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mercoledì 30 aprile 2014

La risposta del popolo

Leggere – GIOSUE’ 24:16/33

Il popolo risponde senza esitazione esprimendo il sincero desiderio di servire l’Eterno. Per ben tre volte (18, 21, 24) dichiarerà la stessa cosa. Ma una cosa è desiderare, ben altra è mettere in pratica. Israele conta sulle proprie forze senza che vi sia un solo accenno di richiesta di aiuto della grazia divina. Senza l’aiuto costante della grazia del Signore i nostri buoni propositi saranno di ben poco conto. La storia del popolo d’Israele ne è una triste immagine: passata la generazione che aveva goduto di tutte le opere potenti che Dio aveva fatto per lei (31) si manifestò tutta la debolezza e l’infedeltà. Ma questa è la storia del libro dei Giudici.

Le promesse
Il popolo riconosce che è l’Eterno che lo ha tratto dal paese d’Egitto, lo aveva protetto per tutta la traversata del deserto e lo aveva introdotto nel paese promesso ai suoi padri. Come avrebbe potuto non manifestare la sua gratitudine a fronte di tutto questo?
Il popolo non è nuovo a queste dichiarazioni di obbedienza. Lo aveva fatto ancora prima di conoscere i comandamenti della legge (Esodo 19:8) e lo ribadì in seguito (24:3), ma dì li a poco mostra l’incapacità di adempiere alla promessa: “Noi serviremo l’Eterno” (21).

Gli avvertimenti
Giosuè mette in guardia gli Israeliti. Li avverte della loro debolezza ed allo stesso tempo della santità e della gelosia di Dio (21) e che, come dispensa il bene, non avrebbe esitato ad esercitare i Suoi giusti giudizi (22) e che certo non avrebbe tollerato di dividere con altri il loro cuore.
Tutto questo viene scritto in un libro e una pietra è posta a testimonianza nel luogo della promessa (26) che avrebbe dovuto ricordare a loro ed alle future generazioni la promessa fatta. Forse anche nella nostra vita cristiana ci sono delle pietre che testimoniano ciò che, nel tempo, ci siamo proposti di fare per il Signore. Abbiamo mantenuto i nostri buoni propositi?

Tre sepolture
Quella di Giosuè che muore all’età di centoventi anni. Egli è stato fedele all’Eterno ed è stato di benedizione per il popolo. Ha finito la corsa, ha serbato la sua fede. Quella di Giuseppe, morto in Egitto, ma che aveva chiesto di essere sepolto nella terra promessa contando sulle promesse di Dio. Quella di Eleazar  che aveva guidato il popolo come Sacerdote negli anni della conquista. Avevano tutti contato sulla fedeltà dell’Eterno e Lui aveva mantenuto le Sue promesse.
La morte del credente segna solo la fine del suo servizio terreno, una generazione segue l’altra, ma ciò che non cambia e non viene mai meno è la grazia e la fedeltà del Signore. Che questo ci sia di incoraggiamento!


D.C.

Discorso di Giosuè a Sichem

Leggere – GIOSUE’ 24:1/15


Giosuè raduna nuovamente tutto il popolo a Sichem per pronunciare un discorso da parte dell’Eterno (2).
Questo discorso mette in risalto, in sette tappe, le vie di Dio verso il suo popolo.
1.     Abramo (2/3) - Dio l’aveva scelto e fatto uscire dal suo paese e gli aveva fatto delle promesse. È       l’elezione sovrana della grazia di Dio.
2.     Isacco (3) – Figlio nato fuori del tempo, reso al padre per una specie di risurrezione (Ebrei 11:19) e sul quale si concentravano tutte le promesse.
3.     Giacobbe ed Esaù (4) – Una nuova prova della scelta della grazia e, mentre Esaù riceve in eredità la montagna di Seir, Giacobbe continua a vivere in tende come pellegrino.
4.    In Egitto fino al Mar Rosso (5/7) – Il popolo impara qui a conoscere la potenza e la liberazione dai nemici da parte di Dio.
5.       Il deserto (7/10) – La vittoria su i primi nemici e la maledizione di Balaam cambiata in benedizione.
6.      Il passaggio del Giordano (11/12) – Le successive vittorie sui nemici ad opera dei calabroni e non per l’opera dei soldati d’Israele.
7.       Il paese della promessa (13) – Il meritato riposo e la pace dopo tutti i combattimenti, godendo i frutti della terra promessa.

