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giovedì 31 marzo 2022

La lettera della grazia

“Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” Romani 6:23.


Nell'antica Roma, i magistrati dichiaravano innocente la persona accusata di un crimine mediante un gettone di legno, messo in un'urna, su cui era incisa una lettera dell'alfabeto, detta "littera salutaris" (lettera favorevole): era la lettera A come "absolvo" (io assolvo). Ma c'era anche la lettera C come "condamno" (io condanno).

Ogni essere umano, che ne abbia coscienza o no, è un colpevole nei confronti della santità e della giustizia di Dio. La sua condanna da parte di Dio è senza appello: egli merita di essere allontanato per sempre da Lui. Infatti nella Bibbia è scritto: "Non c'è nessun giusto, neppure uno... perché mediante le opere nessuno sarà giustificato davanti a lui (Dio)... infatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" Romani 3:10,20,23.

Ma Dio, per amore verso gli uomini, ha mandato il suo Figlio, Gesù Cristo, con una missione precisa: pagare il debito di tutti quelli che credono in lui. Egli è venuto sulla terra portando il più grande messaggio d'amore e di perdono in favore dell'umanità colpevole. Lo ha scritto, lo ha inciso, non su un gettone, ma sul legno della croce, dove ha dato la sua vita per salvarci.

Questa croce porta, in un certo senso, la lettera A - io assolvo - per colui che crede in Gesù il Salvatore. Ma sarà un motivo di condanna, e porterà la lettera C, per chi rifiuta il Salvatore.

Chi vorrebbe condannare se stesso respingendo la lettera della grazia di Dio?

31 marzo - Lavorare per il Signore

A ciascuno di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono di Cristo.

Efesini 4:7

 

Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere.

Ebrei 10:24

 

Lavorare per il Signore

 

Anche se i cristiani non dedicano tutti lo stesso tempo al servizio del Signore, Egli si interessa di ogni cosa che è fatta per Lui e apprezza la dedizione di ognuno. Non tutti abbiamo le stesse capacità, le stesse energie, le stesse occasioni per servirlo. Il Signore ci chiede soltanto di mettere a Sua disposizione le cose che Egli ci ha donato. Qualche esempio tratto dalla Bibbia dovrebbe esserci di stimolo e d’incoraggiamento.

– Un ragazzo aveva cinque pani e due pesci: Gesù li ha utilizzati per nutrire 5000 persone (Giovanni 6:9-13).

– Barnaba ha venduto un terreno e ha messo la somma a disposizione degli apostoli (Atti 4:35-37).

– Tabita cuciva tuniche e vestiti per le vedove bisognose (Atti 9:39).

– Lidia, commerciante di porpora, ha ricevuto l’apostolo Paolo e i suoi collaboratori nella propria casa (Atti 16:14,15).

– Febe, diaconessa di una chiesa, è stata un valido aiuto per Paolo e per molti altri credenti (Romani 16:1).

– Priscilla e Aquila, collaboratori dell’apostolo Paolo, hanno rischiato la propria vita per lui (Romani 16:3-4).

Tutti questi cristiani, sebbene in modo diverso, lavoravano per lo stesso Maestro. Aspettando la venuta del nostro Signore, restiamo fedeli in ciò che ci ha affidato.

mercoledì 30 marzo 2022

UN POSTO PER IL SIGNORE

A prima vista, può sembrare sorprendente che il Signore parli di Davide come dell’uomo “secondo il Suo cuore”, quando sappiamo che nella sua vita ha commesso un peccato che ha dato ai suoi nemici “occasione di bestemmiare” (1 Samuele 13:14; 2 Samuele 12:14). Tuttavia la Scrittura dimostra che egli era un uomo con qualità morali ragguardevoli, come ci rivela il Salmo 132 che lo ricorda quando era ancora giovane.

Molti ragazzi di carattere si propongono di fare certe cose quando si saranno fatti una posizione, per assicurarsi ricchezza e notorietà e guadagnarsi un posto nel mondo. Quando era ancora giovane, Davide fece un voto: trovare un “luogo per il SIGNORE” (Salmi 132, 5) e non un posto per se stesso. In questo differiva molto dal suo predecessore, Saul, al quale era stato offerto un posto preminente, quando il Signore aveva detto a Samuele di ungerlo come re. È a questo posto che Saul si è attaccato e per questo ha poi combattuto con accanimento. Il motto di Saul era: Un posto per me; quello di Davide era: Un luogo per il Signore.

“Ecco, abbiamo saputo che l’arca era in Efrata” (Salmi 132:6). Efrata era il nome antico di Betlemme, il luogo di nascita di Davide. L’arca – il trono di Dio in Israele - era stata presa dai Filistei e, benché fosse stata riportata nel territorio d’Israele, non era mai stata rimessa in un luogo degno di essa.

Sapendo questo, Davide promise che non si sarebbe dato riposo finché non avesse trovato un luogo per il Signore, dove l’arca, simbolo della Sua presenza, potesse stare. Questo è l’uomo che piace al cuore di Dio, in contrasto con l’uomo che non cerca che un buon posto per sé.

Esaminiamo il nostro cuore sotto questa luce, perché avrà un effetto benefico sulla nostra vita spirituale. La terra è piena di persone che cercano solo il proprio interesse – nazioni, classi sociali, individui – lanciandosi in concorrenza spietata.

Riguardo al nostro mondo attuale, niente è al suo posto. Cristo non è ancora nel posto che Gli è dovuto, di re su Israele e sul mondo intero come Figlio dell’uomo. La Chiesa non è nel luogo che le è destinato – i luoghi celesti – ma è ancora nel luogo del suo pellegrinaggio. Israele non è ancora stabilita nelle frontiere di un tempo. Le nazioni non hanno ancora raggiunto i luoghi che Dio ha loro destinato; niente sarà a posto, finché il Signore avrà raggiunto il Suo posto. Noi aspettiamo quel momento e diciamo con tutto il cuore: “Vieni, Signore Gesù”.

Ricordiamoci, tuttavia, che anche oggi c’è un modo per dare a Lui il Suo posto, fino al Suo ritorno. Egli ha detto: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Matteo 18:20). Quando Egli verrà, ci sarà il nostro incontro con Lui (2 Tessalonicesi 2:1). Nell’attesa, possiamo radunarci nel Suo nome – escludendo ogni altro nome – accettando la Sua autorità e riconoscendo la Sua presenza in mezzo a noi. Così facendo, avremo la gioia di trovare – in modo spirituale – il luogo che Davide desiderava ardentemente. Dobbiamo così cercare, con ogni cura, che Egli abbia il posto giusto nelle nostre vite, in tutti i nostri pensieri, nei nostri affetti e nel nostro servizio. Questo Gli piacerà, come piacerà a Dio Padre, che Lo ha mandato.

Forse la gente ci considererà dei folli; ci diranno che se non usiamo tutta l’energia per trovarci un posto nel mondo, nessuno lo farà per noi e che ci limiteremo a vegetare. Possiamo capire il loro punto di vista. I discepoli potevano sembrare degli insensati, quando il Signore è arrivato alla fine del Suo percorso quaggiù. Avevano lasciato tutto – le loro barche, il loro lavoro e tanto altro – per seguirlo; avevano perso il loro posto nel mondo, e ora che cosa restava loro? Il loro Messia stava per morire.

Prima di lasciarli il Signore dice loro: “Il vostro cuore non sia turbato… io vado a prepararvi un luogo” (Giovanni 14:1, 2) e il posto che ci prepara e ci assicura è infinitamente preferibile a qualsiasi altro luogo che potremmo perdere.

Proseguiamo dunque con coraggio. Il posto che ci ha preparato è sicuro e nessun discorso potrebbe descriverne l’eccellenza. Che possiamo avere lo spirito di Davide! Aspettando la venuta del Signore, non cerchiamo il nostro piacere e non addormentiamoci. Cerchiamo piuttosto gli interessi del nostro Signore ed apprezziamo in tutto il suo valore il posto in cui Egli ha promesso di essere presente.

30 marzo - Destino incomparabile

(Gesù disse:) “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso”. Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono… e deliberarono di prendere Gesù con inganno e di farlo morire.

Matteo 26:2-4

 

Destino incomparabile

 

Nessuno conosce in anticipo ciò che gli riserva la vita, con un’unica eccezione: Colui che è il Figlio di Dio. Gesù conosceva perfettamente tutto ciò che gli sarebbe avvenuto. Sapeva che sarebbe nato nella povertà, che dopo la Sua nascita un re avrebbe cercato di ucciderlo, che durante tutta la Sua vita sarebbe stato incompreso dai Suoi concittadini e, alla fine, condannato a morte e crocifisso. Egli aveva annunciato il Suo supplizio ancora prima che i capi del popolo lo avessero deciso. Egli avrebbe potuto sfuggire a una fine tanto crudele, ma ha deciso di proseguire il cammino fino alla morte della croce (Filippesi 2:8).

