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venerdì 20 settembre 2024

Discepoli

“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà. Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua?” Matteo 16:24-26.


Il Signore, qui,  rivela apertamente che cosa significhi essere suo discepolo: rinunciare a se stessi prendere la croce e seguirlo. Rinunciare a se stessi non significa sacrificio di sé. Ma significa sottomettersi alla sua volontà in modo così  completo che l'io no ha più diritti. Prendere la croce significa essere disposti a sopportare scherni e disprezzo e forse il martirio.

Il Signore segnala inoltre la presenza di due ostacoli sulla strada del discepolato:

1. La tentazione naturale di salvare se stessi dai disagi, afflizioni, emarginazione o perdite. Se rifiuti di sottometterti a Lui e decidi di vivere per te stesso, ti perderai. Ma se sei disposto a “perdere te stesso” ti troverai.

2. La ricchezza. Anche se uno arrivasse a guadagnare tutto il mondo (ricchezze, fama, potere). Questa folle smania di avere sempre di più assorbirebbe tutto il suo tempo e le sue energie, tanto da impedirli di raggiungere il vero scopo della vita.

Negli ultimi anni sono sorte varie scuole di psicologia che pongono l'enfasi sulla “realizzazione” di sé. Noi cristiani bisogna ricordarci che, secondo il Signore Gesù, la sola strada per la scoperta di sé è quella della negazione di sé stessi.

Bisogna inoltre ricordare che non possiamo fare dei discepoli per il Signore se non siamo noi stessi dei discepoli.

giovedì 19 settembre 2024

Fare il punto

"Così parla il Signore degli eserciti: Riflettete bene sulla vostra condotta!" (Aggeo 1:5).

Gli Israeliti ritornati dalla deportazione hanno perso ogni entusiasmo per la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, la casa dell'Eterno, e per contro si danno molto da fare per migliorare le comodità delle loro abitazioni e accrescere il loro benessere.

Per risvegliare la pietà e l'ardore, Dio manda loro il profeta Aggeo che li invita ad una seria riflessione: “Avete seminato molto e avete raccolto poco; voi mangiate ma senza saziarvi; bevete ma senza soddisfare la vostra sete..." (1:6). Essi mettevano al primo posto i loro interessi personali, e non quelli dell'Eterno: "Voi vi aspettavate molto, ed ecco c'è poco... Perché?, dice il Signore degli Eserciti-. A motivo della mia casa che giace in rovina, mentre ognuno di voi si dà premura solo per la propria casa" (1:9).

Questo ammonimento toccherà gli abitanti di Gerusalemme che si metteranno al lavoro.  E l'Eterno fa da parte sua delle incoraggianti promesse e garantisce il suo appoggio: "Io sono con voi... Il mio Spirito è in mezzo a voi, non temete!"(2:4-5). 

Per diverse volte in questo Libro c'è l'espressione. “Riflettete bene". La prima volta quando sono esortati ad esaminare la loro condotta (1:5) e a riconoscere la loro povertà; la seconda volta prima di spronarli a salire sui monti per prendere del legname e ricostruire la casa, opera che avrebbe glorificato Dio e nella quale Egli si sarebbe compiaciuto (1:7-8). Poi, al cap. 2 v. 15 e 18, c'è ancora l'invito a riflettere bene su ciò che era avvenuto fino a quel giorno, giorno in cui erano state messe "le fondamenta della casa del Signore". "Riflettete bene! C'e forse ancora del grano nel granaio? La stessa vigna, il fico, il melograno, l'ulivo, nulla producono". E Dio aggiunge: "Da questo giorno, io vi benedirò”.

Nel senso letterale l'espressione "riflettete bene" significa “mettete i vostri cuori”, e si potrebbe anche tradurre “guardate nei vostri cuori”

Che parole solenni! Non si rivolgono forse anche a noi? Non siamo anche noi invitati a fare di tanto in tanto il punto della situazione, per sapere dove ci troviamo e cosa stiamo facendo? Come un marinaio che deve assicurarsi se è nella buona direzione e se per caso non ha deviato dalla rotta a causa dei venti o delle correnti.

