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venerdì 16 giugno 2017

16 giugno

Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati).
Efesini 2:4-5

A lui bastava una parola

Quel centurione romano di cui abbiamo già parlato il 28 maggio era un uomo rispettabile. Era anche buono nei confronti del suo servo. Vedendolo paralizzato, tormentato dal suo male e vicino alla morte, mandò a Gesù degli anziani dei Giudei perché lo supplicassero di venire a guarirlo. Gli stessi Giudei riconoscevano la dignità di quest’uomo: aveva addirittura costruito la loro sinagoga. “Egli merita che tu gli conceda questo”, dicono a Gesù (Luca 7:4).
“Egli merita”! Ma cosa possiamo meritare? Quali meriti possiamo far valere davanti a Dio per ottenere il suo favore? Nessuno! Il centurione lo aveva capito, e si sentiva talmente indegno che non osava andare di persona da Gesù. Ma è Gesù che va verso di lui. Come si avvicinava alla casa, il centurione mandò degli amici ad avvertirlo: “Signore, non darti quest’incomodo, perché io non son degno che tu entri sotto il mio tetto… ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito”. “Neppure in Israele”, disse Gesù, “ho trovato una così grande fede”.

“I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza”, ma “è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti (cioè coloro che credono)” (1 Corinzi 1:22,21). A quell’uomo bastava una parola di Gesù. Ancora oggi Dio rivolge a tutti – notabili, religiosi, popolani, emarginati – a tutti coloro che riconoscono la propria indegnità e colpevolezza, una parola di salvezza: chiunque crede in Gesù e nel suo sacrificio ha la vita eterna.