È la consapevolezza della nostra debolezza che ci dà accesso al Suo soccorso. È allora che facciamo parte di quelli che sperano nel SIGNORE e che ricevono la Sua consolazione e la Sua forza.

5. I giovani sono simboli di energia, ma quando si va avanti con l'età si sente la fatica fisica e mentale. Però anche dei giovani credenti possono affaticarsi e stancarsi, se non fisicamente almeno spiritualmente. Inoltre, se si sentono forti, corrono il rischio di cadere. Si può anche dire che i più forti sono spesso quelli che, indipendentemente dall’età, fanno troppo affidamento sulle proprie capacità o sulle proprie esperienze. È per questo che tutti siamo invitati a sperare nel Signore. 

6. Quelli che sperano nel Signore si distinguono grazie a tre attività che contrastano con la loro fatica e la loro stanchezza.

Si innalzano a volo come aquile. Faticavano a camminare, e tutto ad un tratto volano! Com’è possibile? I credenti hanno la capacità di innalzare la loro anima fino a Dio (Salmo 25:1). La sfera della presenza divina è il loro spazio vitale. Quando ci ricordiamo che la nostra chiamata è celeste, siamo capaci di elevarci al di sopra delle circostanze. Come possiamo sopportare difficoltà, ingiustizie o ostilità? Quando ci ricordiamo che il nostro destino è il cielo e non la terra: allora tutto diventa più facile e “prendiamo il volo”!

Correre senza stancarsi è necessario nelle fasi complesse del percorso della vita. Ma il Signore può accordarci la forza interiore per perseverare nelle tappe particolarmente dure.

Persino nelle situazioni normali della vita siamo chiamati ad agire per fede. Con l'aiuto di Dio non ci affaticheremo, ma continueremo il nostro cammino con perseveranza.


Markus Furrer

25 aprile - Perdonare. È possibile? (parte 2/2)

Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme.

1 Pietro 2:21

 

… perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati.

Efesini 4:32

 

2. Perdonare. È possibile?

 

Uno dei due cristiani un tempo incarcerati e torturati, informato di questa richiesta, dice: “Sono molto contento di sapere che quel sottufficiale ha creduto al Signore, ma questa notizia suscita in me un combattimento spirituale e mi crea dei sentimenti di ribellione!” Fu poi il Signore a dargli la forza di vincere quelle reazioni, e nel maggio del 2010 quell’uomo si reca nella prigione per far visita al suo vecchio “carnefice”. Alla presenza di una cinquantina di altri carcerati, l’ex aguzzino confessa le proprie azioni: “Otto anni fa ho partecipato a un rapimento e ho inflitto delle torture a uomini di Dio innocenti! Riconosco di avere offeso il mio Dio con tutte queste malvagità. Chiedo perdono a voi e alle vostre famiglie!” Alla fine della sua testimonianza i due uomini si abbracciano piangendo. Il servitore di Dio assicura il carcerato del perdono di Dio e del suo proprio perdono. L’incontro si conclude con un momento di preghiera e di lode.

Dio chiede ai suoi figli di perdonare senza riserva chi fa loro dei torti (Matteo 18:22).

Perdonare non significa necessariamente dimenticare e nemmeno scusare; non è una questione di sentimento, anche se talvolta i sentimenti emergono, ma implica un atto di volontà. Gesù Cristo ha pagato un prezzo infinito dando la propria vita sulla croce perché Dio potesse perdonare chiunque crede in Lui.

Il perdono a volte è penoso, ma è liberatore, e Dio desidera accompagnare i Suoi figli nel difficile percorso che porta ad un perdono spontaneo e sincero.

sabato 24 aprile 2021

Conversazione con un medico

Un giovane medico, totalmente indifferente riguardo ai contenuti della Parola di Dio, aveva appena terminato gli studi e stava per iniziare la sua carriera professionale. “Quanto tempo hai impiegato per ottenere la laurea?” gli chiese un amico credente. “Più di dieci anni di studio, dopo le scuole dell'obbligo” rispose quello. “E quanto tempo, secondo te, durerà la tua carriera?” “Una quarantina di anni suppongo, se l'età del pensionamento non muterà” “Dieci anni di intensa preparazione per una quarantina di anni di servizio sulla terra, ti sembra che valga la pena? E non concederesti neppure un ora alla preparazione per il tuo avvenire eterno? Non hai esitato ad intraprendere studi lunghi e costosi, a passare notti insonni sui libri, a superare esami con lunghe formule da imparare a memoria, e disprezzi una salvezza interamente gratuita! Hai studiato su molti libri per istruirti sulla tua specializzazione, libri che saranno superati molto prima della fine della tua carriera. E non provi interesse per l'unico libro che non cambia, l'unico che istruisce nelle verità, la Bibbia? Ti sei impegnato per arricchire la tua mente ma la tua anima, che è eterna, è rimasta vuota, priva di vita. Ti ritieni una persona sensata?”

Se il nostro giovane avesse trascurato gli studi, perdendo il suo tempo con gli amici, nei locali notturni e sciupando il denaro dei suoi genitori, non lo avremmo forse definito stolto? Come definire allora questo disinteresse per la Parola di Dio? La nostra vira scorre, il tempo perso intorno alle molte attività si moltiplica e la Bibbia resta chiusa sullo scaffale. La salvezza era lì, ma non si è trovato ne l'interesse ne il tempo per sfogliare quelle pagine. Non contenevano formule da imparare a memoria ma delle semplici promesse che Dio ha fatto a chiunque le avesse lette e accettate. Gli stolti riempiranno l'inferno in fretta. Non solo non hanno trovato tempo, ma hanno considerato cosa di poco conto la pazienza di Dio e i servitori da Lui mandati per scongiurare ogni uomo a ravvedimento.

“Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: Siate riconciliati con Dio” 2 Cor. 5:20.

24 aprile - Perdonare. È possibile? (parte 1/2)

Se confessiamo i nostri peccati, egli (Dio) è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.

1 Giovanni 1:9

 

1. Perdonare. È possibile?

 

Dicembre 2002, in una città africana: alcuni credenti stanno facendo colazione in casa di un missionario. All’improvviso spunta una jeep di militari. Il sottufficiale della squadra interroga i cristiani presenti. Due cristiani africani sono fatti salire sulla jeep per una destinazione sconosciuta. In una prigione segreta, i due uomini sono torturati per tre giorni, poi vengono miracolosamente liberati. Anche se i maltrattamenti che hanno subito hanno lasciato delle cicatrici e degli handicap fisici, per la grazia di Dio e per la forza che Egli ha dato loro, i due cristiani hanno potuto continuare il loro servizio.

Ma questa storia drammatica non finisce qui. Dio aveva un piano. Un gruppo di un Centro Biblico si reca in quella prigione per distribuire dei corsi biblici, e un giorno un prigioniero, dopo aver terminato il corso sul Vangelo di Luca, chiede un colloquio personale. Si tratta di un sottufficiale,  uno dei carnefici dei due credenti neri! A causa di delitti commessi si trova in carcere anche lui, ma ecco che ora confessa davanti a Dio e agli uomini la sua malvagia condotta, e affida la sua vita a Gesù Cristo. Rassicurato ormai del perdono di Dio (1 Giovanni 1:9), domanda al gruppo cristiano di fare in modo di ottenere il perdono delle sue due vittime che per causa sua hanno così tanto sofferto. 

(segue)

venerdì 23 aprile 2021

Strada senza uscita

Tutto sembra migliorare in questo mondo, ad eccezione dell'uomo.

Attualmente l'uomo sta tentando esperimenti in quelle che vengono chiamate le scienze del comportamento, al fine di scoprire le leggi della condotta umana. Secondo le nuove scienze, il peccato è soprattutto un fattore immaginario. In questo sentimentalismo pseudo-scientifico, un giovane delinquente non è altro che un non privilegiato, ed un ladro è semplicemente uno che non riesce ad inserirsi. Perciò non c'è nulla da risanare se non l'ambiente in cui  l'uomo  vive.  Ma per ora non è stata trovata alcuna soluzione e il segnale che continuiamo a vedere è: “Strada senza uscita”.

“C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte da Gesù” Giovanni 3:1-2. 

Nicodemo era uno dei capi dei giudei e molto probabilmente digiunava due volte la settimana, trascorreva ogni giorno alcune ore in preghiera nel tempio, pagava la decima e insegnava la legge ad altri. La maggior parte delle chiese sarebbero state liete di averlo fra loro; ma il Signore gli disse : non basta, devi nascere di nuovo.

Che strano!

Era un uomo sul gradino più alto della scala sociale, ricco, colto, religioso, eppure anche lui si trovava di fronte a questo cartello: Strada chiusa, e la soluzione era la stessa che per tutti gli altri uomini: devi nascere di nuovo!

23 aprile - Rimorso e pentimento

Ho avvertito solennemente… di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù.

Atti 20:21

 

Ravvedetevi e credete al vangelo.

Marco 1:15

 

Rimorso e pentimento

 

C’è una grande differenza fra rimorso e pentimento. Il rimorso lo proviamo tutti quando ci rendiamo conto di non esserci comportati bene verso qualcuno o di aver agito con orgoglio o egoismo. Se siamo sensibili, il rimorso può essere molto forte e portarci a rivedere i nostri comportamenti. Ma in certi casi è solo il dispiacere di aver potuto danneggiare la nostra reputazione e non è indice di umiltà. Certi rimorsi possono portare alla disperazione, com’è avvenuto per Giuda, il discepolo che ha tradito il Signore: avendo compiuto quell’atto infame per amore del denaro, e avendo visto le tragiche conseguenze del suo atto finì per suicidarsi (Matteo 27:3-5).

Diverso dal rimorso è il pentimento. Esso ci porta a valutare la nostra condotta alla luce divina, e anche se produce lacrime amare, alla fine porta un miglioramento nei pensieri e nella condotta. “Siete stati rattristati, ma questa tristezza vi ha portati al ravvedimento, perché siete stati rattristati secondo Dio” (2 Corinzi 7:9). Il pentimento non porta mai alla disperazione, ma è il mezzo col quale Dio ci riporta alla comunione con Lui e all’abbandono della strada sbagliata.

C’è sempre speranza per chi si pente davanti a Dio; il pentimento è necessario e salutare, e i frutti che porta dimostreranno se è sincero (Matteo 3:7)!


giovedì 22 aprile 2021

TEMI DELLA LETTERA AI ROMANI

Si può dire che lo scopo principale della Lettera ai Romani sia di rispondere alla domanda: “Come potrebbe il mortale essere giusto davanti a Dio?” (Giobbe 9:2). Per far questo, Paolo sviluppa il messaggio del Vangelo, la buona notizia della grazia e dei suoi effetti pratici per l’uomo peccatore. Questa Lettera, tuttavia, non mostra nel dettaglio i pensieri di Dio su Cristo e sulla Sua Chiesa. Questo aspetto importante della verità divina, già esposto, in parte, nella prima Lettera ai Corinzi, sarà rivelato pienamente solo negli ultimi scritti di Paolo, durante la sua prigionia a Roma (Lettera agli Efesini ed ai Colossesi). 

