Quello che iniziò con un semplice “buon proposito” di alcuni uomini finì per essere il lavoro della maggior parte del popolo perché “il popolo aveva preso a cuore il lavoro” (Neemia 4:6). Cinquantadue giorni bastarono a ricostruire le mura di Gerusalemme (6:15) ed a togliere la vergogna. Cinquantadue giorni passati a far “rivivere delle pietre sepolte sotto mucchi di polvere e consumate dal fuoco” (4:2) suscitando l’indignazione dei nemici che cercarono, fin da subito e con ogni mezzo, di ostacolare il lavoro di Neemia. Guardiamoci intorno e se non vediamo mura distrutte intorno a noi vuol dire che abbiamo veramente poco a cuore gli interessi delle nostre assemblee. Il nemico ha lavorato per far danni e ci è riuscito benissimo procurando gravi danni e, fin troppo spesso, non abbiamo realizzato che “per la pigrizia sprofonda il soffitto; per la rilassatezza delle mani piove in casa!” (Ecclesiaste 10:18). Questa pigrizia e questa rilassatezza ci dovrebbero far vergognare esattamente quanto lo stato stesso delle cose. Possibile che non vi sia un Neemia in mezzo a noi? Veramente non c’è nessuno che con qualche buon proposito sappia incitare altri a mettere mano a tutti quei servizi che ci toglierebbero dalla vergogna?
Nei Salmi e nei profeti la vergogna è, generalmente, messa in evidenza come il sentimento che caratterizza sia lo stato del popolo davanti a Dio dopo aver preso coscienza del proprio peccato sia quello che sarà lo stato dei nemici quando Israele sarà ritornato a Dio. Nel Salmo 44 i figli di Core esprimono la consapevolezza che Dio salverà Israele dai suoi nemici: “sei Tu che ci salvi dai nostri nemici e copri di vergogna quelli che ci odiano” (8) ma subito dopo esprimono la consapevolezza che, allo stato attuale, sono loro che sono “respinti e coperti di vergogna” (9) ed esprimendo il sentimento del popolo affermano: “il mio disonore mi sta sempre davanti, la vergogna mi copre la faccia” (15). Quanto ci dice questo Salmo deve farci riflettere. In realtà dovrebbero essere i nostri nemici, gli uomini di questo mondo, che dovrebbero provare vergogna del loro comportamento ma questo non è possibile se i credenti, a causa della loro condotta, sono i primi ad essere “coperti di vergogna”. Quand’è che il fedele non ha niente di cui vergognarsi? “Non dovrò vergognarmi quando considererò tutti i tuoi comandamenti”, quando “parlerò delle tue testimonianze davanti ai re e non avrò da vergognarmi” (Salmo 119:6, 46). Israele conoscerà questo stato di vergogna a causa del suo peccato: “Noi abbiamo la nostra vergogna come giaciglio … poiché abbiamo peccato contro il SIGNORE, … non abbiamo dato ascolto alla voce del SIGNORE, il nostro Dio” (Geremia 3:25). Ma arriverà il momento, in cui ritornati al loro Dio mangeranno a sazietà, loderanno il nome dell’Eterno, conosceranno che Dio è in mezzo a loro e potranno dire: “il mio popolo non sarà mai più coperto di vergogna” (Gioele 2:26/27). Se da un lato abbiamo di che vergognarci davanti al mondo per il nostro stato di allontanamento da Dio, dall’altro questi passi ci mostrano che se riconosciamo la nostra condizione, Dio interverrà e saremo messi in grado di trovare nutrimento ed argomenti di lode, e la comunione con Dio sarà ristabilita.
Nel libro dei Proverbi la vergogna è spesso messa in relazione con il rapporto familiare. Di chi commette adulterio è detto che “la sua vergogna non sarà mai cancellata” (Proverbi 6:32/33). Una moglie virtuosa, che dovrebbe essere “la corona del marito” può essere, al contrario, una che fa vergogna ed essergli così “un tarlo nelle ossa” (12:24). “Il figlio che fa vergogna” porta disonore all’intera famiglia perché “rovina suo padre e scaccia sia madre” (19:26). Nel rapporto con i figli l’accento è messo sulla correzione che deve essere esercitata su di loro. I figli non devono essere lasciati a sé stessi perché attraverso la “la verga e la riprensione” troveranno la saggezza e non faranno “vergogna a sua madre” (29:15). I figli possono rifiutare questa correzione e troveranno nel loro cammino “miseria e vergogna”, ma quello che “dà retta alla riprensione è onorato” (13:18).
(segue)