G  Scegliete oggi
A fronte di tutto questo gli Israeliti avrebbero dovuto magnificare la grazia e la bontà dell’Eterno che aveva scelto Abramo, loro padre e, di generazione in generazione, non aveva mai cessato di essere con loro e li aveva guardati in tutte le circostanze.
Ora Giosuè poneva davanti a loro una scelta: o l’Eterno o gli dei, che i loro padri avevano servito al di là del fiume e in Egitto (14) e che loro potevano servire nel paese che ora abitavano.
E la scelta s’impone perché “non si possono servire due padroni” (Matteo 6:24).

G  Quanto a me e alla casa mia
Giosuè aveva fatto la sua scelta personale accomunando a sé la sua famiglia e queste parole hanno tanto più valore se consideriamo che è prossimo alla morte. Uomo di provata fede, condottiero e guida del popolo di Dio, raccomanda al popolo di essere fedele all’Eterno e di servirLo citando se stesso e la sua casa ad esempio.

G  Quanto a noi!
Abbiamo fatto oggi la nostra scelta personale se servire con fedeltà il Signore o se andar dietro all’andazzo di questo mondo (Efesini 2:2)? Genitori cristiani che influenza esercitate sui vostri figli quali esempio di fedeltà, obbedienza e servizio per il Signore?

Possiamo tutti dire: “quanto a me e alla casa mia serviamo il Signore”?


                                                                                        D.C.

Le ultime istruzioni di Giosuè

Leggere – GIOSUE’ 23:1/16


Israele ha preso possesso della sua eredità e l’Eterno gli ha concesso un periodo di pace dopo averlo liberato da tutti i loro nemici (1).
Giosuè è vecchio, molto avanti negli anni e sta per andarsene “per la via di tutti gli abitanti della terra” (14).
Ma prima di lasciare la scena di questo mondo convoca a sè tutto il popolo e tutti coloro che hanno delle responsabilità.
Quando un conduttore viene a mancare, quando qualche fratello attivo nel servizio per il Signore lascia la scena di questo mondo, in apparenza sembra che ci sia un vuoto incolmabile, ma in realtà non viene a mancare niente se c’è la fede.

G  Avete visto …
·         “tutto quel che l’Eterno ha fatto” (3)
·         “che neppure una di tutte le buone parole  … è caduta a terra” (14).
Dovremmo conoscere per esperienza la potenza e la fedeltà del Signore per poter riporre la nostra fiducia in Lui anche quando ci troviamo, in apparenza, soli e senza guide. I conduttori sono certamente una cosa preziosa, ma non dimentichiamo che il Signore Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno (Eberi 13:8).

G  Applicatevi dunque …
L’attaccamento alla Parola di Dio è di primaria importanza (6) ma deve seguirne una santificazione pratica (7) che dimostri il nostro attaccamento al Signore. Giosuè poteva dire al popolo: “come avete fatto fino ad oggi” (8) e per noi potrebbe essere detta la stessa cosa? Possiamo dire col salmista: “l’anima mia si lega a te per seguirti; la tua destra mi sostiene” (Salmo 63:8)?

G  Vegliate dunque …
Dobbiamo sempre vegliare sui nostri cuori e sui nostri pensieri, affinché non entri niente che possa indebolire le nostre affezioni per il Signore.

G  Se trasgredite …
Se il popolo fosse stato infedele avrebbe perso l’eredità (il futuro l’avrebbe dimostrato). Il credente non perderà la sua eredità celeste, ma se si svia dal retto cammino la disciplina del Padre non tarderà a farsi sentire, la sua corsa subirà un arresto e il premio sarà perso (1 Corinzi 9:24/27).

Questo discorso di Giosuè ha molte analogie con quello di Paolo agli anziani di Efeso e che concludeva con le parole: “vi affido a Dio ed alla Parola della sua grazia, la quale può edificarvi e darvi l’eredità di tutti i santificati” (Atti 20:32). Facciamo nostre queste preziose esortazioni


D.C.

Una risposta

Leggere  - GIOSUE’ 22:21/34


Tocca ora alle due tribù e mezza di giustificare il loro operato in modo da dissipare ogni dubbio ai loro fratelli.

G  Il Signore lo sa!
Si ode spesso questa frase anche in mezzo aI credenti. Il Signore è chiamato a testimone dei nostri pensieri e del vero scopo delle nostre azioni ma per poter dire così occorre che veramente i nostri cuori siano puri davanti a Lui.
Invocare il giudizio divino (22b) sancisce la più completa disponibilità a rimettersi nelle mani del Signore e portare le conseguenze di un parlare così temerario se non vi fosse un’assoluta sincerità. Non si può chiamare Dio a testimone e poi mentire. È questo il peccato che portò alla definitiva deportazione il popolo d’Israele (2 Cronache 36:13) ed il Signore non sarebbe più tenero con noi.