Tutto questo è un mistero per la ragione umana! Solo la fede può apprezzare l’amore di Gesù che gli ha fatto proseguire un tale cammino per la salvezza dei peccatori. Questa vita di sofferenza ha messo in evidenza l’ubbidienza di un uomo totalmente consacrato al compito che il Suo Dio gli aveva assegnato, un uomo che, con piena cognizione di causa, non si è mai distolto da questo scopo. Soltanto Lui, il Figlio di Dio, poteva sopportare il giudizio di Dio contro i nostri peccati: “Il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui… il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Isaia 53:5-6).

Gesù sapeva anche che la morte non lo poteva trattenere e che, per la Sua perfezione di uomo ubbidiente, Dio lo avrebbe risuscitato, elevato al cielo e glorificato. Che conclusione trionfante!


martedì 29 marzo 2022

Il Signore con noi

 Luca 24


Nell’ultimo capitolo del suo Evangelo, Luca ci riporta alcuni avvenimenti del giorno della resurrezione del Signore. Fra i molti dettagli istruttivi che contiene, ci soffermeremo su tre punti essenziali il cui insegnamento è atto ad aiutarci e incoraggiarci nel cammino della fede. Ricordiamo prima di tutto, a grandi linee, quello che è trattato in questo capitolo.

Al mattino del primo giorno della settimana, molto presto, alcune donne – di cui Luca menziona espressamente i nomi (v. 10) – si recano al sepolcro, lo trovano vuoto e questo le turba profondamente. Appaiono due angeli che portano loro il glorioso messaggio: “Egli non è qui, ma è risuscitato” (v. 6). Vanno allora dai discepoli e raccontano quello che hanno visto. In un primo momento essi non le credono, tuttavia Pietro corre al sepolcro dove vede soltanto le fasce che avevano avvolto il corpo del Signore e se ne ritorna pieno di stupore (v. 12).

Il pomeriggio di quello stesso giorno due discepoli se ne vanno, profondamente scoraggiati e abbattuti, verso un villaggio di nome Emmaus (v. 13). Mentre sono in cammino, un uomo si avvicina e inizia a camminare con loro. È il Signore Gesù stesso, ma i loro occhi sono impediti a tal punto che non lo riconoscono (v.16). Luca riferisce in dettaglio la loro conversazione. Il Signore riscalda i loro cuori e anche li fa ardere. Finalmente, nella casa dove lo hanno fatto entrare, lo riconoscono come Gesù risuscitato, ma Egli diviene invisibile ai loro occhi (v. 31). Tornano subito a Gerusalemme e rendono la loro testimonianza ai discepoli radunati insieme: “il Signore è veramente risolto”.

All’istante il Signore stesso compare in mezzo a loro (v. 36). Il Signore fa constatare la realtà della Sua risurrezione e spiega loro che tutte queste cose dovevano avvenire, poiché le Scritture, già da molto tempo, l’avevano annunciate. Poi da loro una nuova missione. Dal momento in cui avranno ricevuto lo Spirito Santo, dovranno andare a predicare a tutte le nazioni “il ravvedimento per il perdono dei peccati” (v. 47).

Alla fine del capitolo, Luca descrive la scena commovente che ha avuto luogo a Betania al momento in cui il Signore lascia i Suoi e ascende al cielo, lasciando sulla terra dei discepoli con il cuore pieno di gioia.


Il Signore presente ovunque.

Torniamo ai due discepoli che lasciavano Gerusalemme per andare a Emmaus. Il motivo che li ha portati a seguire questo cammino erano la delusione e lo scoraggiamento e, come il Signore dirà in seguito, la ragione più profonda era la loro incredulità ma nella Sua grazia il Signore si avvicina per camminare con loro.

Egli cerca prima di tutto di guadagnare la loro fiducia essendo per loro uno sconosciuto. Quanto è commovente per i nostri cuori vedere come il Signore sa venire incontro a delle anime in difficoltà! I due viaggiatori raccontano le circostanze appena vissute e ricordano come la loro speranza relativamente alla liberazione d’Israele sia svanita. Allora il Signore mette il dito nella piaga perché capiscano che la causa della loro afflizione è da ricercarsi in loro stessi; erano “lenti di cuore” a credere tutto quello che la Scrittura aveva detto (v. 25) . Certamente avevano creduto ad alcune “cose che lo riguardavano”; tutti i discepoli erano convinti che Egli fosse il Messia promesso ma il fatto che il Cristo doveva prima soffrire e che solo in seguito apparirebbe in gloria, i loro cuori non lo avevano afferrato, benché questo fosse contenuto nelle Scritture e che il Signore stesso ne avesse parlato ai discepoli in maniera chiara e a più riprese (cfr. 18.31-34). È questo che ora spiega loro “in tutte le Scritture”.

Arrivati a destinazione lo pregano di entrare in casa con loro: “Rimani con noi perché si fa sera” (v. 29). Il Signore non può e non vuole sottrarsi a questo desiderio. Quando sono insieme a tavola, prende il pane, rende grazie e avendolo rotto lo distribuisce loro; è allora che lo riconoscono. Non è la “frazione del pane” come noi possiamo realizzarla oggi quando siamo riuniti in assemblea alla tavola del Signore ma questo porta i nostri pensieri all’istituzione di questo memoriale, ed è palesemente quello che questi due discepoli hanno provato. (E' POSSIBILE MA MI SEMBRA PIU PROBABILE CHE QUEL GESTO DI COMUNIONE FOSSE LORO FAMILIARE...)

Questo racconto è pieno di istruzioni per noi. Prima di tutto è un grande incoraggiamento vedere che dopo la Sua resurrezione Gesù era non solo lo stesso di prima della Sua morte ma anche il Maestro sempre paziente e pieno di grazia tanto che ha invitato i due discepoli a confidargli quello che li preoccupava, così come fa ancora oggi. Egli conosce il nostro dolore per la perdita di un nostro caro; conosce i problemi che incontriamo nella nostra vita professionale e le preoccupazioni per la famiglia. Conosce anche, e questo non è il minore dei soggetti della sofferenza, tutte le difficoltà che sorgono nella vita dell’assemblea. Apriamo a Lui tutto il nostro cuore.

Il grande insegnamento che possiamo trarre da questo racconto è la realtà della presenza costante del Signore nella nostra vita. Qualcuno forse obbietterà: Egli non è più personalmente quaggiù. È vero ma ricordiamoci di quello che ha detto ai Suoi discepoli quando annunciava la Sua partenza verso il Padre: “Io non vi lascerò orfani; tornerò da voi” (Gv. 14:18). Il Signore ha mantenuto questa promessa e, dopo cinquanta giorni dalla Sua resurrezione, ha mandato lo Spirito Santo , questo “altro Consolatore” per essere con noi per sempre. In tale maniera possiamo essere certi della Sua costante presenza e aggrapparsi ad essa con piena fiducia. È stato un Signore e Maestro presente e vivente, non solo per i suoi discepoli dopo la Sua resurrezione, ma lo è per sempre per tutti i figli di Dio.

RIPETO LA NOTA ESPRESSA IN ALTRO ARTICOLO APPENA RILETTO E CIOE' che confinare questa promessa alla discesa dello Spirito Santo non mi soddisfa molto.


Camminare per fede e non per visione.

La sera della Sua resurrezione il Signore è entrato in casa con i due viaggiatori per mangiare con loro tuttavia è avvenuta una cosa del tutto inattesa: il Signore “scomparve dalla loro vista” (v. 31) eppure era entrato “per restare con loro” (v. 29). La loro gioia di avere nuovamente il Signore con loro era stata turbata da questo fatto? Assolutamente no! Malgrado la sera si avvicini, tornano immediatamente a Gerusalemme con i loro cuori gioiosi per tutto quello che avevano udito e visto. Trovano insieme “riuniti gli undici e quelli che erano con loro” (33). La notizia della resurrezione del Signore doveva essersi divulgata rapidamente e i discepoli potevano ben essere radunati insieme per intrattenersi su tutto quello che era avvenuto.