Ci siamo messi in viaggio da quando abbiamo creduto, perché la fede è, sì, un punto d'arrivo, ma è anche un punto di partenza: abbiamo intrapreso un'opera di testimonianza, oppure esercitiamo un servizio nell'assemblea o assolviamo a certi incarichi nell'opera del Signore... Ma il tempo passa e c'è il rischio che i buoni impegni si trasformino in abitudini, in routine, senza entusiasmo e senza vitalità. Quello che avevamo incominciato col Signore e per amore per Lui, lo continuiamo per la nostra propria soddisfazione; quello che facevamo contando sulla forza del Signore lo proseguiamo basandoci sulle nostre forze...

È ormai tempo di “guardare nei nostri cuori", di "esaminare bene le nostre vie e la nostra condotta" per discernere quali sono oggi le nostre vere motivazioni e se non è il caso che ci risvegliamo per ripartire su delle nuove basi. Se ci mettiamo umilmente davanti a Dio riceveremo il discernimento e la forza per compiere i necessari cambiamenti, sia come individui, nella nostra vita personale, sia come assemblea.

mercoledì 18 settembre 2024

Bada a te stesso

Bada a te stesso e all’insegnamento 

(1 Timoteo 4:16)


Queste serie parole rivolte da Paolo a Timoteo, suo figlio nella fede, contengono un prezioso insegnamento per tutti quelli che sono chiamati da Dio a edificare l'assemblea o a predicare il Vangelo.

Questo passo della Parola pone due doveri essenziali davanti ad ogni fratello che voglia essere utile nell'assemblea. Per prima cosa deve badare a se stesso, e in seguito all'insegnamento che ha il privilegio  e la responsabilità di comunicare. 

"Bada a te stesso" è un'espressione d'immensa portata morale per ogni cristiano, e a maggior ragione per un servitore del Signore. Bisogna che ognuno badi allo stato del proprio cuore e della propria coscienza. Bisogna che si conservi puro (1 Tim. 5:22). Tutto dev’essere tenuto rigorosamente sotto il controllo dello Spirito Santo e della Parola di Dio: pensieri, parole, comportamenti, affetti. E' necessario essere cinti della verità e rivestiti della corazza della giustizia. Lo stato morale e il cammino pratico devono corrispondere alla verità che viene annunziata, altrimenti il nemico avrà certamente la meglio.

Colui che insegna dovrebbe essere l'illustrazione vivente di quello che presenta con le sue parole. Se il suo cuore è sincero e la sua coscienza sensibile, se il timore di Dio e l'amore di Cristo occupano in lui il posto che devono avere, il servitore del Signore avrà a cuore di manifestare nel proprio agire l'effetto che il suo insegnamento ha avuto su di sé. Egli sarà "d'esempio ai credenti nel parlare, nel comportamento, nell'amore, nella fede, nella purezza" (1 Tim. 4:12).

Non dobbiamo tuttavia pensare che il servitore del Signore abbia da presentare se stesso come un modello a quelli ai quali annuncia la Parola. Il modello è Cristo; e l’apostolo Paolo poteva dire: "Siate i miei imitatori, come io lo sono di Cristo". Ma quale predicatore ai giorni nostri oserebbe usare questo linguaggio? Eppure, come Paolo, ognuno dovrebbe poter dire: "Non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù quale Signore, e quanto a noi, ci dichiariamo vostri servi per amore di Gesù" (2 Cor. 4:5).

Chi insegna dovrebbe dunque vivere la verità che predica. Insegnare in pubblico quello che la nostra vita privata smentisce è molto pericoloso; pericoloso per noi che disubbidiamo  al Signore, disonorevole per la testimonianza e dannoso per quelli che ci ascoltano.

Il segreto di un servizio utile consiste nel nutrire noi stessi della verità di Dio e nel muoverci nella sua atmosfera, di modo che la verità abiti riccamente in noi, per sgorgare poi verso gli altri con la sua potenza vivente, il suo sapore, la sua unzione, la sua pienezza.