G  Una paura ingiustificata
Il timore delle due tribù e mezza era che i loro figli, col passare degli anni, non fossero più riconosciuti come parte integrante del popolo (24) e quell’altare  avrebbe dovuto servire solo di testimonianza all’unità. Ma questa paura era ingiustificata, perché l’unità del popolo non avrebbe dovuta essere valutata in relazione alla propria situazione geografica, ma all’obbedienza ai comandamenti dell’Eterno che prevedevano l’adorazione presso il luogo che Dio stesso avesse stabilito. È dunque la loro “posizione equivoca” che li porta ad avere questa paura.
Che nessuno di noi debba mai giustificarsi per aver preso una posizione che non rispetti i desideri del Signore.

G  Soddisfatti
La delegazione guidata da Fineas resta soddisfatta della risposta (30) così come lo sarà il resto del popolo (33), i diritti dell’Eterno sono riconosciuti (31) e si benedice l’Eterno e non si parla più di guerra (33).
Ma la posizione di queste due tribù e mezza resta e più tardi la storia di queste tribù mostrerà che si portano le conseguenze di questa scelta: rimanere al di qua del Giordano.
Al tempo dei Giudici, Deborah e Barac, chiederanno a tutto il popolo di combattere contro il nemico, ma di queste tribù è detto che i Rubeniti, pur avendo preso coraggiose decisioni, rimasero presso i loro ovili preferendo ascoltare il flauto dei pastori, e di Gad che non avevano lasciato la loro dimora oltre il Gioradano (Giudici 5:15/17)



D.C.

Un altare presso il Giordano

Leggere -  GIOSUE’ 22:1/20

 In questo capitolo ritroviamo le due tribù e mezza di cui parla il capitolo 1 e che, in obbedienza all’ordine dato da Mosè, erano passate in armi per aiutare i loro fratelli nella conquista del paese. Ora potevano tornare alle loro case dalle loro famiglie. Prima di congedarli Giosuè li benedice e li mette sull’avviso dei pericoli nei quali si possono imbattere e li invita a mettere in pratica i comandamenti, a camminare nelle vie dell’Eterno ed a servirLo con tutto il cuore (5) come farà con il resto del popolo al momento della sua morte (23:7/8).

G  In compagnia dei loro fratelli
Questi uomini erano stati obbedienti agli ordini che avevano ricevuto da Mosè e fedeli riguardo all’impegno che avevano preso di aiutare i loro fratelli nella conquista del paese mettendo così in evidenza il loro amore fraterno visto che avevano dovuto, per tutto questo tempo separarsi dalle loro famiglie.
Ora potevano tornarsene a casa con un grande bottino ed immense ricchezze (8). La guerra che avevano condotto a fianco dei loro fratelli li aveva arricchiti. La compagnia dei credenti e il combattimento cristiano fatto nell’unità arricchisce sempre.

G  Una posizione equivoca
Fin dall’inizio della loro storia (Numeri 32) erano stati caratterizzati dalla posizione particolare che essi vollero prendere rispetto ai loro fratelli: non dover passare il Giordano.
Era accaduto tutto in modo naturale: avevano del bestiame e avevano visto in quelle terre pascoli che avrebbero soddisfatto i loro bisogni, perché non desiderarli  e prenderne possesso?

G  Le prime difficoltà
Le difficoltà iniziarono subito. Le due tribù e mezzo pensarono fosse giusto costruire un altare “che colpiva la vista” (10) senza pensare alle reazione dei loro fratelli. Questo altare, che nel loro intento aveva un buon scopo, in realtà li esponeva ad essere mal compresi ed a sollevare negli altri un sentimento legittimo di santità, che li avrebbe portati a far loro guerra interpretando quell’altare come il simbolo della loro indipendenza dal resto del popolo.

G  Fineas: santità e grazia
Il resto del popolo, prima di agire, invia Fineas, figlio del Sommo Sacerdote e una rappresentanza di ciascuna tribù per indagare sulla cosa come Mosè aveva ordinato (Deuteronomio 13:12/14).
Nel discorso di Fineas alcune cose balzano evidenti: il timore che queste tribù avessero abbandonato l’Eterno (16), il timore che tutto il popolo avrebbe portato le conseguenze di questo peccato (18) ma allo stesso tempo la disponibilità in grazia di accogliere queste tribù in mezzo a loro se solo avessero voluto ripensare alla loro scelta (19). Un tale esempio deve far riflettere e portare sempre i credenti ad avere un equilibrio tra lo zelo e la fedeltà al Signore e  la grazia verso i nostri fratelli.