Il fatto che il Signore scompaia all’improvviso davanti agli occhi dei discepoli ci mostra una importante verità: e una illustrazione di quello che Paolo insegnerà più avanti quando scrive: “camminiamo per fede e non per visione” (2 Co. 5:7). L’ultima sera prima della Sua morte, il Signore, aveva detto ai Suoi discepoli nella sala al piano di sopra: “il vostro cuore non sia turbato, abbiate fede in Dio , e abbiate fede anche in me” (Gv. 14:1). Stava per lasciare i Suoi per tornare al Padre e per questo motivo essi dovevano credere in Lui . Se ne andava per essere, come il Padre, un oggetto per la loro fede. Quando il Signore, qualche settimana più tardi è stato elevato in cielo e “tolto dai loro occhi” è iniziato per i discepoli – e anche per noi – il tempo in cui il Signore Gesù può essere visto e afferrato solo per fede. Nel tempo attuale, mentre il Signore è nel cielo, lo vediamo soltanto con gli occhi del cuore, aspettando il giorno in cui lo vedremo con gli occhi del nostro corpo glorificato. Allora “lo vedremo come Egli è” (1 Gv. 3:2).


L’attendibilità della parola divina.

In questo capitolo, Luca menziona molti riferimenti alle dichiarazioni del Signore e alle Scritture. Il mattino presto, gli angeli ricordano alle donne spaventate: “ricordate come egli vi parlò quand'era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell'uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare” (v. 6-7). Nessuno aveva capito queste parole. Durante il cammino verso Emmaus con i due discepoli, “aprendo le Scritture” il Signore “spiegava loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (v. 27). Alla sera, quando il Signore è in mezzo ai suoi discepoli radunati, ricorda loro quello che aveva già detto in precedenza: “Queste sono le cose che io vi dicevo quand'ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi” e aggiunge poi: “Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno” (v. 44-46).

Con queste parole, il Signore pone il suo suggello sull’affidabilità e autenticità della Scrittura. Non si accontenta di convincere i discepoli della realtà della Sua resurrezione, ma vuole far loro capire – e anche a noi come a loro – che dobbiamo dare fiducia alla Parola scritta. Questa è la parola di Dio che sostiene la nostra fede ed è il garante della nostra sicurezza eterna. È anche la luce per il nostro cammino, particolarmente necessaria nei giorni di tenebre che stiamo vivendo oggi.

Incoraggiamoci ad amare la Parola e ad onorarla; consideriamola come un prezioso tesoro e mettiamola in pratica; vi sarà una immensa benedizione riservata per noi. “Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate, e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù “ (2 Ti. 3:14-15).

29 marzo - Sofferenza e gloria

Una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo”.

Matteo 17:5

 

Sofferenza e gloria

 

Due scene dei Vangeli presentano la persona di Gesù Cristo in modo molto differente: la Sua trasfigurazione e la Sua crocifissione.

Gesù conduce in disparte, sopra un alto monte, tre dei discepoli e proprio lì, davanti ai loro occhi, è trasfigurato, “la sua faccia risplendette come il sole” (Matteo 17:2); in relazione alle Sue sofferenze, il profeta Isaia aveva detto che il Suo aspetto era “disfatto” “al punto da non sembrare più un figlio d’uomo” (Isaia 52:14). Sul monte della trasfigurazione, invece, “le sue vesti divennero sfolgoranti, candidissime, come neve, di un tal candore che nessun lavandaio sulla terra può dare” (Marco 9:3).

Ma com’è diversa la scena sulla croce del Golgota! Gesù, spogliato delle vesti, coronato di spine e inchiodato al legno, è esposto allo sguardo di tutti i passanti. “Hanno spartito fra loro le mie vesti e hanno tirato a sorte la mia tunica” (Giovanni 19:24).

Sul monte, in occasione della trasfigurazione, è apparsa la nuvola della presenza di Dio, sulla croce tutto è avvolto dalle tenebre. Il Figlio di Dio è solo.

Sul monte, si è fatta udire la voce del Padre: “Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo”. Sulla croce s’innalza il grido di Gesù, straziante, insondabile: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46; Salmo 22:1).

Questo era il prezzo da pagare per la salvezza e la gioia dei credenti. “Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” (Luca 24:26).

lunedì 28 marzo 2022

In mano Sua

“e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno” (Giovanni 10:28-30).

Nessuno le rapirà dalla mia mano. Questo dice il Signore parlando delle sue pecore. Poi aggiunge Nessuno può rapirle dalla mano del Padre.

Può sembrare un gioco di parole, ma nessuno vuol dire nessuno.

Queste affermazioni del Signore riguardano evidentemente la certezza della vita eterna che hanno coloro che gli appartengono. Niente e nessuno possono togliere ciò che Dio ci ha donato in Cristo.

Credo però che si possano fare alcune considerazioni pratiche.

Comunemente nel mondo quando si è in relazione con qualcuno di affidabile si usa dire: “Sono in buone mani!”. Quando pensiamo di essere nella mano del Signore, nella mano del Padre, possiamo dire che non potremmo essere in mani migliori.

Non ci sono mani più sicure.

Non ci sono mani più protettive.

Non ci sono mani che custodiscono meglio.

Non ci sono mani che curano meglio.

Non ci sono mani che sorreggono meglio.

Non ci sono mani più forti e potenti.

Parlando al suo popolo, in particolare alla città di Gerusalemme Dio poteva dire: “Ecco, io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani” Isaia 49:16. Pensiamo scolpiti nelle sue mani!

Quante certezze possiamo avere se apparteniamo al Signore, se siamo suoi. E’ importante ricordarci che queste sicurezze non dipendono dalle circostanze che attraversiamo, dai nostri sentimenti, o dal comportamento degli altri, ma si riposano su quanto il Signore ha fatto per noi e sulle sue promesse.

In questo mondo quante prove, difficoltà, scoraggiamenti, falsi insegnamenti che alimentano dubbi, non dimentichiamo mai che siamo nelle sue mani , quelle mani che ci danno sicurezza eterna e cure quotidiane.

28 marzo - “Vuoi guarire?”

Là c’era un uomo che da trentotto anni era infermo. Gesù vedutolo che giaceva… gli disse: “Vuoi guarire?... Alzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina”. In quell’istante quell’uomo fu guarito.

Giovanni 5:5-9

 

“Vuoi guarire?”

 

Domanda sorprendente: “Vuoi guarire?” Desideriamo tutti guarire quando siamo malati; perché allora Gesù fa questa domanda a un uomo infermo già da trentotto anni?

– Trasportiamo la situazione sul piano morale. Il Signore mi dice: Vuoi essere guarito dalla tendenza a fare il male, liberato dalla colpevolezza, da quel vuoto che da tempo senti nel cuore? Lo vuoi davvero? Per essere guariti bisogna innanzitutto volerlo!

– Quell’uomo voleva essere guarito. Ma come fare? Non ho nessuno che mi aiuti - pensava - e sono paralizzato… Era perfettamente cosciente di trovarsi in una situazione senza sbocco.

– Anch’io ho provato a migliorare me stesso, ma devo riconoscere che non ne sono capace. Come fare a liberarmi dal male che è in me? Non c’è nessuno che mi possa aiutare.

– Gesù ha percepito la disperazione di quell’uomo paralizzato e gli ha detto: “Alzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina”. In quell’istante ha ottenuto la guarigione e si è messo a camminare!

– La guarigione che Gesù offre anche a me è altrettanto immediata, altrettanto meravigliosa. I sensi di colpa che mi attanagliano li ha presi su di Sé alla croce. Si è caricato anche dei dubbi che mi tormentano. Egli ha subito la condanna che meritavano le mie colpe e la mia natura contraria al bene. Il Signore mi offre il perdono. È come se mi dicesse: “Alzati e cammina; guarda, puoi pregare Dio come un Padre, sei libero. Vieni e seguimi”.

Che io possa rispondere: “Sì, Signore Gesù, vengo a te così come sono!”

Fallo anche tu!

domenica 27 marzo 2022

Nadab e Abiu

Il pensiero di Dio era che i figli d’Israele fossero per Lui “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Esodo 19:6); ma non si sono dimostrati all’altezza di questa posizione.

Aaronne e i suoi figli furono chiamati al sacerdozio (Esodo 28:1), e i Leviti furono scelti per esercitare il servizio del tabernacolo davanti a Dio (Numeri 1:50), perché erano rimasti fedeli durante la vicenda del vitello d’oro (Esodo 32:25-29).

Aaronne era il sacerdote unto con “l’olio dell’unzione” (Esodo 29:7) e aveva quattro figli: Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar, incaricati con lui a servire e poi a succedergli nella funzione di “sommo sacerdote” (Levitico 21:10). Furono tutti consacrati secondo l’ordine dell’Eterno (Esodo 29:9); non furono però tutti fedeli e la linea dei sommi sacerdoti proseguì principalmente attraverso Eleazar (Numeri 20:25-28).