E' triste e molto pericoloso mettersi a studiare la Parola di Dio semplicemente con lo scopo di preparare conferenze o sermoni da recitare agli altri. Niente inaridisce di più l'anima. Occuparsi della verità di Dio soltanto per la propria intelligenza, e accumulare nella memoria dottrine, interpretazioni e principi per ripeterli poi con scioltezza di parole, è ingannevole e demoralizzante. Quando attingiamo acqua per gli altri dobbiamo attingerla prima per noi stessi; come scorrerebbe l’acqua pura in canali incrostati e arrugginiti?  Il Signore ha detto: "Se qualcuno ha sete, venga a me e beva". La potenza del ministero che potremmo essere chiamati ad esercitare nella Chiesa dipenderà sempre da come ci abbeveriamo personalmente con l’acqua vivificante, non solo se ne attingiamo per gli altri. "Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Giov. 7:37, 38).

Paolo dice poi: "Bada all'insegnamento". Serio avvertimento per quelli a cui Dio affida questo ministero! E' la dipendenza da Dio che ci insegnerà quello che dobbiamo dire e il modo di dirlo. Dio solo conosce lo stato e il bisogno delle anime; noi non sappiamo cosa occorre loro. Rischieremmo di offrire "il nutrimento solido" a quelli che non sono capaci di sopportare altro che "il latte", e così di fare solo del male. "Se uno parla", dice Pietro, "lo faccia come un oracolo di Dio". Uno può alzarsi nell'assemblea e parlare per un'ora; ognuna delle sue parole può essere in stretta sintonia con la Verità; eppure potrebbe non parlare come un “oracolo di Dio”, vale a dire da parte di Dio. 

Questo ci fa sentire l'importanza dell'avvertimento di Paolo: "Bada all'insegnamento". Abbiamo bisogno di essere spogliati di noi stessi per dipendere soltanto dalla potenza e dalla direzione dello Spirito Santo. E' lì che si trova il segreto di ogni ministero efficace, sia orale che scritto. Abbiamo bisogno di rimanere di più ai piedi del Maestro; lì impareremo a conoscere e a condividere l'amore che Egli ha per gli agnelli e le pecore del suo gregge, e saremo resi capaci di dare loro il nutrimento opportuno al tempo opportuno. 

Solo il Signore sa esattamente ciò di cui hanno bisogno i suoi amati figli, ad ogni momento. Un argomento potrebbe averci interessato molto, ma non essere quello che corrisponde in quel momento ai bisogni dell'assemblea. Il soggetto che abbiamo da presentare non è sempre quello che interessa o che piace a noi. Ma come fare a conoscere i veri bisogni dei nostri fratelli o sorelle? Dobbiamo pregare, e chiedere al Signore: "Cosa vuoi che io dica ai tuoi diletti? Dammi per loro il messaggio che si addice". Allora il Signore si servirà di noi come suoi strumenti; la parola sgorgherà, per così dire, dal suo cuore e penetrerà nel nostro, per spandersi poi, secondo la potenza del suo Spirito, nel cuore dei suoi.

Chiediamo al Signore che sia così di tutti quelli che parlano e scrivono per la Chiesa di Dio. Che potenza ne risulta e che progressi nella vita divina quando tutto quello che è detto e scritto ha in vista i veri interessi del gregge del Signore! Si fanno sentire allora solo "sane parole" (1 Tim. 6:3; 2 Tim. 1:13) e si presenta esclusivamente quello che è buono per l'edificazione.

Possa ogni servitore del Signore applicare a se stesso l'avvertimento rivolto a Timoteo: "Bada a te stesso e all'insegnamento… perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano".

"Ricorda loro queste cose, scongiurandoli davanti a Dio che non facciano dispute di parole; esse non servono a niente e conducono alla rovina di chi le ascolta. Sforzati di presentare te stesso davanti a Dio come un uomo approvato, un operaio che non abbia di che vergognarsi, che dispensi rettamente la parola della verità" (2 Tim. 2:14, 15).


C. H. Mackintosh

martedì 17 settembre 2024

L'amore, la gioia, la pace

"Dimorate nel mio amore" (Giov. 15:9).

"Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia dimori in voi"  (Giov.15:11).

"Vi lascio pace; vi dò la mia pace"  (Giov. 14:27).

L'amore, la gioia, la pace, sono i tre primi caratteri del frutto dello Spirito. Normalmente, ogni riscattato del Signore li dovrebbe manifestare, poiché alla conversione ha ricevuto lo Spirito Santo, quand'anche non ne fosse pienamente cosciente. Questi caratteri dovrebbe manifestarli in tutte le sue relazioni, coniugali, familiari, fraterne e, non dimentichiamolo, nelle sue relazioni professionali e di vicinato. E' così che il credente testimonia, in modo concreto e spontaneo, di appartenere a Cristo di cui possiede la vita in sé.

