Dio,
che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche
quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che
siete stati salvati).
Efesini 2:4-5
A lui bastava una parola
Quel
centurione romano di cui abbiamo già parlato il 28 maggio era un uomo
rispettabile. Era anche buono nei confronti del suo servo. Vedendolo
paralizzato, tormentato dal suo male e vicino alla morte, mandò a Gesù degli
anziani dei Giudei perché lo supplicassero di venire a guarirlo. Gli stessi
Giudei riconoscevano la dignità di quest’uomo: aveva addirittura costruito la
loro sinagoga. “Egli merita che tu
gli conceda questo”, dicono a Gesù (Luca 7:4).
“Egli
merita”! Ma cosa possiamo meritare? Quali meriti possiamo far valere davanti a
Dio per ottenere il suo favore? Nessuno! Il centurione lo aveva capito, e si
sentiva talmente indegno che non osava andare di persona da Gesù. Ma è Gesù che
va verso di lui. Come si avvicinava alla casa, il centurione mandò degli amici
ad avvertirlo: “Signore, non darti quest’incomodo, perché io non son degno che
tu entri sotto il mio tetto… ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito”.
“Neppure in Israele”, disse Gesù, “ho trovato una così grande fede”.
“I
Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza”, ma “è piaciuto a
Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti (cioè coloro che credono)” (1 Corinzi 1:22,21). A quell’uomo bastava
una parola di Gesù. Ancora oggi Dio rivolge a tutti – notabili, religiosi,
popolani, emarginati – a tutti coloro che riconoscono
la propria indegnità e colpevolezza, una parola di salvezza: chiunque crede in Gesù e nel suo sacrificio
ha la vita eterna.