Facendo un parallelo con Israele, possiamo dire che la Lettera ai Romani vede il cristiano ancora nel deserto (il mondo), la Lettera agli Efesini lo considera già nella terra promessa (i luoghi celesti), mentre la Lettera ai Colossesi lo presenta mentre attraversa il Giordano (morto e risuscitato con Cristo). 

La Lettera ai Romani considera la responsabilità dell’uomo; quella agli Efesini presenta l’aspetto dei disegni divini. Cristo e la Sua opera sono il centro sul quale tutto converge.


Introduzione della Lettera (1:1-15)

A Roma si era formata un’assemblea numerosa, senza l’opera missionaria di Paolo. Il suo ardente desiderio era di far visita a quei credenti, chiamati da Gesù Cristo, per annunciare loro il vangelo (v. 15). Questo Vangelo, oltre alla salvezza dell’anima per mezzo della fede, si propone di spiegare tutto il progetto di Dio in favore dell’uomo, realizzato attraverso l’opera di Cristo. Alla fine Paolo arrivò a Roma, ma come un prigioniero di Gesù Cristo (Efesini 3:1).


Lo stato dell’umanità davanti a Dio (da 1:16 a 3:20)

Il Vangelo di Dio riguarda il Figlio di Dio, Gesù Cristo. In Lui è offerta, per grazia, una salvezza eterna. Il Vangelo, che è la potenza di Dio, si rivolge a tutti gli uomini, nello stato disperato in cui si trovano tutti, nessuno escluso. Il Vangelo rivela anche la giustizia di Dio, sul principio della fede e per la fede: “Or il giusto vivrà per fede”.

Paolo dimostra, per prima cosa, lo stato di perdizione nel quale si trova l’umanità intera (da 1:18 a 3:20).

1. La collera di Dio è verso i pagani perché hanno rifiutato la testimonianza della creazione (v. 19:20), hanno trascurato la conoscenza del vero Dio (v. 21) e hanno messo a tacere la voce della loro coscienza (2:14, 15). Notiamo tristemente come la corruzione pagana (1:29-32), che attira la giusta condanna di Dio, sia stata superata dalla corruzione della cristianità (2 Timoteo 3:2-5).

2. I filosofi e i moralisti (Giudei o pagani) sono anch’essi inescusabili nella loro ipocrisia (2:1-16). Erano numerosi nel mondo d’allora e lo sono anche nel mondo contemporaneo. Come i Farisei al tempo del Signore, erano pronti a dare delle lezioni agli altri, pur commettendo gli stessi errori e compiacendosi in questi.

3. Il popolo d’Israele, i cui privilegi sono stati tanto grandi, è colpevole di aver trasgredito la legge di Dio e di aver disonorato il Suo nome (2:17-29).

L’uomo (Giudeo o no) può avanzare ogni tipo d’obiezione (3:1-8), ma il terribile quadro della colpevolezza e della rovina dell’uomo è completo. Sei testimonianze dell’Antico Testamento lo confermano: riguardano l’atteggiamento interiore, le parole, e i comportamenti in generale (v. 10-18). Così ogni bocca è chiusa davanti a Dio e tutti sono colpevoli. Nessuno può essere giustificato dalle proprie opere (v. 19, 20).


Il perdono e la giustificazione dei peccati (da 3:21 a 5:11)

 “Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio” (v. 21).  

Dopo questo lungo discorso che stabilisce la colpevolezza dell’uomo (da 1:18 a 3:20), si manifesta la giustizia divina: una giustizia offerta gratuitamente all’uomo peccatore, fondata sull’opera propiziatoria (*) di Cristo. Chi crede nel Signore è giustificato per mezzo della fede in Lui e per la grazia di Dio. La salvezza è offerta sia ai Giudei sia ai pagani, gli uomini delle nazioni, i Gentili (3:21-31).   

Con l’esempio dei credenti dell’Antico Testamento (Abraamo e Davide in particolare), Paolo mostra il posto che ha la giustificazione per fede in rapporto con le opere, la circoncisione, le promesse e la potenza della risurrezione, in particolare quella di Cristo (cap. 4).

1, La fede e le opere (v. 1-8): Abraamo, chiamato il padre dei credenti, è stato giustificato per mezzo della fede, senza le opere; queste, tuttavia, sono essenziali per provare la realtà della fede (Giacomo 2:21-24). La salvezza è gratuita, è un dono di Dio.  

2. La fede e la circoncisione (v. 9-12): la fede ad Abraamo è stata messa in conto di giustizia (Genesi 15:6) quattordici anni prima della circoncisione, il segno della separazione dal mondo per Dio. La circoncisione è il sigillo di questa giustizia (v. 11), e Abraamo diventa il “padre di circoncisione”, capostipite di quelli che sono separati, per Dio, dal mondo.

3. La fede e le promesse (v. 13-16). Abraamo ha ricevuto da Dio delle promesse senza condizioni, il cui compimento non dipendeva che dalla fedeltà di Dio, molto prima del dono della legge a Israele.

4. La fede e la risurrezione (v. 17-22). Le promesse, infine, riposano sulla potenza del Dio della risurrezione.

Per concludere (v. 23-25), Gesù, il nostro Signore, è stato crocifisso per i nostri peccati, ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. La fede del credente si basa così sul sangue di Cristo (3:25) e sulla Sua risurrezione (4:25).

Le conseguenze di questa prima parte dottrinale della Lettera sono trionfanti (5:1-11). Il credente può godere fin da ora:

- la pace con Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo (quella della coscienza);

- il favore di Dio (la Sua grazia);

- la speranza della gloria di Dio;

- la gioia nelle sofferenze (tribolazione, pazienza, esperienza, speranza);

- l’amore di Dio versato nei nostri cuori dallo Spirito Santo;

- la riconciliazione con Dio e la salvezza.