Non cerchiamo di manifestare questi caratteri con uno sforzo della nostra volontà, come se si trattasse di dover ubbidire a comandamenti di una legge che ci è imposta. Presto o tardi arriveremmo a un insuccesso, e a serie e profonde frustrazioni. Bisogna che li gustiamo noi stessi vicino al Signore.

Per "dimorare nel suo amore" non c'è da fare uno sforzo, né vi sono opere da compiere. C'è da mantenere una comunione stretta con Lui, con la preghiera e la meditazione della sua Parola; c'è da godere della sua Persona, delle sue glorie, della sua grazia, vivendo allo stesso tempo separati dal male e dal mondo. Così come per approfittare del sole ci mettiamo non all'ombra, ma in un posto libero, dove splende e dove possiamo sentire il suo calore sulla nostra pelle. 

Per avere la gioia di Cristo cercherò la sua approvazione in tutte le mie azioni, prendendo di fronte agli altri il posto di umile servitore quale è stato il suo; e terrò conto dei suoi interessi e non dei miei. Troverò così la mia gioia nel fare quel che gli piace.

Per avere la sua pace, penserò sempre che, grazie a Lui, io sono nel favore di Dio e che il Padre mi ama dello stesso amore con cui ha amato Lui. Di cosa mi dovrei preoccupare quando rifletto che Egli non ha risparmiato il suo proprio Figlio? Non mi donerà anche tutte le cose con Lui?

Non siamo qui nel campo della teoria, ma della realtà cristiana; siamo in  un sentiero nel quale potremo progredire non per le nostre capacità ma per la sola grazia di Dio. Percorrendo quel medesimo sentiero potremo testimoniare agli increduli con le parole e coi fatti, dell'amore, della pace, e della gioia che solo Cristo può dare.

lunedì 16 settembre 2024

Abbiatene cura

Gli evangeli ci riportano, dettagliatamente, tre casi di risurrezioni operate dal Signore, storie bellissime che offrono sempre nuovi insegnamenti morali e spirituali, tanto necessari per la nostra vita cristiana. 

Questi miracoli non ci ricordano solo la potenza del Signore che trionfava sulla morte, chiamata "il re degli spaventi" ( ); certo, avere fede nella potenza di Colui che ha vinto la morte è fondamentale, perché ci dà la certezza che un giorno anche i nostri corpi, risuscitati o trasformati, saranno resi conformi al corpo della sua gloria (Filippesi 3:21). Però ci danno anche lezioni e incoraggiamenti per il tempo presente, ed è di questi che ci occuperemo.

- La figlia di Iairo, stando ai racconti che ci riportano gli Evangeli,  era appena morta (Matteo 9:18) o stava morendo (Marco 5:23, Luca 8:42). 

- Il figlio della vedova di Nain era già nella bara (Luca 7:11-15).

- Lazzaro era nel sepolcro già da quattro giorni. 

Che differenza c'era per il Signore? Per Lui certamente nessuna, ma per gli uomini tanta. Per i casi che appaiono senza speranza arriviamo a dire: "Non disturbare più il Maestro" (Luca 8:49); e dove la fede c'è sicuramente, come in Marta, andiamo poco oltre, e ci limitiamo a dire: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto".

Ma il Signore vuole essere riconosciuto già oggi, nella nostra vita, come Colui che ha il potere "di sottomettere a Sé ogni cosa" (Filippesi 3:21). Come è triste quando noi credenti, pur citando a memoria che "la fede è certezza delle cose che si sperano", secondo Ebrei 11:1, viviamo giornalmente assaliti da molti dubbi e rinunciamo ad appropriarci delle sue promesse! 

Ci aiuti il Signore a fare nostre le parole che leggiamo in 1 Timoteo 4:7-8: "Esercitati alla pietà... la pietà è utile ad ogni cosa avendo la promessa della vita presente e di quella futura".

Abbiamo anche molto da imparare dai risultati che vediamo in coloro che hanno beneficiato della potenza del Signore.

- La figlia di Iairo si alzò e si mise a camminare.

- Il figlio della vedova di Nain cominciò a parlare.