Con Mosè e Aaronne sulla montagna del Sinai

Nadab e Abiu ebbero il privilegio di accompagnare Mosè e Aaronne sulla montagna e di vedere il Dio d’Israele: “sotto i suoi piedi vi era come un pavimento lavorato in trasparente zaffiro, e simile, per limpidezza, al cielo stesso” (Esodo 24:9-10). Dio “non stese la sua mano contro quegli eletti”: essi erano “nobili” tra i figli d’Israele. In quell’occasione “essi videro Dio e mangiarono e bevvero” (v. 11).

Un favore simile avrebbe dovuto riempire i loro cuori di un santo timore di dispiacergli. Tanto è grande la nostra vicinanza a Dio, tanto maggiore è la nostra responsabilità. Possiamo forse smettere di contemplarlo (2 Corinzi 3:18), e rispondere alle sollecitazioni della nostra carne che è sempre in noi, pronta a manifestarsi?

I due figli maggiori di Aaronne avevano ricevuto – come gli altri due – delle consegne precise da rispettare, prima della loro investitura come sacerdoti: “Per sette giorni (figura di tutta la nostra vita) non vi allontanerete dall’ingresso della tenda di convegno, finché non siano compiuti i giorni della vostra consacrazione” (Levitico 8:33). Dovevano comportarsi così giorno e notte, e osservare il comandamento del Signore; “Affinché non moriate; perché così mi è stato ordinato”, aveva detto Mosè (v. 35).


Nadab e Abiu presentano un “fuoco estraneo”

Guidati dalla mano fedele di Mosè, Aaronne e i suoi figli avevano adempiuto tutti i passaggi della loro consacrazione, secondo l’ordine di Dio. Il verbo “comandare” compare quattordici volte nei capitoli 8 e 9 del Levitico! Purtroppo, però, non abbiamo da leggere troppe pagine per sapere che cos’è accaduto nella famiglia di Aaronne (inizio del cap. 10).


Una disubbidienza flagrante al comandamento del Signore

Dio stesso aveva acceso il fuoco perenne indispensabile per l’altare di rame, dove si consumava lentamente l’olocausto davanti a Lui, giorno e notte. In quell’occasione era apparsa la gloria di Dio; il popolo l’aveva vista e aveva mandato grida di gioia, prostrandosi (Levitico 9:23-24). Eppure, appena consacrati, Nadab e Abiu presentano davanti al Signore un fuoco estraneo. Che terribile contrasto! Quel fuoco non era stato preso dall’altare, come si sarebbe dovuto fare, e la loro disubbidienza li ha portati alla rovina! Si sono resi colpevoli di un grave peccato, accendendo un fuoco “diverso da ciò che egli aveva loro ordinato” (Levitico 10:1).


Un giudizio immediato

Nadab e Abiu stavano davanti all’altare d’oro, quello dei profumi, con il loro incenso, quando “un fuoco uscì dalla presenza del Signore e li divorò; così morirono davanti al Signore” (10:2; Ebrei 12:29). “Allora Mosè disse ad Aaronne: «Questo è quello di cui il Signore ha parlato, quando ha detto: “Io sarò santificato per mezzo di quelli che mi stanno vicino e sarò glorificato in presenza di tutto il popolo”». Aaronne tacque.

Il suo cuore era stretto per il dolore, ma riconobbe che Dio aveva agito con giustizia (Matteo 10:37). Dalla sua bocca non uscì alcun mormorio; avrebbe potuto pronunciare le parole di Eli: “Egli è il Signore: faccia quello che gli parrà meglio” (1 Samuele 3:18).

Aaronne stette immobile, in silenzio, in mezzo ai due figli vivi e agli altri due morti. Due loro cugini, che non erano sacerdoti, portarono “i loro fratelli” lontani dal luogo santo, ancora rivestiti delle tuniche, simbolo del loro servizio e dei loro privilegi (v. 4-5). Più tardi, Aaronne dirà a Mosè, in modo toccante, alludendo ai due figli morti: “Ecco, oggi essi hanno offerto il loro sacrificio espiatorio e il loro olocausto davanti al Signore, e dopo le cose che sono successe, se oggi avessi mangiato la vittima del sacrificio espiatorio, sarebbe ciò piaciuto al SIGNORE?…” (v. 19).

Secondo il nostro parere, viziato dal contatto abituale col peccato, un tale giudizio potrebbe sembrarci troppo severo. In modo solenne, Dio stabilisce qui una nuova relazione con il Suo popolo; in quest’occasione Egli rivendica ciò che si addice alla Sua santità, come vediamo all’inizio del cap. 16 del Levitico: “Il Signore parlò a Mosè dopo la morte dei due figli di Aaronne, i quali morirono quando si presentarono davanti al Signore… Parla ad Aaronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualsiasi tempo nel santuario, di là dalla cortina davanti al propiziatorio che è sull’arca, affinché non muoia: poiché io apparirò nella nuvola sul propiziatorio” (v. 1-2). Così Dio rivelò a Mosè in quale maniera aveva provveduto a mantenere le Sue relazioni con il popolo, quando l’ingresso alla Sua presenza restava chiuso.


Cari lettori cristiani, la casa nella quale noi stiamo è “la casa di Dio” (1 Timoteo 2:15). Dio, il Figlio, è sovrano sulla Sua casa. Lo Spirito Santo vi abita e la governa alla gloria del Padre e del Figlio. Organizzare di testa propria, presiedere, decidere qualsiasi cosa in questa casa che non sia in accordo col Suo volere dimostrerebbe una grande presunzione da parte nostra. Sarebbe una totale mancanza di rispetto per la Persona divina che ne è il “capo supremo”.

Ricordiamoci dell’errore di Davide quando, senza consultare l’Eterno, aveva deciso di trasportare l’arca su un carro nuovo, anziché farla portare sulle spalle dai Cheatiti come si doveva fare. Più tardi, il re Uzzia, ha peccato osando sostituirsi ai sacerdoti, i soli autorizzati ad offrire l’incenso a Dio nel santuario. Ogni volta Dio, che veglia sulla propria gloria, dovette intervenire con un giudizio immediato.

Nei primi tempi della formazione della Chiesa, Anania e Saffira furono colpiti da un giudizio simile per aver “mentito allo Spirito Santo” (Atti 5:1-10). Bisogna riconoscere che, a partire dal giardino dell’Eden, tutto ciò che Dio affida all’uomo l’uomo rapidamente lo corrompe.

In questa scena di Levitico 10, il sacerdozio è appena stato istituito da Dio che già proprio dei sacerdoti commettono un grave peccato. Ecco il perché di quel terribile giudizio: gli autori di quel sacrilegio muoiono davanti a Lui e tutto il popolo, che un istante prima cantava di gioia, fa cordoglio!

Secondo la misura in cui Dio è esaltato e riverito nei nostri pensieri, il nostro cammino sarà in accordo con ciò che Egli ama e ordina. Se i nostri pensieri a Suo riguardo sono poco elevati, il livello del nostro cammino ne risentirà: “C’è sempre il pericolo di ammettere nei nostri pensieri riguardo a Dio qualche elemento di familiarità profana, di cui Satana si serve in modo molto pericoloso” (C.H.M.).


Un allarme indirizzato ai sacerdoti

I diritti di Dio sui sacerdoti erano tali che essi non avevano il diritto di associarsi alle lamentele del resto del popolo (v. 6). Non dovevano neppure uscire dall’ingresso della tenda di convegno, altrimenti sarebbero morti, perché l’olio dell’unzione dell’Eterno era su di loro. “Ed essi fecero come Mosè aveva detto” (v. 7). I diritti naturali sono messi da parte, ma non eliminati; Dio può portarci ad oltrepassarli, purché i Suoi diritti siano rispettati.

Nadab e Abiu avevano forse bevuto troppo, per aver “dimenticato la legge” (v. 9; Proverbi 31:4-5). In questo caso, la loro carne aveva agito senza freni. L’ordine del Signore era chiaro: non si dovevano adoperare incensi estranei (Esodo 30:7-9). Così, poco dopo, Aaronne riceve un ordine preciso: “Tu e i tuoi figli non berrete vino né bevande alcoliche quando entrerete nella tenda di convegno, altrimenti morirete; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; e questo perché possiate discernere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è impuro da ciò che è puro, e possiate insegnare ai figli d’Israele tutte le leggi che il Signore ha date loro per mezzo di Mosè”. Non dimentichiamo che, per insegnare, bisogna essere nella condizione adatta!


Istruzioni utili per noi credenti cristiani

La santità si addice alla casa di Dio

È chiaro che i turiboli di cui si servivano i sacerdoti nel tabernacolo dovevano essere riempiti soltanto di carboni ardenti presi dall’altare dei sacrifici (Levitico 16:12-13; Numeri 16:46).