Quanto ai peccati commessi, Dio ci dà il perdono e la giustificazione. L’opera di Cristo è stata fatta a nostro favore, per togliere i nostri peccati.


La liberazione dal peccato (da 5:12 a 8:39)

La Lettera dà ora la risposta divina ad un’altra domanda. Al peccato – la sorgente del male che è in noi (non solo i peccati, le azioni cattive) – risponde la liberazione. La morte di Cristo ora ha delle conseguenze in noi, per quel che riguarda il peccato.


Il credente e il peccato (da 5:12 a 6:23). 

Benché Adamo sia la figura di colui che doveva venire (cioè Cristo), Paolo stabilisce il contrasto fra il primo uomo (Adamo) e  il secondo uomo (Cristo, l’ultimo Adamo). Entrambi sono capostipiti di una discendenza di umani (quella terrena di Adamo e quella celeste di Cristo); ed ogni discendenza manifesta i caratteri morali del suo capostipite:

- per quella di Adamo: la disubbidienza e il peccato, da cui la condanna e la morte;

- per quella di Cristo: l’ubbidienza e la giustizia, da cui la vita, la grazia e la giustificazione.

 Legato ad Adamo per la sua nascita nel mondo, il credente ormai è unito a Cristo. Ed ora, per lui, “la grazia regna mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo” (5:21).

Il credente è liberato dalla schiavitù del peccato, perché “è morto al peccato”, identificato con Cristo nella Sua morte: è questo che significa il battesimo (6:4). Ormai egli vive, in pratica, per Cristo, manifestando la vita di Cristo: una vita nuova che produce dei frutti per Dio, con un cammino di santità pratica. Il “vecchio uomo” è stato crocifisso con Cristo (6:6) e dev’essere tenuto effettivamente nella morte (6:11). 

Le tre tappe di questo esercizio, messe in evidenza dall’esempio stesso dell’apostolo, sono:

- “Voi moriste e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio” (Colossesi 3:3, 5) 

- “Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù” (Romani 6:11) 

- “Portiamo sempre nel nostro corpo la vita di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (2 Corinzi 4:10). 

La vita eterna è presentata sia come il termine sicuro della nostra vita cristiana (6:22), sia come un dono della grazia di Dio (6:23).


Il credente e la legge (cap. 7). 

Il credente è anche “morto alla legge” (qui, la legge di Mosè). Il suo valore non si discute: essa ha rivelato lo stato dell’uomo, senza però offrirgli alcun rimedio. Il credente, tuttavia, è affrancato dall’autorità della legge (cioè è come liberato, riscattato da una schiavitù) perché la sua morte con Cristo ha eliminato l’obbligo che lo vincolava alla legge. 

Gesù Cristo, il grande liberatore, risponde all’angoscia dell’anima per fargli afferrare la liberazione. Paolo ci mostra in successione:

- la liberazione dalla legge per mezzo della morte (v. 1-6);

- la conoscenza del peccato per mezzo della legge (v. 7-13);

- lo stato e l’esperienza di un’anima che non ha ancora compreso la liberazione (v. 14-23); e Paolo s’identifica con quest’anima, per dimostrare che nella nostra carne non c’è alcun bene (v. 18), che la differenza sta fra noi e il peccato che è in noi (v. 20), e che in noi non c’è alcuna forza (v. 23).

Di conseguenza, non possiamo liberarci da soli; abbiamo bisogno dell’aiuto di un altro, di Cristo. Non ci resta nulla da fare, perché la Sua opera è perfetta e completa.

Liberazione e benedizioni (cap. 8). Le conclusioni a cui arriva questa seconda parte dottrinale della Lettera sono trionfanti come quelle della prima. Liberati dal peccato, dalla carne e dalla legge, i cristiani gustano la gloriosa libertà dei figli di Dio. Lo Spirito Santo è in loro vita e potenza.

- La potenza dello Spirito di vita ci libera da ogni schiavitù (v. 2).

- Lo Spirito Santo è la nostra vita (v. 10).

- Lo Spirito di Dio ci guida (v. 14; Galati 5, 18).

- Lo Spirito di adozione testimonia che siamo figli e figli di Dio (v. 14-16). La posizione di figli implica privilegi e responsabilità. Alla relazione di figli con il Padre, si legano l’adozione e gli affetti divini.

- Le primizie dello Spirito sono testimoni della nostra liberazione finale (v. 23).

- Lo Spirito ci viene in aiuto nelle nostre infermità (v. 26).

- Infine, mentre gemiamo dentro di noi (v. 23), in mezzo ad una creazione che è in travaglio (v. 22), lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili (v. 26). Cristo intercede per noi (v. 34). 

In mezzo alle sofferenze, siamo fortificati dalla speranza della gloria futura. Oggetti dell’amore di Dio e di Cristo, da cui niente e nessuno ci può separare, siamo al sicuro. Questo capitolo meraviglioso contiene una breve visione (v. 29-30) dei disegni eterni di Dio riguardo a Suo Figlio, “il primogenito tra molti fratelli”. I credenti sono presentati come: preconosciuti, predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, chiamati, giustificati e già glorificati. Questi sono i cinque anelli del consiglio divino.


Israele e il Vangelo (capitoli da 9 a 11).

Restava ancora da trattare una questione essenziale riguardo al Vangelo, offerto ora a tutti gli uomini, Giudei o nazioni, senza distinzione. Come conciliare questo messaggio di salvezza con le promesse particolari fatte anticamente da Dio al Suo popolo Israele?


Capitolo 9: la posizione dei Giudei in rapporto a Dio ed al Suo vangelo dipende da tre verità generali:

- Dio è sovrano. Non deve rendere conto all’uomo e compie il disegno della propria volontà secondo l’elezione della grazia (come dimostrano gli esempi di Isacco e Ismaele o di Giacobbe ed Esaù).

