Ora che la questione eterna è risolta rimane però la vita cristiana nella quale, la condizione ottimale, è quella di essere obbedienti a ciò che Dio dice nella Sua Parola se non vogliamo imbatterci in quella che è la disciplina del Padre verso i figli che disobbediscono. È la condizione stessa di figli che ci impone l’obbedienza perché, se fossimo esclusi da quella condizione allora saremmo “bastardi e non figli” (Ebrei 12:8). Anche nel servizio cristiano dobbiamo presentare noi stessi davanti “a Dio come un uomo approvato, un operaio che non abbia di che vergognarsi” (2 Timoteo 2:15). Il nostro servizio deve essere compiuto facendo in ogni cosa la volontà del Signore affinché, come dice Giovanni: “quand'Egli apparirà, possiamo aver fiducia e alla Sua venuta non siamo costretti a ritirarci da lui, coperti di vergogna” (1 Giovanni 2:28).
L’epistola agli Ebrei ci dice due cose meravigliose. La prima è che il Signore non si vergogna di chiamarci fratelli (2:11) l’altra è che Dio non si vergogna di essere chiamato il nostro Dio (11:16). Questo dovrebbe spingerci, come cristiani, a non vergognarci di esserlo anche se questo potrà portare a delle sofferenze a causa della testimonianza che rendiamo in questo mondo (1 Pietro 4:6).
Uno degli scopi di Satana è quello di coprire di vergogna coloro che sono dalla parte di Dio, il suo popolo. Nell’Antico Testamento potremmo citare l’esempio di Goliath (1 Samuele 17) dove a più riprese ci viene detto che l’atteggiamento di sfida era quello di “coprire di vergogna” Israele (25/26, 36). La paura di affrontare il gigante e la poca fede nell’Eterno di Saul e del suo esercito, erano tutti atteggiamenti che avrebbero dovuto fare vergogna a Israele. Davide però ha le idee chiare. Non è più tollerabile che il nemico si comporti così. Con la certezza della vittoria che solo Dio gli può dare affronta il nemico riportando la sua vittoria personale ma che coinvolge tutto il popolo. Il nemico non è cambiato, ci sfida ogni giorno e, molto spesso, preferiamo rimanere inerti che affrontare con fede i nostri giganti. Questo è un comportamento che dovrebbe farci vergognare. Possibile che in mezzo ai Suoi non ci sia un Davide? Possibile che non si riesca a fare come lui? Fuggire in battaglia è, per un soldato, un atteggiamento vergognoso (cfr. 2 Samuele 19:3) che non dovrebbe mai caratterizzarci.
Anche la rovina della città di Dio, Gerusalemme, era per Neemia una vergogna e questo generò in lui un desiderio di cambiare la situazione e restituire a quella città se non lo splendore dei giorni del re Salomone almeno quello che era giusto per riscattarla da quella misera condizione. “Allora dissi loro: "Voi vedete in che misera condizione ci troviamo; Gerusalemme è distrutta e le sue porte sono consumate dal fuoco! Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme, e non saremo più nella vergogna!”. La risposta fu immediata: “Quelli risposero: “Sbrighiamoci e mettiamoci a costruire!” E si fecero coraggio con questo buon proposito” (Neemia 2:17/18). Quello che Neemia forse non sapeva era che c’erano in mezzo al popolo tanti altri come lui che non sopportavano più di vedere Gerusalemme distrutta e che, come lui, vedevano la “misera condizione” in cui essa era. Forse nessuno di loro trovava l’ardire di muovere il primo passo ma bastarono poche parole per prendere coraggio.