(L’apostolo Paolo scriveva dal carcere:) Ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So
vivere nella povertà e anche nell’abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato
a essere saziato e ad avere fame; a essere nell’abbondanza e nell’indigenza.
Filippesi 4:11-12
Contenti di come si è e di quello che si ha
Per
essere gioiosi dovremmo saper essere contenti di come siamo, di quello che
facciamo e delle cose che abbiamo. Ma voi direte: Come può una persona con un
grave handicap essere contenta di com’è? O essere contento chi è costretto a
svolgere una professione che è il contrario delle sue aspirazioni e delle sue
capacità? O essere soddisfatto chi ha poco o niente? L’obiezione è
comprensibile.
Ma
proviamo a guardare le cose dal punto di vista più elevato. Il credente può
sempre essere contento di quello che è
perché ha l’onore di essere un figlio di Dio, salvato per l’eternità, amato dal
Padre e con una prospettiva gloriosa. Contento di quello che fa perché può parlare del suo Salvatore e portare
qualcuno alla salvezza. Contento di ciò
che ha perché riceve ogni cosa dalla mano del Padre, riconoscente anche di
quel poco che il suo amore gli dispensa.
Quando
scriveva ai Filippesi “rallegratevi nel Signore” (3:1), Paolo era “in catene
per Cristo”. I pensieri che abbiamo letto nel versetto di oggi concludevano
questa sua Lettera. La sua esperienza può essere anche la nostra: nei momenti
difficili che non dipendono da noi, attaccarsi al Signore è l’unica risorsa. La
fede accetta con umiltà e si sottomette, la fede sa che Dio è al corrente di
tutto ciò che ci avviene, e che è un Padre non solo pieno d’amore, ma di
potenza e di saggezza.
(tratto da “1200
giorni con Gesù”)