- Dio, nella Sua infinita pazienza, sopporta i malvagi, come dei vasi di ira (il Faraone, per esempio), aspettando di eseguire il Suo giusto giudizio.

- Le ricchezze della gloria di Dio si manifestano nei vasi di misericordia (noi, tutti i credenti).


Capitolo 10: a causa della sua disubbidienza, Israele ha perso ogni diritto alle promesse. Potrà essere benedetto solo attraverso la grazia. La salvezza nasce dalla fede nella parola di Dio ricevuta nel cuore (v. 17); e la fede è confermata dalla confessione della bocca (v. 9). Le tappe del cammino della salvezza di Dio verso l’uomo sono: Dio manda l’evangelista a predicare. La sua predicazione viene ascoltata. Chi le crede è salvato. Infine: il peccatore salvato invoca il nome del Signore (v. 12-15).

Tuttavia, Israele aveva respinto la testimonianza di Dio; perciò sul suo cuore è stato messo un velo (2 Corinzi 3:14-16).


Capitolo 11: nonostante tutto, Dio non ha respinto definitivamente Israele. L’apostolo ce ne dà due prove:

- Egli stesso, un Giudeo oggetto della grazia di Dio. Restava così un residuo, secondo l’elezione della grazia, confermato dall’esempio di Elia (v. 1-10).

- Dio voleva servirsi delle nazioni per risvegliare la coscienza d’Israele, e non per respingerlo (v. 11-24). (**)

- I disegni di Dio erano un mistero, in particolare quello dell’indurimento parziale e temporaneo del popolo (v. 25-31).

In definitiva, i doni di grazia e la chiamata di Dio sono assolutamente assicurati (v. 29). Se tutti gli uomini sono disubbidienti, a tutti è offerta misericordia. La grazia e la saggezza di Dio sono meravigliose!


Le esortazioni pratiche e il servizio dell’apostolo (capitoli da 12 a 15).

1° Fondate sulla dottrina di questa Lettera, le esortazioni scaturiscono dalle compassioni divine. Il cristiano appartiene a Cristo per offrirsi a Dio. La separazione dal mondo (nel cammino) e l’umiltà (nel cuore) permettono di conoscere la volontà di Dio per piacergli (12:1-4).

2° Dei doni di grazia sono dati così alla Chiesa (il corpo di Cristo sulla terra), per mantenere i legami fra i credenti (le membra del corpo). Ne derivano delle esortazioni pratiche per ogni attività dei cristiani, per le loro relazioni reciproche (v. 9-16) o con il mondo (v. 17-21). Gl’incoraggiamenti cominciano dall’amore e terminano con il bene che si attiva per superare il male.

3° Il cristiano è invitato anche a sottomettersi all’autorità e alle autorità; a causa della collera (la sua responsabilità è verso le autorità umane, come cittadino) e a causa della coscienza (la sua responsabilità è verso Dio come cristiano). L’amore resta il motivo supremo, un debito che ogni credente ha verso Dio e che niente può estinguere (13, 1-10).

4° Manca poco al ritorno del Signore: bisogna svegliarsi dal sonno spirituale per rigettare le opere delle tenebre e rivestire le armi della luce, rivestire il Signore Gesù Cristo stesso, nell’attesa della venuta del giorno eterno (v. 11-14).

5° La libertà cristiana si sviluppa poi con la responsabilità che le si ricollega e con le attenzioni che dobbiamo avere gli uni per gli altri (da 14:1 a 15:7).       

Cristo è il modello perfetto di abnegazione e di devozione. Contemplandolo, possiamo realizzare i caratteri morali del regno di Dio, giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. In pratica, noi dobbiamo guardarci dal lassismo e dal legalismo, nel rispetto della coscienza del fratello, ”colui per il quale Cristo è morto” (14:15, 1 Corinzi 8:11).

6° Dio è il Dio della speranza, per i Giudei come per le nazioni. L’apostolo Paolo aveva predicato il Vangelo in tutto il mondo greco, ma ignorava quale sarebbe stato lo sviluppo del suo servizio nel mondo latino (l’Italia e l’Europa occidentale). Tuttavia, il Dio della pace era con lui (15:8-33).


Saluti e conclusione della Lettera (Capitolo 16)

I numerosi saluti che concludono la Lettera dimostrano i legami affettuosi fra Paolo e i santi di Roma, che egli non aveva mai visto, salvo alcuni. Paolo li associa a tutte le assemblee di Cristo (16:21-24).

È necessario vigilare e resistere a quelli che turbano l’assemblea con dottrine strane. Occorre essere saggi nel bene e incontaminati nel male, prima che il Dio della pace stritoli Satana sotto i nostri piedi (v. 17-20).

La Lettera ai Romani ha presentato il Vangelo di Dio e i suoi effetti pratici per l’uomo peccatore. Essa dimostra che la croce di Cristo risponde perfettamente alla responsabilità dell’uomo davanti a Dio; inoltre mette in rapporto la verità della salvezza per fede con le diverse fasi delle relazioni fra Dio e l’uomo sulla terra. Paolo non può, tuttavia, terminare la sua lettera senza ricordare quello che egli chiama il mistero, il mistero per eccellenza: il disegno di Dio di unire spiritualmente, in un solo corpo, Cristo e tutti i Suoi riscattati (fra i Giudei o fra le nazioni). Già esposto, in parte, nella prima Lettera ai Corinzi, questo mistero sarà rivelato completamente nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi, quando Paolo sarà in prigione a Roma. 

Di fronte alle meraviglie insondabili del Vangelo e dei disegni eterni di Dio, Paolo chiude la lettera con una lode al Dio, unico in saggezza. 