Tutti, fratelli e sorelle, dobbiamo camminare e parlare. Camminare, vale a dire testimoniare col nostro comportamento, e parlare, cioè predicare la buona novella del Vangelo. Ma la Parola vuole forse anche suggerirci che da una ragazzina il Signore si aspetta soprattutto un comportamento che testimoni della sua fede, mentre da un giovane pretende franchezza nel proclamarla, parlando al prossimo del suo Signore e di quello che ha fatto per lui.

Ma non dimentichiamo Lazzaro. Di lui è detto solo che "uscì, con i piedi e le mani avvolte da fasce e il viso coperto da un sudario". Non poteva né camminare né parlare.

Vi sono molti Lazzaro fra i cristiani. Siamo noi di quelli? Siamo passati dalla morte alla vita, ma non siamo ancora in grado di testimoniare di Lui. Il Signore lo ha risuscitato senza l'aiuto di nessuno; Egli solo poteva dare la vita. Ma per gli altri risultati Egli ci associa a Sé e ci insegna come ottenerli. "Scioglietelo e lasciatelo andare"!

"Abbiatene cura" è il titolo di questo articolo, ed è ciò che il Signore vuole da noi. Chi si farà avanti per assolvere questo compito?

Alla figlia di Iairo si doveva dare da mangiare. Siamo noi pronti a ricevere i nuovi convertiti e a dare loro il cibo adatto alla loro età e al loro livello culturale? Chiediamo a Dio che le anime che si aggiungono alla famiglia dei credenti trovino il cibo appropriato per crescere nella grazia e nella conoscenza del Signore Gesù.

Il Signore comandò che si desse da mangiare alla figlia di Iairo. E lo comanda anche a noi. 

Del figlio della vedova di Nain leggiamo: "E Gesù lo restituì a sua madre". Era normale; sua madre era la persona più adatta a riceverlo perché era quella che lo amava di più.

Amiamo noi i nuovi convertiti? Ce li sentiamo affidati dal Signore? Li amiamo quasi fossero figli nostri? Il Signore si aspetta di trovare fra noi fratelli e sorelle che si prendano cura dei giovani, in età e nella fede, come se fossero loro figli. Non deludiamolo.

Ma torniamo a Lazzaro. Che ordine è dato per aiutare uno che non è in grado di camminare né di parlare né di agire? "Scioglietelo e lasciatelo andare"

Quanti veri credenti restano legati e non sono liberi di servire il Signore perché nessuno li ha aiutati! Legati da legami col mondo e col peccato, con la politica o con la religione. 

Le anime devono essere liberate. Il Signore ci vuole liberi per poterci comunicare la sua volontà, come scrivendola su una pagina bianca. Non è possibile rispondere al suo appello se siamo ancora "avvolti da fasce".

In Ebrei 12:1 è detto che il peccato "facilmente ci avvolge" e ostacola il nostro cammino. Impariamo a "deporlo", e aiutiamoci gli uni gli altri per poter correre con perseveranza la nostra corsa in vista di onorarlo con le opere della nostra fede.

Ma che dire delle parole: "Lasciatelo andare"? Fratelli, esse sono un severo monito a coloro di noi che volessero imprigionare gli altri nei loro "sistemi", mettendo su loro un giogo di schiavitù invece di permettere loro di servire il Signore in piena libertà, convinzione e certezza di fede.

Lazzaro venne slegato e lasciato andare. E dove andò? In Giovanni 12:2 lo troviamo seduto a tavola col Signore e con gli altri. La vera libertà ci porterebbe tutti intorno a Lui, dove ogni servitore svolge la parte assegnatagli, dove Maria e Marta, in piena armonia, svolgono il loro servizio in una casa piena di profumo.

Impegniamoci a mettere in pratica questi insegnamenti, perché Lui ne è degno, e anche per il bene nostro e dei nostri fratelli.

domenica 15 settembre 2024

Pilato

Questo personaggio ha un posto molto singolare nella Scrittura. Tipifica tutti coloro che non si vogliono schierare apertamente, che cercano dei sotterfugi per evitare di scegliere o che delegano ad altri questa responsabilità. Esaminiamo, ora il personaggio nei suoi cinque punti.