                                                                              D.C.

martedì 29 aprile 2014

Le città di rifugio

 Leggere GIOSUE’ 20:1/9


G  Lo scopo
Poteva capitare che qualcuno uccidesse un uomo senza volerlo, incidentalmente ed era, perciò, costretto a fuggire da chi voleva vendicarne la morte.
Le città di rifugio costituivano una risorsa della grazia di Dio a favore di coloro che si macchiavano di questi delitti non premeditati.

G  Le condizioni
L’omicida vi poteva trovare rifugio ma occorreva che:
·         Gli anziani della città, dopo aver esaminato il caso, lo accogliessero dandogli una dimora (4),
·         Non si allontanasse dal territorio della città altrimenti avrebbe potuto essere ucciso dal vendicatore del sangue (Numeri 35:26/27),
·         Non lasciasse la città prima della morte del sommo sacerdote in carica in quel tempo (6).
Solo a queste condizioni l’omicida era al sicuro anche se questo avrebbe significato perdere momentaneamente il godimento della propria parte di eredità che gli era toccata nel paese.
Simei, che aveva maledetto il re Davide (2 Samuele 16:5/7) fu trattato con clemenza dal re Salomone che gli offrì salva la vita a condizione che non si muovesse da Gerusalemme, ma tre anni più tardi perse la vita per esserne uscito (1 Re 2:36/46).

G  Applicazione morale per Israele
Il passo trova una particolare applicazione morale in rapporto al popolo d’Israele che, dopo aver crocifisso il Signore Gesù (Atti 3:17) trova rifugio al riparo da Colui che potrebbe esercitare la vendetta e resta in attesa di rientrare nel godimento della propria eredità allorchè vi sarà un cambio del Sacerdozio: da quello aaronitico a quello “secondo l’ordine di Melchisedech”.

G  La vera e unica “città di rifugio”
Se la sicurezza nella città di rifugio era precaria per l’Israelita, per il credente la salvezza è certa. E’ Cristo la nostra vera ed unica “città di rifugio” nella quale l’uomo peccatore può trovare rifugio. E’ una città dalle porte ancora aperte che accoglie tutti coloro che vi si recano.
Che ciascuno di noi si senta in dovere di indicarne la strada a quanti ne hanno ancora bisogno presentando con semplicità il Signore Gesù come l’unico e solo rifugio per l’anima perduta. Per Israele è detto: “Costruite delle strade” (Deuteronomio 19:3), facciamo altrettanto per rendere più raggiungibile questa città

& Li condusse per la diritta via perché giungessero ad una città da abitare (Salmo 107:7)

D.C.    

La vittoria su Asor

Leggere GIOSUE’ 11:1/23

G  Nuovi nemici; lo stesso scopo
Una nuova alleanza si produce fra i nemici del popolo di Dio. Sotto la direzione di Iabin, re di Asor, questa nuova coalizione si presenta per la guerra contro Israele come “un popolo innumerevole come la sabbia del mare” e ben armata. Davanti a quest’esercito si può vacillare, ma l’Eterno è pronto a rinnovare a Giosuè il Suo: “non temere” (8).
Quante difficoltà possono sorgere nella nostra vita e sembrare innumerevoli ed insormontabili, ma il Signore ci viene in soccorso con le dolci parole: “non temere”. È lui che al momento opportuno ci renderà vincitori.
Il nemico conta con fiducia sulla propria forza e sui suoi propri mezzi, il credente conta solo sull’aiuto del Signore e, mentre “quelli si piegano e cadono, noi restiamo in piedi e siamo saldi” (Salmo 20:7/8).

G  Obbedienza
Questa vittoria avviene all’insegna dell’obbedienza agli ordini di Dio.
Non solo Giosuè tratta i suoi nemici come l’Eterno gli aveva detto (9) ma segue tutte le direttive che l’Eterno aveva dato a Mosè (12, 15, 20) avendo cura di fare ogni cosa esattamente (23).
È questa la forza che produce l’obbedienza alla Parola di Dio (1 Giovanni 2:14) e la sua scrupolosa osservanza deve formare i nostri cuori ed i nostri pensieri e dirigere il nostro cammino verso il cielo.