A Lui, come a Cristo, sia la gloria nei secoli dei secoli!


J. Muller



____

(*) La propiziazione è l’atto di coprire il peccato sulla base di un sacrificio.   

(**) Dio paragona Israele ad un olivo. Le radici e il tronco rappresentano Abraamo che ha ricevuto le promesse di Dio. Gli Israeliti sono i rami. Dio innesta gli stranieri (i non Ebrei) sull’olivo per benedirli con Israele.

22 aprile - Vittoria di Gesù Cristo alla croce

(Dio) ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore, il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

Romani 4:24, 25

 

Vittoria di Gesù Cristo alla croce

 

«Ho lottato a lungo per costruirmi una giustizia propria, secondo il mio pensiero personale, ma le mie buone opere non erano mai sufficienti. Come potrei dimenticare la gioia che mi ha inondato quando ho guardato con fede al Salvatore sulla croce e mi sono reso conto che si è sacrificato per me? Lui che era senza peccato ha pagato per i miei peccati. In preghiera gli ho detto: “Signore Gesù, tu non avevi commesso nessun peccato, ma ti sei caricato dei miei”. Ma non mi sono fermato lì; con gli occhi della fede ho guardato la croce, e il corpo del mio Signore non c’era più: era stato deposto in un sepolcro. Poi ho guardato nel sepolcro, ed ecco che era vuoto. Gesù ne era uscito trionfante! Era risuscitato per essere Lui la mia giustizia davanti a Dio. Da allora, non ho più guardato la croce, ma il cielo dove, come dice la Sua Parola, Gesù è seduto alla destra di Dio (Ebrei 1:3) sul Suo trono. È sempre Lui, l’uomo che era rimasto muto davanti al tribunale di Pilato, che non aveva detto una parola per difendersi perché, se non fosse morto, io non avrei mai potuto essere reso giusto secondo il pensiero di Dio.»

Chi vorrebbe ancora provare a costruirsi una giustizia propria, che sarà sempre imperfetta e inaccettabile dalla santità di Dio, quando può riceverne una infinitamente migliore, la sola che Dio può accettare, per mezzo della fede nel Signore Gesù Cristo?

Iddio che è santo ti lasciò nell’ora della croce;

non ti rispose, non parlò all’udir la tua voce.

Nel buio, solo, Tu Gesù, colpito al posto mio!

Nessuno è morto a quel modo, nessuno fuor che Te.

Signore io ti lodo; io vivo grazie a Te.


mercoledì 21 aprile 2021

21 aprile - Tradimenti

 Mentre mangiavano, (Gesù) disse: “In verità vi dico: Uno di voi mi tradirà”.

Matteo 26:21

 

(Gesù disse a Pietro:) “In verità ti dico… tu mi rinnegherai tre volte”.

Matteo 26:34

 

Tradimenti

 

Trenta sicli d’argento (Matteo 26:15), ecco il prezzo al quale è stato stimato Gesù! Quella somma corrispondeva, nella legge ebraica, all’indennizzo che doveva essere pagato per la morte accidentale di uno schiavo (Esodo 21:32). Chi ha osato chiedere questo prezzo? Chi ha tradito? Chi ha consegnato il Maestro ai nemici? Giuda, uno dei suoi discepoli, uno di coloro che Egli aveva scelto e amato. Ma, siamo sinceri, anche noi possiamo tradire Gesù in molte maniere, o quanto meno non essergli fedeli. Lo tradisco quando mi comporto come se non conoscessi la Sua volontà; lo tradisco quando mi vergogno di dire agli altri che è il mio Salvatore; lo tradisco quando occupo il mio spirito con pensieri impuri. In tutto il bene che non faccio e in tutto il male che commetto, è come se tradissi il mio Signore. Malgrado tutto, però, Egli non cessa di amarmi.

Tradimenti, rinnegamenti, abbandoni… Tutto ciò sarebbe stato sufficiente per fermarlo nel cammino verso il Suo sacrificio alla croce, e sarebbe sufficiente perché fosse Lui ad abbandonare noi. Ma l’amore divino con cui ci ama niente lo può indebolire o fermare.

L’esempio di Pietro ci chiama in causa e ci consola allo stesso tempo. Prima della crocifissione, aveva detto al Signore Gesù: “Darò la mia vita per te!” E Gesù gli aveva risposto: “Il gallo non canterà prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte” (Giovanni 13:37, 38). Ma Gesù aveva già pregato per Pietro affinché, nonostante il rinnegamento, la sua fede non venisse meno (Luca 22:32).

martedì 20 aprile 2021

PIETRO E GIOVANNI

Diversi nel carattere ma uniti nel servizio

Il Signore Gesù ha scelto i dodici discepoli con una saggezza perfetta, sapendo che avrebbero dovuto essere i Suoi compagni intimi, durante il Suo ministero sulla terra. Si può ben capire come, prima di chiamarli, Egli abbia passato una notte intera in preghiera a Dio (Luca 6:12). Anche senza parlare di Giuda Iscariota, che lo avrebbe tradito, fra quegli uomini c’erano notevoli differenze, una diversità di capacità e di caratteri in cui possiamo veder riflessa tutta l’umanità, per la cui salvezza il Signore era venuto. Alcuni di loro sono dei discepoli in ombra, dei quali non sappiamo praticamente nulla, altri invece spiccano maggiormente o sono messi in primo piano dal Signore stesso. Desideriamo occuparci ora di due discepoli di cui la Bibbia ricorda spesso i nomi: Pietro e suo fratello Giovanni.

