Alla croce del Signore Gesù
l'essere umano delle più varie condizioni sociali (Giudeo o straniero, barbaro
o civilizzato, povero o benestante, laico o religioso) si manifesta nel suo
stato naturale, compiendo un atto abominevole.
Pilato, il magistrato romano, che occupava il
seggio dell’autorità civile ed era responsabile di esercitare la giustizia,
condanna Colui che egli stesso ha riconosciuto essere “giusto”. Gli uomini di
legge e i sacerdoti del popolo giudeo (il clero dell’epoca) cercano delle
testimonianze menzognere contro Gesù, e la folla che li circonda, d’accordo con
loro, grida contro di Lui che ha fatto solo del bene. "Quelli che
passavano di là" lo ingiuriano. I discepoli, che gli erano stati tanto
vicino, nell'ora del pericolo abbandonano il loro Maestro.
In mezzo a questa indegnità umana, udiamo il
Signore pregare: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Nel
suo “amore eterno” (Geremia 31:3), invoca per i suoi nemici la circostanza
attenuante dell’ignoranza. Eppure, non hanno forse agito tutti con conoscenza
di causa? Che nobiltà e che dignità da parte del nostro Salvatore!
Per tre ore, abbandonato da Dio, appeso alla
croce, sopportando sofferenze indescrivibili, Gesù, santo e puro, accetta di
essere identificato col peccato, per amore per noi, e di subire da parte di
Dio il castigo che noi meritavamo.
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