G  Ostinazione del nemico
Nessun nemico provò a trattare una pace (19) con Giosuè, ed è Dio stesso che produce in loro un indurimento del loro cuore affinché Israele li potesse votare allo stermino.
In questo non c’è un ingiustizia da parte di Dio perché questo è solo il risultato dell’aver disprezzato tutti gli appelli di grazia che Dio rivolge all’uomo. Fu così di Faraone (Esodo 7:14, 22 – 8:9 – 9:7 – 9:12) e lo sarà più tardi per “quelli che periscono, perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati” a cui “Dio manda loro una potenza d’errore perché credano alla menzogna” (2 Te. 2:10/12).

G  I giganti
Alcuni degli Anachiti che tanto avevano impressionati chi li aveva visti per primi (Numeri 13:33) riescono a fuggire in Filistia e continueranno in futuro a combattere contro Israele ogni volta che potranno (cfr. 2 Samuele 21:22), come a ricordarci che dobbiamo vegliare sempre, perché in ogni momento possono sorgere vecchi nemici che forse abbiamo in precedenza sconfitto, ma che non cessano di essere in agguato.



D.C.

domenica 27 aprile 2014

La vittoria su Gabaon

Leggere  GIOSUE’ 10:26/43

G  Tranquilli! Il nemico è  vinto - 10:16/28
L’Eterno aveva promesso a Giosuè la vittoria su i suoi nemici (8) e così è stato. I re che si erano coalizzati per combattere contro Gabaon ora sono costretti a ripiegare in una fuga disastrosa che li vede obbligati a rifugiarsi nella caverna di Maccheda mentre il resto dell’esercito fugge cercando riparo in città fortificate.
La sconfitta del nemico è totale e l’esercito di Giosuè può tornarsene “tranquillamente” (21) presso l’accampamento.
Ai cinque re è riservata la stessa sorte del re di Ai (8:29) e le disposizioni divine sui cadaveri sono scrupolosamente osservate (Deuteronomio 21:23).
Così come l’Eterno aveva detto a Giosuè: “non temere” (8), così lui può dire al popolo: “non li temete” (25).
Il Signore fa la stessa esortazione a ciascuno di noi e se la nostra fede è pari a quella di Giosuè possiamo essere di incoraggiamento agli altri.
Satana, il nostro nemico (Ebrei 2:14), è vinto alla croce da Cristo e presto ne vedremo i risultati definitivi (Romani 16:20).

G   Una vittoria dopo l’altra – 10:29/39
Dio vuole che le vittorie del Suo popolo siano ricordate e le menziona una dopo l’altra tratteggiandone i particolari.
Tutte le città vengono messe “a fil di spada” (29, 32, 35, 37, 39) facendo ben attenzione che nessuno scampi. Le vittorie del credente dovrebbero essere sempre così definitive. Sappiamo usare “la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio” (Efesini 6:17) contro tutto ciò che è davanti a noi e che ci impedisce di prendere possesso del paese della promessa?
Se lasciamo che qualche nemico sfugga alla distruzione, si rifugerà in una città fortificata e si riorganizzerà come avevano fatto quelli di Hebron (cfr. 23 con 37).

G  Dio combatte per noi – 10:40/43
Giosuè passa di vittoria in vittoria nella conquista della terra promessa ma può farlo solo in virtù del fatto che Dio combatte per Israele.
“Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?” (Romani 8:31). Questa dichiarazione dà al credente la stessa certezza. Niente e nessuno può separarlo “dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” e lo rende più che vincitore contro ogni nemico.



D.C.

Bethel 2008 - Piacere a Dio

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Bethel 2011 - La persona e l'opera di Gesù Cristo

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sabato 26 aprile 2014

La condanna di un giusto

Leggere ATTI 7:54 – 8:4

Il Sinedrio.
Stefano aveva fatto passare davanti agli occhi dei suoi accusatori tutta la storia del popolo di Dio dimostrando, da una parte, la bontà e la misericordia di Dio e, dall’altra, la durezza e l’opposizione del popolo.
Ora il Sinedrio doveva solo valutare i fatti e due potevano essere le alternative:
·         o fermarsi a riflettere in vista di un ravvedimento,
·         o insistere nella loro cecità e accanirsi contro Stefano.
Essi avevano già ricevuto la testimonianza di Pietro (5:29/31) e avevano certamente visto come anche alcuni Sacerdoti si erano convertiti (6:7) ma la loro ferocia non si placa e digrignavano i denti (54) contro Stefano, triste preludio della loro condizione eterna (Matteo 22:13). Ed è lo stesso di ogni uomo che rifiuta di riconoscersi peccatore davanti alla bontà di Dio che lo invita al ravvedimento (Romani 2:4).