Pietro si fa conoscere come uomo d’azione, desideroso di impegnarsi per il suo Signore. Giovanni ci attira perché è l’osservatore riflessivo che, forse più degli altri, realizzava l’amore del Signore per lui. Dopo l’ascensione di Gesù al cielo, i due hanno esercitato un ministero che testimonia una comunione e un’armonia particolari. Il loro servizio procede poi nelle parti della Bibbia che essi hanno scritto, coi loro diversi caratteri.

Tutti sanno che Pietro ha sbagliato, ma la Parola non riporta niente di simile a proposito di Giovanni, salvo forse un’eccezione, sulla quale torneremo. Questo ha fatto sì che Pietro sia considerato un uomo impetuoso o temerario, ma solo chi non fa nulla non sbaglia mai; in fondo, è più facile starsene in uno stato di contemplazione tranquilla piuttosto che agire. È vero che in certe delicate circostanze dobbiamo affidarci completamente al Signore, ma questo non deve diventare un manto che serva a coprire la nostra indecisione o una mancanza d’energia. Non è certo un caso che il Signore abbia affidato a Pietro “le chiavi del regno dei cieli”, proprio nel momento in cui quel discepolo era in evidenza con la sua confessione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16:16-19). Quando Pietro ha aperto il regno dei cieli ai Giudei, alle nazioni e ai Samaritani, lo vediamo in stretta comunione nel servizio con Giovanni.


Dalla bocca di due o tre testimoni

Pietro, Giacomo e Giovanni sono stati presi da parte parecchie volte, fra i dodici. Il punto culminante del loro cammino col Signore è stato toccato quando, “sopra un alto monte”, hanno avuto una visione della Sua gloria nel Suo regno. Dio voleva che ci fossero dei “testimoni oculari della maestà” del Suo Figlio, il Messia di Israele (2 Pietro 1:16; cfr. Matteo 17), ma il nemico ha cercato di sopprimere questa testimonianza eliminando un testimone: “Erode… fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (Atti 12:2). Vedendo poi che la cosa era gradita ai Giudei increduli, Erode ha cercato di uccidere anche Pietro, ma Dio è intervenuto miracolosamente. Gli ultimi due testimoni dovevano rimanere in vita.


Chi è più veloce?

Il mattino del giorno della risurrezione, quando è giunta agli orecchi di Pietro e di Giovanni la notizia del sepolcro aperto, tutti e due sono corsi al sepolcro. Giovanni è stato più veloce di Pietro (Giovanni 20:1-8), ma Pietro è entrato nel sepolcro per primo. Cosa avrà provato in quel momento? È sempre l’uomo d’azione, o lo ha spinto il suo cuore ansioso? 

È avvenuto il contrario dopo la pescata infruttuosa riportata da Giovanni al cap. 21. I sette discepoli gettano ancora una volta la rete, all’ordine di un misterioso straniero che sta sulla riva, e fanno una pescata abbondante. L’occhio esercitato di un Giovanni riflessivo lo porta a riconoscere per primo che “è il Signore”; e Pietro si tuffa immediatamente per raggiungerlo. Poco dopo, il Signore lo riabiliterà affidandogli il compito di pastore dei suoi fratelli. Dopo la Sua risurrezione, il Signore “è apparso a Simone” prima che agli altri discepoli (Luca 24:34; 1 Corinzi 15:5); gli aveva detto, nel loro ultimo incontro prima della crocifissione, “Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno” (Luca 22:32). E qui abbiamo la prova che la preghiera è stata esaudita. 


L’altro discepolo

Rimaniamo sbalorditi da ciò che è scritto in Giovanni 18:15, 16. Quello che è chiamato “l’altro discepolo” – Giovanni, senza dubbio – aveva fatto entrare Pietro nel palazzo del sommo sacerdote, certamente con le migliori intenzioni. Ma Pietro, anche se aveva l’ardente desiderio di seguire il suo Maestro, non era all’altezza della situazione, ed è successo proprio ciò che il Signore aveva previsto. Pietro ha rinnegato per tre volte di conoscerlo. Questo incidente ci insegna a non mettere mai davanti agli altri una pietra d’inciampo. Nel caso specifico, è bello notare che in Pietro non è rimasta alcuna amarezza nei confronti di Giovanni. Egli ha capito che l’errore era soltanto suo, perciò l’armonia fra i due discepoli si è mantenuta intatta.


All’ora della preghiera

Un avvenimento particolare, nel servizio comune di Pietro e Giovanni, è la guarigione di uno zoppo alla porta del tempio detta “Bella” (Atti 3:1-11). Erano i primi tempi della predicazione del Vangelo, e gli apostoli riconoscevano ancora il tempio come “casa di preghiera”, come il Signore aveva insegnato (Luca 19:46). Non sappiamo se i due apostoli prendessero parte alle preghiere rituali dei Giudei o se cogliessero solo l’occasione per incontrare quelli che temevano Dio. Più tardi, comunque, quando hanno conosciuto “tutta la verità” sulla Chiesa di cui stavano vivendo la nascita, le cose sono cambiate. 

Nel momento in cui entrano, il malato chiede loro l’elemosina, ed è Pietro che prende la parola: “Dell’argento e dell’oro io non ne ho”; poi previene la delusione dell’uomo e continua: “Ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (Atti 3:6). E si compie il miracolo: tutto il popolo lo vede e lo riconosce per quello che era seduto alla porta del tempio.