La presenza abituale di Nadab e Abiu vicino all’altare rendeva quest’ordine di Dio facile da osservare; ma essi non si sono voluti servire del fuoco che Dio stesso aveva acceso poco prima; hanno preferito servirsi di un fuoco “estraneo”, cioè di altra provenienza. Così, il fuoco divino, che essi non avevano scelto, li ha consumati. Sono state vittime della sua forza devastante, mentre avrebbe dovuto servire solo per consumare le loro offerte!

Dio ha rifiutato quelle offerte a causa della loro disubbidienza (Numeri 3:4; 1 Cronache 24:2).

Il popolo d’Israele, liberato da poco dall’idolatria e dalla corruzione imperanti in Egitto, aveva bisogno d’imparare questo: “la santità si addice alla tua casa, o Eterno, per sempre” (Salmi 93:5). Strappati dal mondo, i riscattati del Signore sono chiamati a servirlo, e la Parola mette l’accento sulla loro santità pratica(1 Pietro 1:15-16). Notiamo bene che la santità ha un posto di rilievo in tutto il libro del Levitico.


L’uomo è messo da parte

La Parola insiste su questo punto importantissimo: “Io sarò santificato da coloro che si avvicinano a me, e sarò glorificato davanti a tutto il popolo” (Levitico 10:3).

Poiché la Chiesa è la casa di Dio, ne consegue che “l’uomo” dev’essere messo da parte. Tutte le nostre buone intenzioni, le iniziative, le tradizioni non hanno alcuna importanza in questa casa. Noi dobbiamo comportarci, in questa casa, come “membri della famiglia di Dio” (Efesini 2:19), secondo il solo desiderio di Dio, che vi abita. Lo Spirito Santo si occupa d’insegnarci queste cose per mezzo della Parola: ascoltiamolo!

Quanto al nostro servizio personale abbiamo già visto che l’incenso presentato doveva essere offerto soltanto con il fuoco preso dall’altare del sacrificio. Questo ci ricorda che il solo fondamento accettabile è quello del sacrificio di Cristo. I profumi, composti da elementi “in dosi uguali”, erano per Dio solo. La gloria e la bellezza senza confronto del Suo amato Figlio sono prima di tutto per Lui. Allo stesso modo, per presentare la nostra adorazione, non c’è posto per un fuoco estraneo, prodotto da un entusiasmo umano.

Dopo la caduta, l’uomo ha sempre cercato di divertirsi con la musica. Jubal, uno dei figli di Caino, ha usato i primi strumenti musicali (Genesi 4:21). La musica esercita una forte influenza sui nostri sentimenti e sul nostro comportamento. I capi di questo mondo lo sanno bene (Daniele 3:4-7). Il nemico, che domina il mondo, se ne serve, a volte, per distrarre e risvegliare in noi delle passioni. Ci vuole equilibrio. Anche la musica cosiddetta religiosa non è priva di pericoli; dobbiamo stare in guardia, perché il nemico è bravissimo negli “arrangiamenti”.

Noi siamo anche molto sensibili all’eloquenza, a chi ha “una bella voce” (Ezechiele 33:32). Apollo, un vero servitore del Signore, era eloquente, ma si serviva di questa sua dote per la gloria del Signore. Facciamo attenzione: molti oratori sanno usare delle belle parole per trascinare i loro ascoltatori “dietro a sé”, su vie traverse.


Vegliare per essere protetti, in ogni tempo, da ciò che eccita la carne

La Parola ci mette spesso in guardia contro tutto ciò che influenza segretamente i nostri sentimenti naturali.

A proposito delle bevande alcoliche, possiamo leggere, per esempio, 1 Timoteo 3:3 e Tito 2:3. Se non vegliamo, potremmo lasciarci andare, a poco a poco, a bere in modo eccessivo, superiore alla misura indicata dalla Parola in un caso particolare (1 Timoteo 5,23). Teniamoci a distanza da tutto ciò che eccita la nostra carne; era indispensabile per dei sacerdoti, e noi credenti siamo tutti sacerdoti; se cadiamo negli eccessi, non saremmo in grado di discernere fra ciò che è santo e ciò che è profano.

Adesso altri drammi si sono aggiunti a quello dell’alcol: l’uso delle droghe che è diventato un terribile flagello, soprattutto fra i giovani; e poi le passioni carnali, le perversioni, gli abusi. Come per le bevande alcoliche, solo la potenza di Dio può liberare del tutto quelli che ne sono divenuti dipendenti!

Il nostro cuore non è fatto per restare vuoto; Cristo solo lo può riempire in modo benedetto. Senza una relazione vivente con Lui, ricadiamo presto nel marasma interiore. La solitudine e l’apatia possono spingerci ad ogni tipo di eccesso. Allora, come dice un cantico, le “vane felicità di un mondo infedele” imprigionano il nostro cuore, non “creano che rimpianti e disgusto”.

Un cristiano deve vegliare e pregare in continuazione, cercare ad ogni passo, durante il cammino, la volontà del suo Dio e Padre. La strada gli è indicata dalla Parola, illuminata dallo Spirito Santo che abita in lui.


Conclusione

Nel mondo, molte cose possono essere un “fuoco estraneo”, che non deve trovarsi nell’adorazione e nei culti ai quali abbiamo il privilegio di prender parte. Un pensiero particolarmente incoraggiante, tuttavia, ci viene dalla lettura di questo passo. Il Signore ha voluto mantenere il sacerdozio, nonostante il disastro, servendosi dei “figli di Aaronne che erano rimasti” (v. 16). Possiamo vedervi un’immagine del tempo attuale: tutto ciò che riguarda la Chiesa e il servizio divino manterrà, a quanto pare, fino al ritorno del Signore, un carattere di debolezza e di povertà. Le risorse, però, vengono da Dio e restano sempre le stesse. Sono alla portata della fede ubbidiente: ricordiamoci, per la nostra consolazione, che Eleazar significa: “Dio ci ha soccorso”!

27 marzo - “Sei stato veramente misericordioso con me”

Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.

1 Giovanni 1:9

 

“Sei stato veramente misericordioso con me” 

 

«Nato in una famiglia cristiana, sono diventato un vero cristiano quando avevo 17 anni. Fino a quel momento, ero combattuto: sapevo che se avessi ricevuto Gesù come Salvatore avrei dovuto riconoscerlo poi anche come il Signore, il padrone della mia vita.

Una sera, ero solo nella mia camera. Non mi sentivo in pace. Non potevo stare né in piedi né seduto, non trovavo requie. Dovevo credere al Signore Gesù o no? Mi veniva voglia di dire no, ma questo mi metteva a disagio. C’era in me un tremendo conflitto. Allora, mi sono inginocchiato per pregare. All’inizio non trovavo le parole. Ma poco per volta mi sono tornati in memoria molti miei peccati. Non avevo mai vissuto nulla di simile prima di allora. Mi sono visto come un peccatore e ho visto anche la grazia del Signore. Ho preso coscienza di tutta l’impurità del peccato e ho anche capito che il prezioso sangue di Gesù mi purificava e mi rendeva più bianco della neve. Era come se Lui tendesse le mani per ricevermi, dicendo: Ti aspetto.

Fino ad allora, deridevo coloro che credevano al Signore, ma quella sera ho pianto e ho confessato i miei peccati, chiedendo perdono al Signore. Dopo aver pregato, ho compreso che il carico dei miei peccati mi era stato tolto di dosso e mi sono sentito pieno di gioia e di pace. Solo, nella mia camera, ho detto al Signore: Signore Gesù, sei stato veramente misericordioso con me.»

Watchman Nee


sabato 26 marzo 2022

Una scure già pronta

Battesimo; Giovanni annuncia che stava per giungere il più forte, qualcuno a cui lui non era degno neppure di sciogliere i lacci dei calzari. Ogni qualvolta la Scrittura menziona Giovanni lo fa per mettere in luce la missione del Signore. Chiamato il Battista perché è stato il primo a battezzare gli altri. Il battesimo di Giovanni era un'innovazione. I giudei erano soliti lavarsi ripetutamente con acqua per poter effettuare i vari rituali religiosi e così anche tutti coloro che essendo gentili volevano entrare a far parte del popolo giudei come proseliti. Ma questo battesimo non rappresentava né l'uno né l'altro. 

Quanti accorrevano a lui, nel deserto, trovavano un uomo vestito non solo semplicemente ma in tutto il suo abbigliamento ricordava Elia (2 Re 1:8). Gli Israeliti attendevano l'avvento di Elia prima della venuta del Signore (Ml 4:5). Aveva un messaggio da dare a tutti gli uomini: Cristo sta per venire; è Dio stesso che scende fra gli uomini. Come lo avrebbero ricevuto?