Stefano il martire.
Stefano fissa gli occhi al cielo e che altro può vedere se non il Suo Signore “in piedi alla destra di Dio” (56).
La calma di Stefano contrasta con la rabbia dei suoi accusatori. Tutto il suo essere è coinvolto in questa scena.
·         I suoi occhi, per vedere la gloria del Figliol dell’uomo,
·         Le sue ginocchia, per pregare per i suoi assassini,
·         La sua bocca per invocare il Suo Signore,
·         Il suo corpo per ricevere le pietre scagliate dalla ferocia altrui.
Davanti a questa scena non possiamo che fermarci commossi a riflettere su un tale “uomo di Dio” e pensare che aveva cominciato il servizio per il suo Signore come “semplice” diacono.

Un testimone oculare.
Ad assistere a tutto questo un giovane (58), che ha l’incarico di custodire i mantelli di coloro che lapidavano Stefano, forse, perché questi non si sporcassero di sangue o per rendere più agile il lancio delle pietre. Testimone oculare, che ne approva l’uccisione.
Questa scena non basterà neppure a lui per fermarsi a riflettere, anzi sarà un spinta a continuare su quella strada devastando la Chiesa, perseguitando i cristiani “di casa in casa” senza risparmiare né uomini, né donne (3).

L’evangelo si spande.
È a causa di questa persecuzione che i discepoli lasciano Gerusalemme e, così facendo, portano l’evangelo nei luoghi verso i quali fuggono. Potremmo dire, paradossalmente, è a causa dell’odio dell’uomo che l’evangelo è annunziato. Ma non è questo che noi dobbiamo attendere per parlare e testimoniare della nostra fede.


D.C.

La storia d’Israele (4)

Leggere ATTI 7:44/53


Stefano era stato accusato di parlare “contro Mosè e contro Dio” (6:11), “contro il luogo santo e la legge” (6:13) e si appresta a ricordare al Sinedrio che lo giudica le diverse dimore di Dio in mezzo al popolo.

Il Tabernacolo ed il Tempio.

Il Tabernacolo era stato costruito nel deserto secondo le istruzioni che Dio aveva dato a Mosè e nessun particolare doveva essere affidato al caso; ogni cosa doveva essere fatta secondo il modello che Dio aveva mostrato a Mosè (Esodo 25:9) che avrebbe dovuto vegliare a questo scopo (Esodo 25:40).
Il Tabernacolo era smontabile, perfettamente adatto ad un popolo nomade. Tappa dopo tappa fu il centro dell’accampamento del popolo nel deserto, finché Giosuè non lo introdusse nella terra promessa e la vi rimase fino ai tempi del re Davide, che prese a cuore di costruire una dimora stabile per il suo Dio.
Ma solo più tardi il Tempio fu costruito dal re Salomone e la nuvola della gloria lo aveva riempito (2 Cronache 5:13/14).
Distrutto dal re di Babilonia fu ricostruito al ritorno dalla cattività.
Il Signore entrandovi poteva parlare di questo tempio come “la casa del Padre mio” (Giovanni 2:16), ma, che i Giudei avevano trasformato in “una casa di mercato” (Giovanni 2:16), in un “covo di ladroni” (Marco 11:17).

L’abitazione di Dio.
Ma ora una domanda si imponeva: dove dimora Dio?
Stefano dichiara che Dio non abita edifici fatti da mani d’uomo citando il profeta Isaia. Salomone lo aveva compreso quando si chiedeva: “ma è proprio vero che Dio abiterà sulla terra?” (1 Re 8:27).
Dio aveva sempre adattato la Sua abitazione ai diversi stati e circostanze del popolo e rivelava ora la formazione di una “casa spirituale” la Chiesa, composta da tutti i veri credenti, Giudei e Gentili, la quale “ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito” (Efesini 2:22).

Gente di collo duro.
Il “fratelli e padri” ai quali Stefano si era rivolto (2) sono ora diventati, al termine del suo discorso: “gente dal collo duro, incirconcisa di cuore” che oppone resistenza allo Spirito Santo (51), i cui padri uccisero i profeti che annunciavano Colui che avevano tradito ed ucciso.
Stefano da accusato diviene accusatore dopo aver mostrato come Dio aveva parlato in molti modi ed in molte maniere ai padri e che ora si era rivelato nella venuta del Giusto e come ogni volta questo popolo si era ribellato, non aveva dato ascolto e la pazienza di Dio volgeva a termine.