Primo, Pilato era convinto che il Signore fosse innocente. Sapeva che gli era stato consegnato nelle mani per invidia “Perché egli sapeva che glielo avevano consegnato per invidia” Matteo 27:18. Per tre volte dichiarò pubblicamente che non trovava alcun motivo per condannarlo.

La ripetuta insistenza sull'innocenza del Signore Gesù è alla base del secondo punto. Egli voleva assolutamente evitare di condannarlo e nello stesso tempo voleva evitare di assolverlo (a motivo dei giudei). Come poteva conciliare queste posizioni così opposte? Ebbene, Pilato trovò una via di uscita. Avendo appreso che Egli era galileo e perciò sotto la giurisdizione di Erode, lo mandò da lui per il processo, sperando di trasferire ad Erode la responsabilità della decisione. Ma Erode lo rimandò indietro senza giudicarlo.

In terzo luogo, Pilato cercò delle soluzioni intermedie: “io dunque, dopo averlo castigato lo libererò” (Luca 23:16,22). Egli sperava che la folla sarebbe stata soddisfatta da una punizione inferiore dalla pena capitale ma anche questo piano fallì.

Tentò, come quarta opzione, di fare la cosa giusta (rilasciare il Signore) per una ragione diversa. Ricordando l'usanza secondo cui il procuratore, in occasione della Pasqua, concedeva l'amnistia a qualche prigioniero, spera che il popolo scegliesse il Signore Gesù. In questo caso egli lo avrebbe rilasciato per un atto di clemenza e non per un azione di giustizia.

In quinto luogo, Pilato cercò di affermare la sua innocenza. Prese dell'acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: “io sono innocente del sangue di questo giusto” (Matteo 27:24). E poi, prima che le sue mani si asciugassero, consegnò il Signore perché fosse crocifisso. Le grida della folla ebbero il sopravvento. Il “pensiero” dei molti condizionò le sue azioni. 

Pilato sapeva della sua innocenza. Pilato delegò la decisione ad altri. Pilato cerco strade intermedie. Pilato optò per una scelta non di giustizia ed infine scelse di non scegliere, ma non si può rimanere neutrali davanti ad un fatto simile, la croce impone una scelta, o si è con Cristo o si è contro. 

Tu, che cosa hai scelto?

sabato 14 settembre 2024

Adorazione

“I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità” Giovanni 4:23-24. 

La vera adorazione è un adorazione spirituale, senza finzioni ne ipocrisie. La Scrittura sottolinea spesso che la vera adorazione non dipende in sé dalla forma, dai rituali e dalle cerimonie. Dobbiamo prestare grande attenzione alle dure parole che la Scrittura usa nei riguardi della “religione di forma”. Nessun libro, neppure gli scritti di Marx, è più critico verso la vuota religione quanto la Bibbia stessa. I profeti, erano molto chiari nella loro denuncia al formalismo e all'ipocrisia del culto israelitico. Il Signore poi apostrofò molto duramente i Farisei per il loro formalismo. La vera adorazione non può essere disgiunta dalla verità. Non si può pensare che Dio si accontenti della semplice osservanza dei rituali. Non si può fingere di adorare quando la nostra vita interiore è corrotta.

Uno dei più efficaci sistemi di opposizione ad accostarsi a Dio è finora quello della religione organizzata. Le chiese, paradossalmente, hanno sempre fornito un rifugio a chi fugge da Dio: la sua voce viene confusa negli inni, il suo buon profumo viene disperso nell'incenso, i suoi disegni oscurati e confusi nei credi, nei dogmi. Nelle ampie cattedrali si può sfuggire a Dio. I canti gregoriani o i solenni cori possono tenerlo lontano donando solo a chi assiste un momentaneo senso di pace.

A questo punto bisogna dire qualcosa di più sul ruolo della musica nell'adorazione. La musica sia vocale che strumentale, se fatta con ordine, può essere un veicolo di lode a Dio ma può anche fargli esclamare: “Allontana da me il rumore dei tuoi canti! Non voglio più sentire il suono delle tue cetre!” Amos 5:23.

Il genere di adorazione che piace a Dio ha determinate caratteristiche. La vera adorazione è prima di tutto un'adorazione morale, ovvero non deve esprimere solo ciò che abbiamo nel cuore ma deve essere accompagnata da una vita morale giusta. Samuele esprime questo concetto al di là di ogni dubbio con le sue semplici parole al re Saul: “Il SIGNORE gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l'ubbidire alla sua voce? No, l'ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni” 1 Samuele 15:22.

