Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a
se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua.
Chi non porta la sua croce e non viene
dietro a me, non può essere mio discepolo.
Luca 9:23; 14:27
Portare la propria croce
A volte sentiamo delle persone in
difficoltà parlare del loro calvario
o della croce che sono costretti a
portare. Molti pensano che quelli che accettano con rassegnazione la sofferenza
meritano un posto in paradiso; una sorta di compensazione.
Che errore fatale! Non sono le nostre
sofferenze che ci danno diritto alla vita eterna, ma sono quelle del Signore
Gesù. Lui solo è salito al Calvario cosciente di ciò che lo attendeva, quale
vittima espiatoria per i nostri peccati.
Che significato ha allora l’espressione
“prendere, o portare, la propria croce”? Il Signore indirizzò questo invito
solamente a chi desiderava seguirlo: il giovane ricco e i suoi discepoli.
Significava accettare di perdere ogni
cosa, perfino la propria vita, per seguire e servire Gesù.
Notiamo anche che la croce non è soltanto
un simbolo di sofferenza, ma soprattutto di morte. I condannati che, secondo la
terribile usanza, portavano la propria croce fino al luogo della loro
esecuzione, proclamavano pubblicamente che, per il mondo, non esistevano già
più. Moralmente, è la situazione di chi ha creduto nel Signore Gesù che,
identificandosi con Cristo nella sua morte e nella sua nuova vita, è morto al peccato (Romani 6:11) e al mondo (Galati 6:14); e il mondo,
il male e i desideri carnali, non hanno più alcun diritto su di lui.
Quella croce liberatrice, non è un
doloroso fardello, ma è uno strumento di vittoria e l’arma distintiva del soldato
di Gesù Cristo.