G  È così per ogni uomo a cui Dio parla, più volte, in molti modi (Giobbe 33:14/19)  ma se a questa voce di grazia e d’amore che invita viene opposta resistenza non il giudizio.


D.C.

La storia d’Israele (3)

Leggere ATTI 7:30/43

Sono passati ottanta anni ed è arrivato il momento in cui Mosè, ormai formato alla scuola di Dio, può ricevere quella chiamata che lo porterà ad essere il liberatore del popolo di Dio.
Mosè tremante.
Dio gli appare nel “pruno ardente” descritto nei dettagli in Esodo 3, figura del popolo d’Israele (cfr. Michea 7:4 – Ezechiele 2:6) oppresso dal potere dell’Egitto, ma che non può essere consumato, perché è il popolo di Dio.
Mosè è stupito da questa visione (31), si avvicina per osservarla meglio e Dio gli si rivela come il “Dio dei suoi padri”, il Dio delle promesse, il Dio della fede perché la sua relazione col Suo popolo non poteva essere alterata nel tempo dalla prova che stava attraversando.
Mosè impaurito e tremante distoglie lo sguardo da questa visione e Dio gli parla: “togliti i calzari dai piedi; perché il luogo ove tu stai è suolo sacro” (33).
Con queste parole Mosè deve comprendere la base delle sue relazioni con Dio, un Dio santo.

L’afflizione del popolo.
Ho visto l’afflizione del mio popolo … ho udito i loro gemiti … ora, vieni, ti manderò” (34).
Con queste poche parole Mosè riceve un mandato ben preciso da parte di Dio, un Dio d’amore che non resta insensibile all’afflizione del Suo popolo. Un Dio che ha occhi per vedere l’oppressione sul Suo popolo e orecchie aperte per ascoltare il grido che si leva verso di Lui.
Gli occhi del SIGNORE sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti al loro grido” (Sl. 34:15)

Mosè il liberatore.
Mosè, in precedenza, era stato rinnegato (35) e non era stato accettato come capo e giudice, ma Dio ora lo costituiva “capo e liberatore”.
Mosè per liberare compie opere potenti, in Egitto come nel deserto, ma il popolo non volle ascoltarlo e si lasciò andare all’idolatria (41).
Che triste quadro ci viene offerto!
Dio aveva preparato un servitore per liberare il Suo popolo, il suo popolo lo rinnega e passa ad altri dei.
In questi versetti Mosè è una bella figura di Cristo che, non essendo stato ricevuto da quelli di “casa sua” (Giovanni 1:11), è stato innalzato e costituito da Dio Principe e Salvatore (5:31).
Il popolo rifiutando Mosè rifiuta, di fatto, l’Eterno e apre, così, il cammino verso l’idolatria, che lo condurrà alla cattività di Babilonia.
È così dell’uomo che rifiuta d’ascoltare la voce di Dio che Gli si rivolge in grazia (Romani 1:18/23).                                                         

La storia d’Israele (2)

Leggere ATTI 7:17/29

Il popolo di Dio in Egitto cresce e un Faraone che non ha conosciuto Giuseppe lo rende schiavo. Il popolo di Dio non può crescere sul territorio del nemico senza destare apprensione e preoccupazione. Inquietato da questa crescita il Faraone cercherà di distruggerlo. Ma Dio veglia sul Suo popolo e suscita un liberatore: Mosè.

Mosè il potente.
Mosè nasce nel pieno della persecuzione da parte di Faraone. I genitori di comune accordo (Ebrei 11:23) lo tennero nascosto per tre mesi poi lo affidarono alla misericordia di Dio. Raccolto dalla figlia di Faraone venne allevato alla corte ed istruito nella sapienza dell’Egitto.
La figlia di Faraone lo alleva per sé senza sapere che, così facendo, compie i disegni di un Dio che non conosce, perché le vie di Dio spesso si compiono anche per mezzo di persone incredule.
Mosè cresce e divenne “potente in parole e opere” (22). È così dell’uomo naturale le cui parole precedono le opere al contrario di coloro che sono istruiti da Dio che li conferma in “ogni opera buona e in ogni buona parola” (2 Tessalonicesi 2:17) e che sono chiamati ad amare non a parole ma con i fatti e in verità (1 Giovanni 3:18) seguendo il modello del Signore (cfr. Atti 1:1).