Dio fu ancora più esplicito nella sua dichiarazione ad Isaia. Ne aveva abbastanza delle offerte di Israele; non trovava alcun piacere nei loro sacrifici. Le sacre assemblee erano infatti per Lui un abominio ed Egli non ascoltava nemmeno più le loro preghiere e il suo forte richiamo era indirizzato affinché ricercassero la “giustizia”, ovvero un cammino retto, conforme alla chiamata che avevano ricevuto.

Concludo pensando a quanto Paolo afferma in Romani: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale” 12:1. In questo capitolo, l'apostolo, descrive la vita cristiana definendola: “culto spirituale”. E' chiaro che sta pensando all'adorazione che si esprime non soltanto in un edificio ecclesiastico ma anche in casa e sul posto di lavoro. Questo è il vero culto che Dio gradisce.

venerdì 13 settembre 2024

Il dono più bello

Ricordo un Natale del 1965. Avevo ricevuto e montato il mio regalo (beh non era solo mio era mio e di mio fratello) era bellissimo. Una pista policar, con due macchinine elettriche che erano una riproduzione in scala di auto da F1. La montammo in salotto e le auto giravano e giravano...Dopo un po' ci scambiammo le macchinine e ricominciò a girare e girare...

“Mamma, che cosa altro mi avete regalato per natale?”. Questa poi fu la mia richiesta.

Anche la nostra vita procede sul solito circuito di plastica, un giro dopo l'altro. La scuola. Il primo impiego. Il giorno delle nozze. Il reparto maternità. I bambini. I nipoti. E gira e gira... Non c'è altro?

L'insoddisfazione contraddistingue tutti gli uomini, ci manca qualcosa. Perché? 

Perché non abbiamo ancora aperto il regalo più bello.

Non lo si trova nei grandi magazzini né lo si acquista on-line, non è incartato con carta colorata, non ha il nastro con il fiocco, eppure è un dono incredibile, è un dono del Padre ai suoi figli.  

Un Padre che ti ha amato, ha amato proprio te. Ti ha amato a tal punto da donarti il suo dono più bello. E' un dono unico e quando lo riceverai non sarai più lo stesso. Cambierà la tua vita per sempre.

“Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio...” Giovanni 3:16.

Ecco il dono più grande che Dio ci ha fatto: il suo proprio Figlio! Ce l’ha dato perché non poteva sopportare di vedere gli uomini corrotti, sviati, sconfitti e senza speranza. Così ce ne ha donata una straordinaria. Adesso siamo: “più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati” Romani 8:37.

“ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo... senza speranza e senza Dio nel mondo” Efesini 2:12.

“Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù” Efesini 2:4-6.

Adesso non resta che accettare il dono e fare tua questa grande gioia.

giovedì 12 settembre 2024

Una storia raccontata

“Finché ho taciuto, le mie ossa si consumavano tra i lamenti che facevo tutto il giorno. Poiché giorno e notte la tua mano si appesantiva su di me, il mio vigore inaridiva come per arsura d'estate.” Salmo 32:3-4.

L'anima di Davide assomiglia al pero che avevo nell'orto durante il periodo invernale. Spoglio. Infruttuoso. Apparentemente morto.

La sua arpa pende silenziosa.

Davide complotta, Davide da ordini affinché un omicidio si compia.

Uria sepolto. Bat-Sceba sposata. La prima parte del versetto 27 (1 sam.11) potrebbe indurre il lettore a pensare ad un lieto fine “Bat-Sceba divenne sua moglie e gli partorì un figlio”. Passano nove mesi, il figlio nasce e potremmo concludere: Davide l'ha scampata.

Dio deve aver chiuso un occhio. Forse il caso è stato archiviato. No!

“Quello che Davide aveva fatto dispiacque all'Eterno”. 2 Samuele 11:27b.

Dio manda Natan. E il profeta invece di riferire direttamente i fatti, racconta a Davide una storia di un pover'uomo e della sua unica pecora. Davide si immedesima all'istante. 

Non fa nessuna fatica. Anche lui è stato pastore di greggi prima di guidare il popolo.