“E la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco” Matteo 3:10.

La predicazione di Giovanni Battista è ancora molto attuale. In mezzo ad una generazione apparentemente religiosa, piena di alberi verdeggianti ma privi di frutti di ravvedimento queste parole erano tese a scuotere le coscienze.

“li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie uva dalle spine o fichi dai rovi?...Voi dunque li riconoscerete dai loro frutti. Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” Matteo 7:16,20-21. 

Ai religiosi che si vantavano della loro religiosità, ma che non avevano amore per Dio, come ce ne sono molti oggi, si rivolge chiamandoli: razza di vipere: essi sapevano che era un'ira futura di Dio che si sarebbe riversata sui peccatori, ma non si umiliavano e non facevano frutti degni di ravvedimento. Andavano a lui anche dei soldati e pubblicani disonesti e per tutti la soluzione era la stessa: pentirsi dei loro peccati. Era la solo risposta possibile alla domanda: che dobbiamo fare? Che tutti gli rivolgevano.

Ancora oggi ci sono milioni di persone che si chiedono che cosa devono fare: in mezzo alla confusione generale e come Giovanni il profeta noi ripetiamo "pentirsi" perché il giudizio è alla porta.

26 marzo - I nostri doni agli occhi di Dio

Chi semina scarsamente, mieterà altresì scarsamente… Dia ciascuno come ha deliberato in cuor suo; non di mala voglia, né per forza, perché Dio ama un donatore gioioso.

2 Corinzi 9:6, 7

 

I nostri doni agli occhi di Dio

 

Osserviamo la scena commovente di Marco 12:41-44. Il Signore Gesù, seduto di fronte alla cassa delle offerte nel tempio, a Gerusalemme, osserva come ciascuno si comporta riguardo alle offerte. Molti ricchi gettavano molto denaro nella cassa, ma una povera vedova vi mette due spiccioli. Il Signore ne è così toccato che subito chiama a sé i discepoli, per mettere in evidenza tutto il valore dell’offerta di quella donna.

Perché, nella stima di Dio, due spiccioli valgono molto di più di una grossa cifra? Gesù considera non soltanto ciò che viene gettato nella cassa delle offerte, ma quanto ognuno trattiene per sé, per soddisfare dei bisogni che forse sono del tutto secondari. Per i ricchi, la grossa somma non era che un superfluo; la vedova aveva invece dato tutto ciò che aveva.

Si può quindi concludere che non ciò che si dà, ma ciò che si conserva per sé è oggetto dell’attenzione del Signore! Sono i nostri sentimenti profondi ad essere valutati da Colui che “conosce i pensieri più nascosti” (Salmo 44:21).

La gioia del donare non viene solo dalla riconoscenza di chi riceve, per quanto apprezzabile essa sia. La vera gioia viene dal fatto stesso di donare, come il Signore Gesù stesso ha detto: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20:35).

(Da “L’Ecclesiaste e le risposte del Nuovo Testamento”

Edizioni Il Messaggero Cristiano)

venerdì 25 marzo 2022

Esortazioni

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà”  Romani 12:1-2. 


In questa epistola ai Romani vengono esaltate la grandezza di Dio e il suo amore attraverso il sublime disegno che Egli ha concepito. Nonostante l'uomo abbia “peccato e sia privo della gloria di Dio”  (3:23), e si trovi in una situazione di miseria assoluta, il Signore è intervenuto, perché chiunque crede sia “reso conforme all'immagine del Figlio” (8:29) e partecipi alla sua gloria.

Ora, Paolo, dedica una seconda parte della sua lettera all'aspetto pratico.

Vi esorto, vi è il desiderio intenso che i lettori possono attenersi agli insegnamenti esposti in di questa lettera, infatti ciò che l'apostolo sta per insegnare ha un valore fondamentale per la condotta cristiana.

L'offerta (o il sacrificio) del nostro corpo a Lui è vivente, a differenza dei sacrifici di animali uccisi che venivano offerti anticamente da Israele. Inoltre è santa, vale a dire pura, consacrata a Dio e a Lui gradita. Il nostro corpo sono i nostri piedi, le mani, gli occhi, la bocca, le orecchie, ecc... Quello che facciamo, i luoghi dove andiamo, le cose che guardiamo, che diciamo, che ascoltiamo, tutto deve essere gradito al Signore. E' praticamente l'offerta a Dio di tutta la nostra vita , nelle intenzioni, nelle motivazioni, nei comportamenti. 

Se il Figlio di Dio è morto per me, allora il minimo che posso fare è vivere per Lui.

“Poiché siete stati comprati a caro prezzo. “Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” 1 Corinzi 6:20.

25 marzo - “Sono pochi i salvati?”

Un tale gli disse: “Signore, sono pochi i salvati?” Ed egli disse loro: Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché io vi dico che molti cercheranno di entrare e non potranno”.

Luca 13:23-24

 

“Sono pochi i salvati?”

 

Qualcuno chiede a Gesù se le persone salvate saranno poche. Il Signore non risponde direttamente alla domanda, ma spiega ciò che ciascuno deve fare per essere salvato. Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. La via della salvezza è accessibile a tutti ed è la stessa per tutti: bisogna passare per la porta stretta, cioè per Gesù crocifisso, che ha detto: “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato” (Giovanni 10:9).

Entrare per questa porta significa riconoscersi perduti e credere che Gesù è l’unico mezzo per essere salvati. Bisogna rinunciare a qualsiasi altro mezzo umano: opere religiose, adesione intellettuale, tradizioni, educazione…

Prima della conversione, l’apostolo Paolo, persona molto colta, animato da zelo fanatico per la sua religione, perseguitava i cristiani. Ma dopo la conversione tutti i vantaggi derivanti dalla sua educazione e dalle sue funzioni religiose li considerava “come tanta spazzatura”! La sua fede contava unicamente sulla giustizia che Dio conferisce a chi crede (Filippesi 3:8-9).

Se ci rifiutiamo di conoscere il Signore, di cercarlo, di credere in Lui, allora rimaniamo lontani da Dio, legati al male, e un giorno dovremo udire questa terribile frase: “Io vi dico in verità: non vi conosco” (Matteo 25:12).

Essere salvati significa avere la vita eterna mediante la fede in Cristo. Allora soltanto possiamo vivere una vita che piace a Dio, che lo onora con le buone opere che Lui stesso ci mette davanti, e impegnarci a rimanere saldi nella Sua grazia.


giovedì 24 marzo 2022

Ciò che avrai

“Tu cercheresti grandi cose per te? Non le cercare! ... a te darò la vita come bottino, in tutti i luoghi dove tu andrai”  Geremia 45:5.


Questo è il dono segreto, sicuro e indistruttibile, che il Signore fa a coloro che si affidano a Lui  a te darò la vita come bottino. Questo significa che in ogni circostanza ti troverai ad attraversare, in ogni momento della tua vita anche angosciante o penoso una cosa rimarrà certa e sicura: la vita eterna.

Siamo portati a cercare grandi cose per noi, le desideriamo, le bramiamo, ma Dio ha le sue vie, che non sono le nostre. Potremmo venire a trovarci in circostanze ben difficili. Dio non ci ha promesso fama e ricchezza su questa terra, il Suo dono è eterno e indissolubile.

Questa promessa riguarda tutti i suoi:  a te darò la vita come bottino.

24 marzo - Un malfattore ricevuto in paradiso

“Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo; ma questi non ha fatto nulla di male… E diceva: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!” Gesù gli disse: “Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso”.

Luca 23:41-43

 

Un malfattore ricevuto in paradiso

 

Il malfattore crocifisso accanto a Gesù è sulla soglia dell’eternità. Ad un tratto scopre che, dopo esser stato nelle mani della giustizia umana, sta per cadere in quelle della giustizia divina. Sofferenze terribili, prima e dopo la morte: ecco l’unica prospettiva per quell’uomo. Pochi minuti prima bestemmiava, come il suo compagno; ora, invece, si pone degli interrogativi.

In mezzo all’angoscia, il malfattore intravede un chiarore che emana dall’uomo che, accanto a lui e come lui, è inchiodato alla croce, ma che parla con amore ai Suoi e implora il perdono per i Suoi carnefici. Questa luce lo attira, lo illumina sul suo stato di peccatore, lo porta a credere che quel Gesù un giorno regnerà. Allora gli dice: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.

La risposta del Signore va oltre le sue attese: “Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso”! Che parole! Quanto devono aver confortato quell’uomo in agonia e calmato la sua sofferenza morale! Quell’uomo, che la società escludeva e giustamente condannava, stava per essere accolto dal Signore Gesù, grazie alla sua confessione e alla sua fede.