Mosè il fuggiasco.
Passano quarant’anni e Mosè non ha dimenticato il suo popolo e lo visita. Vedendo che uno di loro è maltrattato colpisce a morte un Egiziano sperando così che il popolo capisca che è lui il liberatore, ma quante cose ha ancora da imparare Mosè alla scuola di Dio.
Non solo il suo popolo non comprenderà, ma poco dopo gli chiederà chi lo ha costituito “capo e giudice” (27).
Mosè fugge e si rifugia nel paese di Madian dove farà il pastore per altri quaranta anni.

Mosè alla scuola di Dio.
È certamente interessante di notare come Dio prepari i Suoi servitori.
Alla fine dei suoi primi quaranta anni Mosè fa l’esperienza che tutto ciò che ha imparato alla corte di Faraone gli è inutile per servire il Signore, che ha altri piani per lui.
Anche noi possiamo pensare che una posizione elevata in questo mondo possa essere utile al Signore, ma non sempre è così perché non dobbiamo mai dimenticare che: “Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio”  (1 Co.1:27/29).
Mosè farà il pastore per quaranta anni, imparerà a conoscere i bisogni del suo gregge e ad averne cura e questo gli servirà in futuro molto più di tutta la sapienza d’Egitto.

Anche noi, come Mosè dobbiamo imparare questa grande lezione per poter essere strumenti utili nella mano del Signore. 

La storia d’Israele (1)

Leggere ATTI 7:1/16

Accusato da falsi testimoni di proferire parole di bestemmia contro Dio, Stefano inizia il suo discorso davanti al Sinedrio parlando del “Dio della gloria”. Si rivolge a loro con rispetto, ma con fermezza ed il suo discorso è teso a dimostrare i vari interventi di Dio in mezzo al Suo popolo e di come questo vi si sia sempre opposto.
Ü  Abramo: la chiamata
Abramo abita in un paese lontano dalla terra promessa in una famiglia che serviva altri dei (Gs. 24:2) e la sua chiamata mette in evidenza la sovranità della scelta divina, una scelta insondabile che lo invita a lasciare tutto per entrare in un paese che non conosceva. Abramo ubbidisce e parte senza sapere esattamente dove andava (Ebrei 11:8), diventando così un “forestiero e pellegrino”. Anche se la fede di Abramo alla chiamata è rallentata dal soggiorno in Caran.
Anche noi come Abramo siamo stati chiamati a lasciare tutto per entrare nel paese che Dio ci mostra da lontano e siamo chiamati a vivere in questo mondo come forestieri e pellegrini.
Lasciamo al Signore il compito di guidarci anche se spesso le Sue vie ci sono ignote sapendo che la Sua grazia può sopperire alla nostra mancanza di fede.
Ü  Abramo: la promessa.
La promessa fatta ad Abramo era quella di dare una terra alla sua progenie. Di fatto Abramo non poté realizzare niente di tutto ciò che Dio gli aveva promesso, ma con gli occhi della fede egli vede quella terra migliore e celeste (Ebrei 11:16).
Solo dopo oltre quattrocento anni la promessa diventerà realtà, tanti sono gli anni che le vie di Dio hanno impiegato a realizzare le promesse fatte ad Abramo e per l’uomo di fede un lungo periodo di pazienza. Possa il Signore insegnarci a pazientare quando le promesse  non sembrano vedersi realizzare. Il momento verrà in cui realizzeremo che il Signore ci ha dato ciò che ci ha promesso e gioiremo del Suo amore e della Sua grazia.
Ü  Giuseppe
La storia di Giuseppe occupa 11 capitoli del libro della Genesi. Una storia lunga e dettagliata in cui traspare la grazia di Dio che accompagna la fedeltà del patriarca e riassunta qui in soli otto versetti.
L’invidia e l’odio dei fratelli vengono contrapposti alla vicinanza del suo Dio, la sua schiavitù alla sua liberazione (9). La sua sapienza e la sua grazia lo porteranno a governare l’Egitto.
Le vie che Dio segue per portare a compimento le Sue promesse sono spesso lontane dalle nostre. Quante volte Giuseppe avrebbe potuto dubitare, lasciarsi andare alla tristezza, disperarsi, ribellarsi, ma niente di tutto questo compare nella sua vita. E nella nostra?
Giuseppe sarà strumento per sfamare i suoi fratelli che a causa della carestia saranno costretti a scendere più volte in Egitto a comprare il grano. Facendosi loro conoscere potrà dire loro: “non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è Dio” (Genesi 45:8).

Anche per Giuseppe Dio aveva condotto ogni cosa prendendosi cura di lui anche in mezzo alle prove ed avendo in vista il bene di altri. Il nostro Dio è forse cambiato? Non farà altrettanto con ognuno di noi?