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venerdì 4 novembre 2022

Io non sono capace (1/4)

Introduzione


Vi è mai capitato di trovarvi in una situazione in cui la vostra prima reazione sia stata: “No, non fa per me... Io non sono capace”?

Credo che, prima o poi, possa capitare a tutti di trovarsi in una situazione simile. A volte potrebbero esserci ragioni oggettive per avere un atteggiamento rinunciatario. Ad esempio, se qualcuno mi dicesse che domani mattina io sarò in grado di correre i cento metri in dieci secondi netti, nonostante la mia mancanza di allenamento, la mia età e il mio fisico non proprio adatto, credo che sarebbe difficile darmi torto se affermassi: “No, lasciamo perdere! Io non sono capace!”.

A volte, però, ho incontrato persone che si bloccano anche di fronte a cose che, oggettivamente, sarebbero alla loro portata.

C’è chi rinuncia perché è convinto di non essere adatto o perché crede che altri potrebbero riuscire meglio. Altri rinunciano perché preferiscono il loro stato attuale ad una sfida nuova che appare incerta.

Questo atteggiamento può accompagnare anche il credente quando si trova davanti alla possibilità di servire Dio in un ambito specifico. Non sempre infatti Dio ci chiama a servirlo nel modo che noi pensiamo essere il più adatto alle nostre caratteristiche e a volte potremmo essere titubanti di fronte a ciò che ci mette davanti.

Anche leggendo la Bibbia, scopriamo che ci sono diversi esempi di persone che Dio ha chiamato a fare qualcosa che essi non reputavano alla loro portata.

Dalla loro storia abbiamo molto da imparare.



Sono troppo giovane

“La parola del SIGNORE mi fu rivolta in questi termini: «Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni». Io risposi: «Ahimè, Signore, DIO, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo». Ma il SIGNORE mi disse: «Non dire: ‘Sono un ragazzo’, perché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò. Non li temere, perché io sono con te per liberarti», dice il SIGNORE. Poi il SIGNORE stese la mano e mi toccò la bocca; e il SIGNORE mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. Vedi, io ti stabilisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare»” (Gr 1:4-10).

Considerando la lunghezza del suo ministero, Geremia doveva essere davvero poco più che adolescente quando Dio lo chiamò a servirlo. La sua reazione può quindi essere considerata legittima. Quanti di noi non si sarebbero spaventati di fronte ad un compito che appariva così arduo?

Ma il Signore rassicurò Geremia confermandogli che, nel suo meraviglioso piano, egli lo aveva stabilito per quel compito addirittura prima della sua nascita e, nonostante la sua giovane età, egli avrebbe avuto le parole adatte perché Dio stesso avrebbe messo le parole nella sua bocca. Egli non avrebbe dovuto temere i suoi avversari, che per altro sarebbero stati davvero numerosi negli anni successivi, perché Dio sarebbe stato con lui e lo avrebbe liberato.

Il compito che attendeva Geremia era davvero difficile perché nella corrotta società di Gerusalemme egli non avrebbe trovato molti alleati e avrebbe portato un messaggio che non sarebbe stato accettato dai suoi concittadini, un messaggio che prevedeva appunto lo sradicamento e la distruzione prima che si potesse costruire e piantare ancora dopo il ritorno dalla cattività in Babilonia.

Chiunque legga il libro di Geremia si rende conto che la vita del profeta è stata davvero difficile, al punto che egli arrivò addirittura a maledire il giorno della sua nascita (Gr 20:14). Fu tutt’altro che una passeggiata, tuttavia possiamo dire che Dio mantenne le sue promesse e diede a Geremia il coraggio, la giusta determinazione e le parole necessarie per svolgere il suo ministero; inoltre lo protesse costantemente da coloro che volevano togliergli la vita. Non fu risparmiata la sofferenza a Geremia ma in quella sofferenza il Signore fu sempre con lui.

Aveva ragione Geremia quando si considerava troppo giovane per quel compito? Non credo che lo si possa biasimare. Probabilmente al suo posto molti di noi avrebbero avuto la medesima incertezza. Tuttavia, alla luce di come andarono le cose, possiamo dire che Geremia fu lo strumento giusto nelle mani del Signore e la sua giovane età non fu certamente un impedimento. Egli resistette più di quarant’anni e, leggendo l’omonimo libro, ci accorgiamo che affrontò diversi momenti di scoraggiamento profondo, ma con l’aiuto di Dio riuscì a portare avanti il compito che gli era stato affidato, nonostante la forte opposizione.

Vi invito anche a considerare un particolare che apprendiamo fin dalle prime righe del libro di Geremia. Egli infatti cominciò il suo ministero sotto il regno di Giosia (Gr 1:2), l’unico re di quel periodo che davvero temeva il Signore. Geremia fu chiamato nel tredicesimo anno del regno di Giosia e sappiamo che Giosia regnò trentuno anni (2Re 22:1), quindi Geremia, sebbene fosse molto giovane quando fu chiamato, esercitò il suo ministero per almeno diciotto anni in una condizione favorevole. Ebbe quindi tutto il tempo di crescere e prepararsi ad affrontare le prove più difficili sotto il regno di Eliachim e dei re successivi.

Dio fu quindi molto buono con il giovane Geremia, guidando ogni circostanza nelle varie fasi della sua vita in modo che egli affrontasse le prove più difficili quando sarebbe stato abbastanza forte da poterle affrontare.

(continua domani)