Trattenuti dall’uomo guarito

Nel tempio, tutti possono vedere il malato guarito che li segue “camminando, saltando e lodando Dio”. Come Davide in un’altra occasione (2 Samuele 6:14), egli non prova alcuna vergogna in presenza degli altri. La sua lode si eleva a Dio e a nessun altro, perché lui sa a chi deve la guarigione; tuttavia non lascia i suoi benefattori, ma li tiene per mano. Questo dà a Pietro l’occasione di rivolgere al popolo una predicazione simile a quella del giorno della Pentecoste. Questa predicazione contiene un’ulteriore offerta della grazia di Dio ai Giudei; li invita a pentirsi e a convertirsi affinché Dio, nuovamente, “mandi Gesù Cristo”, secondo le promesse fatte nell’Antico Testamento. Come vedremo al cap. 7, il loro rifiuto di quest’offerta toccherà il suo punto culminante più tardi con la lapidazione di Stefano.


Imprigionati dai capi del popolo

I capi religiosi erano “indignati perché essi insegnavano al popolo” (Atti 4:2). Pietro non è dunque il solo ad insegnare, anche Giovanni qui ha una parte attiva, sebbene Pietro sia in primo piano con il suo discorso. Questa partecipazione di Giovanni si vede chiaramente, perché i due apostoli sono messi in prigione fino al giorno dopo. La sera di quello stesso giorno, il numero di quelli che avevano creduto nel Signore Gesù salì a circa cinquemila.

Il giorno seguente, i due testimoni del Signore sono sottoposti, davanti a tutta l’élite religiosa dei Giudei, a un interrogatorio che parte dalla domanda: “Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?” (4:7). Non avrebbero potuto offrire a Pietro un’occasione migliore per parlare in sua difesa. Senza dubbio, il Signore ha diretto ogni cosa: c’è tutta la potenza dello Spirito Santo e la testimonianza è resa “nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, che voi avete crocifisso, e che Dio ha risuscitato dai morti.” Nel suo discorso, breve ma energico, Pietro parla “pieno di Spirito Santo”. I due uomini rendono insieme una testimonianza potente al loro Signore. Anche se i sacerdoti li considerano dei “popolani senza istruzione”, capiscono che non sono degl’incapaci. 


Una missione particolare in Samaria

In Atti 8, troviamo ancora Pietro e Giovanni in stretta comunione nel servizio. Fra gli abitanti della Samaria, molti avevano accettato la parola di Dio predicata da Filippo ed erano stati battezzati nel nome del Signore Gesù. Quando gli apostoli a Gerusalemme lo seppero, mandarono là Pietro e Giovanni. Le tensioni secolari fra Giudei e Samaritani forse creavano una certa inquietudine, ma il Signore fa presto comprendere ai due delegati che qualcosa non funzionava: quei giovani convertiti non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo. Allora Pietro e Giovanni pregano per loro, impongono loro le mani ed essi ricevono lo Spirito Santo (v. 14-17). 

Quando il Signore Gesù imponeva le mani su qualcuno, c’era sempre un effetto percepibile. Dopo la Sua ascesa al cielo e all’inizio della Chiesa, Dio ha concesso occasionalmente la facoltà agli apostoli o agli anziani di comunicare, mediante l’imposizione delle mani, o una guarigione (Atti 9:17, 28:8) o un dono dello Spirito Santo, un “carisma” (1 Timoteo 4:14, 2 Timoteo 1:6). In senso generale, l’imposizione delle mani è un atto simbolico che esprime approvazione e comunione.

Quest’imposizione delle mani ai credenti della Samaria ha un’importanza storica: con questo atto, le vecchie tensioni fra Giudei e Samaritani sono abolite. Nel legame dell’unità dello Spirito, non si tratta più di Greci e di Giudei o di altre nazioni, ma “Cristo è tutto e in tutti” (Colossesi 3:11).


Il servizio di pastore nei diversi caratteri

Desideriamo dire qualcosa anche del ministero scritto di questi due apostoli, perché vi troviamo delle somiglianze e delle differenze.

Tutti sappiamo che Pietro è stato chiamato dal Signore per fare il servizio di pastore; basta leggere il cap. 21 del Vangelo di Giovanni. Il “pescatore di uomini” dell’inizio doveva, più tardi, dedicare tutta la sua energia come pastore del gregge del Signore, fino alla morte. Questa sollecitudine traspare dalle sue Lettere. Egli esorta gli anziani: “Pascete il gregge di Dio che è tra di voi, sorvegliandolo, non per obbligo ma volenterosamente secondo Dio… non come dominatori… ma come esempi del gregge” (1 Pietro 5:2). 

L’apostolo Giovanni ha anche lui un cuore di pastore. Ma il suo occhio vigile scruta i credenti e si rallegra quando ne trova che “camminano nella verità” (2 Giovanni v. 4). Egli vuole sempre vedere, nel comportamento dei fratelli, delle prove dell’autenticità della loro fede. E parlando di chi non è sincero, o addirittura è malvagio, si esprime in modo molto severo (1 Giovanni 1:6; 3 Giovanni v. 10).

Pietro ci dà le istruzioni necessarie per ogni circostanza e per ogni relazione che abbiamo con quelli del mondo e nella chiesa. Egli presenta Cristo come l’esempio supremo sulle cui orme dobbiamo camminare. Il suo desiderio è che la loro ”fede, che viene messa alla prova… sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo” (1 Pietro 1:7).      

Giovanni ha ricevuto la missione di preservare la verità divina nel suo carattere più elevato. Egli ha davanti agli occhi la relazione con il Padre e con il Figlio nella quale tutti i credenti sono introdotti. Egli vigila perché la conoscenza che hanno non sia turbata o alterata dal peccato o dall’errore. Benché egli faccia parte dei dodici che il Signore ha chiamato “apostoli” (Luca 6:13), Giovanni non cita mai se stesso col suo nome.

In conclusione, il desiderio dei due apostoli è la glorificazione del Signore, e in questo si assomigliano, anche se diversi come persone e nel loro cammino sulla terra.


E. E. Hucking