L'autore della lettera agli Ebrei, nel presentare Cristo e i risultati della sua opera ne spiega alcuni caratteri uno dei quali è questi: “liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita” Ebrei 2:15.
Il Signore Gesù dovette divenire simile a noi per fare quello che noi non eravamo capaci di fare. Questo concetto può essere illustrato immaginando qualcuno che, non solo si è perso, ma è caduto anche in una buca e non ha le forze per uscirne fuori. Avrebbe bisogno di qualcuno che non si limiti ad offrirgli delle istruzioni da lontano, ma che sia pronto ad entrare con lui nella buca e lo aiuti concretamente.
Il Signore Gesù, grazie al suo intervento offre una vera liberazione a tutti quelli che non vedevano alcuna via d'uscita dalla loro situazione e che avrebbero trascorso la loro vita schiavi di questo timore e di questa paura.
Aristotele definì la morte la cosa da temere di più perché “sembra la fine di tutto ma contiene picchi inesplorati”. Il filosofo francese Rabelais pronunciò questa sua ultima frase prima di morire : “Sto andando verso il grande forse”. Shakespeare descrisse l'aldilà con le più cupe parole di Amleto: “Il terrore di qualcosa dopo la morte, l'ignota landa dai cui confini nessun viaggiatore fa ritorno”.
Dubbi, timori, terrore e paure. Che possibilità abbiamo di affrontare questo momento con fiducia?
Supponete che la morte sia diversa da come l'hanno pensata questi filosofi. La Scrittura parla della morte come un momento da temere ma solo per coloro che poi andranno incontro al giudizio. Per i credenti? Non è una maledizione ma un passaggio, non una crisi da evitare ma un angolo da svoltare, non un ignota landa ma l'introduzione in un luogo atteso e sicuro.
“Svegliatevi ed esultate, o voi che abitate nella polvere!” Isaia 26:19.
Questa è la promessa del Signore: “Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi” Giovanni 14:1-3.
Andavo regolarmente a trovare mia zia, una sorella in fede, durante la sua lunga malattia che l'aveva provata molto e ridotta in uno stato di semi infermità . Era stata sottoposta ad una lunga lista d'invertenti chirurgici che avevano limitato tutte le normali funzioni del suo organismo, tanto da chiedersi, vista la sua cartella clinica, quali speranze potesse più avere. Eppure era sorridente e piena di fiducia riguardo al futuro, presto avrebbe, finalmente, lasciato quella “tenda” che si andava sempre più logorando.
No! L'aspettativa della morte non aveva minato per niente la sua fiducia in Cristo anzi rendeva il tempo rimasto, un'attesa impaziente. Stava aspettando il momento di partire per essere con il Signore. Ne parlava sempre con entusiasmo ed era il momento che attendeva di più.
Si sbagliava Aristotele. La morte non va temuta. Rabelais ha sbagliato. Non c'è un forse ma solo certezze per il credente dopo questa vita e ha sbagliato Shakespeare. Coloro che sono in Cristo sono stati liberati dal timore della morte.
“Egli (Cristo) ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità, ma che è stata ora manifestata con l'apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù, il quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il vangelo” 1 Timoteo 1:9-10.
Anche gli increduli, a loro modo, hanno delle certezze: “Chi crede nel Figliuolo ha vita eterna; ma chi rifiuta di credere al Figliuolo non vedrà la vita, ma l'ira di Dio resta sopra lui” Giovanni 3:36. Hanno la certezza di un giudizio e di una condanna eterna.
Dio pone l'uomo dinanzi ad una scelta e gli rivolge un invito: “io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, affinché tu viva” Deut. 30:19.