Un malfattore pentito accede al paradiso. Egli vi entrerà come testimone della potenza della morte di Gesù per salvare dei peccatori come lui. Il Cristo al suo fianco stava per morire per lui! Qualche giorno prima, Egli aveva annunciato che sarebbe stato come quel granello di frumento che cade in terra e muore, “ma se muore, produce molto frutto” (Giovanni 12:24). Il malfattore crocifisso era uno di quei frutti.

mercoledì 23 marzo 2022

Pressioni

Sfogliando un quotidiano sono rimasto colpito da un piccolo trafiletto ai margini della seconda pagina. Riportava la notizia di un ragazzo di diciassette anni che si era suicidato. Erano stati intervistati i compagni di classe è tutti erano rimasti sorpresi da un tale gesto. Andava bene a scuola, aveva appena acquistato una nuova moto da cross, trascorreva delle belle vacanze in posti invidiabili e sembrava avere un avvenire per la vita, eppure si era ucciso.

Sono molte le persone che, come questo ragazzo, sembrano avere pochi problemi, sono convinte che non ci sia nient'altro nella vita se non quello che appare in superficie. Sopraffatti da questo senso di vuoto, alcuni si uccidono, altri si danno alla droga sperando di liberarsi dal vuoto che sentono.

Non importa quanto grandi siano le risorse umane: gli amici, la famiglia, la ricchezza, il successo; esse non possono essere una fortezza inespugnabile contro le pressioni della vita. A volte è sufficiente la noia del tran-tran quotidiano. Ci ribelliamo contro la solita sequenza di doveri così banali. All'improvviso non possiamo più sopportare il nostro lavoro, gli amici o uno dei nostri soliti impegni.

Noi credenti abbiamo un Dio che ama consolare i cuori. Egli è la risposta a tutte le pressioni che ci vengono dall'esterno. Ecco ciò che dice Paolo del Dio della consolazione: “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione” 2 Cor. 1:3-4.

L'apostolo prorompe in una lode di ringraziamento per le consolazioni che l'hanno raggiunto per essendo nelle difficoltà e nell'afflizione. Paolo era ben cosciente della presenza consolante di Dio. Per capire quanto fossero importanti per lui le “consolazioni”, basti osservare che questa espressione viene usata ben dieci volte in questo capitolo; se questo era vero per lui, lo è ugualmente per noi.

D'altra parte noi dobbiamo anche considerare che Dio è “il Padre misericordioso”. Infatti, se non fosse per la grazia e la misericordia di Dio, noi affogheremo nelle nostre miserie e non troveremmo mai una via d'uscita ai nostri problemi.

La consolazione viene solo da Dio. Dio di ogni consolazione non è un semplice titolo onorifico, ma la descrizione di uno dei caratteri di Dio. E' interessante notare che il titolo di “Consolatore” attribuito a Dio è lo stesso usato per lo Spirito Santo, ossia “paracleto”, il “Consolatore” (Giov. 14:6).

La consolazione ha uno scopo (v.4). Infatti essa non è fine a se stessa. Non si tratta di godere egoisticamente delle benedizioni e dell'aiuto che riceviamo ma ci viene affidato, con queste, anche un compito particolare, cioè condividere le ricchezze della speranza cristiana con altri.

23 marzo - “Perché dormite?”

Dopo aver pregato, si alzò, andò dai discepoli e li trovò addormentati per la tristezza, e disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, affinché non entriate in tentazione”.

Luca 22:45-46

 

“Perché dormite?”

 

C’è un giardino ad est di Gerusalemme nel quale Gesù si ritirava volentieri. Si chiamava Getsemani. Quel luogo è impresso per sempre nella memoria dei credenti. In quel luogo, con intense preghiere e grandemente angosciato, al di là di ciò che possiamo comprendere, il Signore ha accettato di andare alla croce, di dare “se stesso alla morte” (Isaia 53:12). Lì è stato tradito da Giuda e poi arrestato.

Gesù aveva preso con Sé alcuni discepoli per andare a pregare. Poi si era allontanato e, solo con Dio, aveva rivolto a Lui questa supplica: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta” (Luca 22:42). Nessun discepolo poteva comprendere l’intensità di quel combattimento spirituale, eppure Egli aveva appena detto loro: “L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me” (Matteo 26:38).

Credenti, riflettiamo e adoriamo davanti a una tale angoscia e a tali sofferenze… Il combattimento del Signore Gesù ci fa comprendere l’orrore che Dio ha per il peccato, del quale Lui stesso stava per farsi carico, e la grandezza del Suo amore.

Adempiendo le profezie, il Salvatore è lasciato solo, non trova consolatori (Salmo 69:20). I discepoli sono sfiniti per la tristezza, e dormono. Gesù non li rimprovera, dice loro semplicemente, per aiutarli a riprendersi: “Perché dormite?” Poi stimola in loro il coraggio, come fa spesso anche con noi: “Alzatevi e pregate, affinché non entriate in tentazione”.

Il “sonno spirituale” è tutto il tempo che passiamo lontano dal Signore, ed è l’occasione di cui Satana può approfittare per far nascere la tentazione nel nostro cuore.

martedì 22 marzo 2022

Devozione continua

“Il fuoco dev’esser del continuo mantenuto acceso sull’altare, e non si lascerà spengere” Levitico 6:13.


L’altare della preghiera privata deve bruciare continuamente: questo è il centro della vita del credente. Il santuario e gli altari familiari attingono qui i loro fuochi, quindi facciamo in modo che sia bene acceso. La devozione privata è la vera essenza, la prova e il termometro di una fede viva e sperimentata.

Brucia il grasso dei tuoi sacrifici. Lascia che i tuoi momenti di preghiera siano, per quanto possibile, regolari, frequenti e indisturbati. La preghiera fervente ha molto valore. Non hai nessun soggetto di preghiera? Ti suggeriamo la Chiesa, il ministerio, la tua anima, i tuoi figli, le tue relazioni, i tuoi vicini, il tuo paese e la causa dell’Evangelo e della verità in tutto il mondo. Esaminiamo noi stessi su questa importante questione. Ci impegniamo con scarso interesse nelle nostre preghiere private? Il fuoco della devozione non brucia profondamente nel nostro cuore? Le ruote del carro faticano a muoversi? Se è così, allarmiamoci di fronte a questi segni di regresso. Andiamo a Dio con lacrime e chiediamo di ricevere lo Spirito di grazia e di supplicazione. Stabiliamo momenti particolari di preghiera straordinaria, poiché se le ceneri del conformismo mondano dovessero oscurare il fuoco dell’altare familiare, esse indebolirebbero la nostra influenza nel mondo e nella Chiesa.

Il testo si può applicare anche all’altare del cuore. Questo è davvero un altare d’oro. Il Signore ama vedere il cuore dei Suoi figlioli splendere per Lui. Diamo a Dio il nostro cuore, tutto infiammato d’amore, e cerchiamo la Sua grazia, affinché il fuoco non possa mai spegnersi, poiché esso brucerà soltanto se il Signore lo mantiene acceso. Molti nemici tenteranno di spegnerlo, ma se la mano invisibile dietro il muro verserà sopra di esso l’olio sacro, esso darà fiamme sempre più alte. Usiamo i testi della Scrittura come combustibile per il fuoco del nostro cuore: essi sono carboni accesi; ascoltiamo i sermoni ma, soprattutto, passiamo molto tempo soli con Gesù.

22 marzo - La potenza dell’amore di Dio

Le grandi acque non potrebbero spegnere l’amore, i fiumi non potrebbero sommergerlo.

Cantico dei Cantici  8:7

 

Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici.

Giovanni 15:13

 

Mentre eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio Suo.

Romani 5:10

 

La potenza dell’amore di Dio

 

Dio ha manifestato in Gesù la Sua potenza d’amore che rimane intatta anche quando è respinta dagli uomini. Nessuno può alterare l’amore di Dio, in grado di cambiare gli orgogliosi in umili, i ladri in donatori generosi, i più dissoluti in persone integre e pure.

Dio è Padrone e Signore, e noi possiamo riconoscere la Sua signoria alla luce della Sua attività d’amore fra gli uomini. Egli è il Salvatore vivente. Il Figlio di Dio è venuto a servire il Padre in favore dell’uomo. È venuto a vivere accanto a noi, a morire per noi, a dare la Sua vita.

Gesù Cristo è il Dio onnipotente, e la Sua onnipotenza è intimamente legata a un amore che si è dato fino alla morte, pieno di compassione per le nostre sofferenze e la nostra triste sorte a motivo del peccato. Questo amore lo ha spinto a prendere su di Sé il castigo dei nostri peccati.

Dio sarà il Giudice supremo di tutti gli uomini, ma tutti coloro che credono in Lui, che l’hanno accolto con fede nei loro cuori, riconoscono la Sua giustizia alla luce della Sua misericordia. Alla croce di Cristo, la giustizia di Dio è pronta a renderci giusti invece di condannarci. Ognuno di noi può avvicinarsi a Lui confidando nel Suo infinito amore. Quindi, Dio è il giudice di tutti, ma è il salvatore dei credenti


lunedì 21 marzo 2022

21 marzo - Da incredulo a credente

(Gesù) disse a Tommaso: “Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente”. Tommaso gli rispose: “Signor mio e Dio mio!”

Giovanni 20: 29

 

Da incredulo a credente

 

Non sappiamo per quali ragioni Tommaso non fosse coi discepoli il giorno della risurrezione di Gesù. Certamente si è privato di grandi benedizioni, come quelle di vedere il Signore risuscitato, ricevere la Sua pace, essere riempito della Sua energia, essere da Lui mandato ad annunciare il Vangelo. Ma il Signore non dimentica nessuno dei Suoi, e non vuole privare Tommaso di quei preziosi privilegi.

Quando i discepoli dicono a Tommaso, con grande entusiasmo, che hanno visto il Signore, incontrano un atteggiamento di indifferenza. Forse si saranno sentiti offesi perché Tommaso non ha creduto alle loro parole, ma il Signore non ha rancori e torna una seconda volta proprio per lui, per quel discepolo incredulo. Passati otto giorni, Gesù si presenta portando ancora la pace, soprattutto per il cuore di Tommaso.

“Signore mio e Dio mio!” (v. 28-29). È con queste parole che Tommaso risponde dopo essere stato invitato dal Signore a mettere il dito sulle Sue mani forate e nel Suo costato ferito. Non ha bisogno di toccare per credere; le parole del Maestro lo hanno convinto e vinto. In questa esclamazione c’è tutta l’amarezza per l’incredulità dimostrata e il pentimento di un cuore sincero e che ama.

L’esperienza di Tommaso nel Vangelo è un conforto per tutti i credenti in preda al dubbio. Cristo non li abbandonerà perché li ama. Preziosa certezza!


domenica 20 marzo 2022

A te

A te che tante volte hai guardato senza vedermi e mi hai sentito senza ascoltarmi.

A te che tante volte hai promesso di seguirmi ma ti sei allontanato dalle orme che avevo lasciato perché tu non ti perdessi.

A te che non sempre credi che sia al tuo fianco, che mi cerchi dove non puoi trovarmi e poi perdi la speranza di incontrarmi.

A te che pensi che io sia solo un personaggio passato e non capisci che io sono il Vivente.

Io sono la Via perché tu non ti perda.

Io sono la Verità perché tu non sbagli.

Io sono la Vita perché tu non muoia.

Se sapessi da quanto tempo busso alla porta del tuo cuore ma non ricevo risposta!

20 marzo - “Andate a vedere”

Il Signore… mi ha detto: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”. Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me.

2 Corinzi 12:8, 9

 

“Andate a vedere”

(leggere Marco 6:34-44)

 

“Quanti pani avete? Andate a vedere”, dice Gesù ai discepoli. Essi hanno davanti una folla di cinquemila uomini, e Gesù ha ordinato a loro di nutrirli! I discepoli fanno i conti e rispondono: “Cinque pani e due pesci…” Cosa fare con quel poco? Allora Gesù li invita a portare a Lui i pani e i pesci, e li fa tutti sedere. Per la Sua potenza, cinquemila uomini sono saziati, e ci sono avanzi in abbondanza!

Perché Gesù ha voluto che i discepoli contassero quanti pani avevano? Pensava forse che ne avrebbero avuto abbastanza per cinquemila uomini? Certamente no! D’altronde, Egli conosceva già la risposta! Se i discepoli ne avessero avuti di meno o molti di più, per Lui non c’era differenza. Egli poteva nutrire quella folla anche partendo dal nulla. Ma con quella domanda il Signore voleva far sentire ai discepoli che, senza di Lui, non avrebbero potuto far nulla.

Questa scena è molto istruttiva per i credenti. Anche se non ha bisogno di nulla, Gesù si compiace di farci partecipare al Suo lavoro. Se gli portiamo il poco che abbiamo, può farne uscire un’abbondante benedizione per altri. E ci sono persino degli “avanzi”!

Non dobbiamo essere né presuntuosi né pigri. Presuntuosi, pensando di poter fare molto da soli; pigri, pensando che non valga la pena mettere al servizio del Maestro il poco che abbiamo.

Contiamo sempre sulla Sua grazia che vuole benedire!

sabato 19 marzo 2022

Non aveva tempo

“Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori” Ebrei 3:7-8.


Aveva indubbiamente delle grandi qualità il governatore romano Felice di cui ci parlano i capitoli 23 e 24 del libro degli Atti. Grazie a lui il paese godeva di tranquillità, e l’avvocato Tertullo, nella sua arringa contro Paolo, lo ringrazia per le misure che aveva adottato in favore del popolo. Anche nei confronti dell’apostolo, che era in prigione per la sua fede, si mostra tollerante e magnanimo. 

Lo ascolta volentieri, ordina che al prigioniero venga lasciata un po’ di libertà e che non sia impedito ai suoi fratelli di incontrarlo. Paolo approfitta dell’occasione per annunciare a Felice una verità fondamentale del cristianesimo: la risurrezione. Ma Felice rimanda a più tardi il colloquio dicendo: “Per ora va; e quando ne avrò l’opportunità, ti manderò a chiamare” Atti 24:25.

Felice non è un oppositore e nemmeno uno schernitore, anzi nutre in sé un certo interesse verso quel prigioniero, ma non ha voglia di dedicare del tempo per ascoltare il suo messaggio. Non lo vuole rifiutare definitivamente, ma gli dice: «Per ora va’».

“Egli sperava, allo stesso tempo, che Paolo gli avrebbe dato del denaro: per questo lo mandava spesso a chiamare e conversava con lui” Atti 24:26.

Felice tenne per due anni Paolo in prigione e per due anni conversò con lui. Sperava di ricevere del denaro ma Paolo era in possesso di qualcosa di più prezioso del denaro, qualcosa che il denaro non può comprare. 

Che occasione incredibile ha avuto questo governatore.

Purtroppo la Scrittura non ci da nessun indizio riguardo alla sua conversione anzi il fatto che abbia terminato il suo incarico lasciando Paolo in prigione ci fa pensare si sia limitato a soffocare la voce della coscienza mancando così l’appuntamento con la grazia di Dio.

“Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza” 2 Corinzi 6:2.

Anche voi oggi che udite la voce del Signore, lasciatelo entrare, non indurite i vostri cuori!

19 marzo - Come piume al vento

Non sparlate gli uni degli altri, fratelli.

Giacomo 4:11

 

Come piume al vento

 

Un credente aveva fatto per molto tempo della maldicenza sul conto di un suo amico. Un giorno, pentito, si recò da lui e gli disse: “Ti chiedo scusa. Sono dispiaciuto di ciò che ho fatto. Riconosco di aver commesso un errore. Spero che vorrai perdonarmi e mi piacerebbe che fosse tutto finito...”. L’amico lo guardò fisso per qualche istante. “Io ti perdono e desidero anch’io che sia tutto finito; specialmente il Signore lo desidera. Ma devi prima fare una cosa: prendi questo cuscino di piume e sali sulla torre della piazza. Quando sarai lassù, apri il cuscino e spargi le piume al vento. Poi scendi, valle a raccogliere una ad una e rimettile nel cuscino. A lavoro ultimato, me lo riporterai…”. Per la prima volta quell’uomo si rese conto che i danni della maldicenza sono quasi sempre irrimediabili.

Quante volte dimentichiamo gli insegnamenti della Parola di Dio! Forse perché la leggiamo poco, o perché, non lasciando agire in noi lo Spirito Santo, non siamo veramente liberi dal dominio della nostra carne e dei suoi impulsi naturali. Eppure, il Signore ci ha affrancati dal peccato, ci ha liberati da ogni schiavitù perché lo potessimo servire con integrità di cuore.

Le critiche e le maldicenze passano di bocca in bocca e trovano quasi ovunque delle orecchie fin troppo attente. Così si sparpagliano rapidamente, varcano la soglia di tante case, i confini di tanti paesi e non si fermano mai. Anche se c’è stato un ripensamento, se tutto è veramente finito fra il diffamatore e la sua vittima, o se chi ha commesso il fatto se n’è umiliato e ha ottenuto il perdono del Signore, le voci purtroppo continuano a vagare.

(Da “La nostra lingua… un fuoco!” Edizioni Il Messaggero Cristiano)