Anche lui a conosciuto la povertà. E' l'ultimogenito di una famiglia troppo povera per poter assumere un pastore. Natan racconta a Davide quanto questo povero pastore amasse la sua pecora, facendola dormire sul suo grembo e dandole da mangiare dal suo stesso piatto. Era tutto ciò che aveva.

Chissà quanti ricordi per Davide. Le sue pecore che aveva così tanto amato da mettere in gioco la sua vita per salvarle, strappandole dalle fauci del leone e dell'orso. (1 Samuele 17:34). Mentre Davide ascolta, ira sale dentro di lui. Come era possibile che qualcuno avesse compiuto un gesto simile?

“Davide si adirò moltissimo contro quell'uomo e disse a Natan: Com'è vero che il SIGNORE vive, colui che ha fatto questo merita la morte; e pagherà quattro volte il valore dell'agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà” 2 Samuele 12:5-6.

Oh, Davide. Non te lo aspettavi, Vero? Non hai notato nelle parole di Natan niente che avesse corrispondenza con le tue azioni? Ma ciò che più stupisce è che sei stato TU a emettere la sentenza.

Davide impallidisce ascoltando quelle parole: “Tu sei quell'uomo”. 2 Samuele 12:7.

Per Davide il ricco della storia meritava di essere messo a morte. Dio è più misericordioso.

Dinanzi alla confessione del suo peccato, perdona Davide. Non certo senza conseguenze. I nostri peccati possono avere delle conseguenze terrene in disciplina.

Poni i tuoi errori dinanzi al trono della misericordia di Dio e chiedi perdono per essi.

mercoledì 11 settembre 2024

Il peccato e la sua scomparsa

La parola peccato negli ultimi anni è scomparsa dal vocabolario della maggior parte delle persone. Essa appartiene ormai alla fraseologia religiosa ma nel parlare corrente è una parola priva di significato.

Che ne è del peccato?

Una volta questo termine era presente nella mente di tutti ma ora è assai raro sentirlo.

Che significa questo?

Forse non si commettono più i peccati?

Dove è andato a finire il peccato?

Analizziamo le cause della sua scomparsa.

Alcuni di quelli che un tempo nella Sacra Scrittura erano definiti peccati ora sono crimini e la responsabilità di occuparsene è stata delegata allo stato con le sue leggi che sono spesso da interpretare. Il colpevole può citare a sua difesa argomenti quali: le circostanze, lo stato d’animo, la provocazione, le cosi dette attenuanti.

Il concetto espresso da Davide nel Salmo 51 “Ho peccato contro di te (Dio)” è scomparso.

Altri peccati si sono dissolti nelle malattie. I ricercatori ci rivelano di avere scoperto dei geni responsabili dell’adulterio, geni responsabili dell’omosessualità e per queste cose non c’è bisogno di perdono o di punizione ma semplicemente di una terapia.

Per la malattia dell’uomo non occorre Dio ma solamente una cura.

Il peccato non può essere semplicemente liquidato come un errore sociale, o un problema di cultura.

Abbiamo a disposizione una vasta gamma di capri espiatori.

I nostri geni, le reazioni chimiche del nostro corpo, il carattere, il temperamento, l’ereditarietà, gli errori degli altri, l’educazione ricevuta, l’ambiente sociale.

Tutti insieme costituiscono un alibi perfetto.

Ma il peccato dov’è finito?

Purtroppo, questo, non è un argomento gradito alla gente e una delle critiche che si fanno ai cristiani è di toccare troppo questo tasto.

Il peccato non è stato inventato da qualche predicatore per attirare a se la gente; il peccato è un fatto universale.

“Certo, non c’è sulla terra nessun uomo giusto che faccia il bene e non pecchi mai” Ecclesiaste 7:20.

“Il Signore ha guardato dal cielo i figli degli uomini, per vedere se vi è una persona intelligente, che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti sono corrotti, non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno” Salmo 14:3,4.

“Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi.. Se diciamo di non avere peccato lo facciamo bugiardo” 1Giovanni 1:8,10.

martedì 10 settembre 2024

Condotti

“Anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio” 1 Pietro 3:18.

Questo è uno dei tanti passi che ci parlano della croce e ci spiega la ragione principale per la quale Cristo morì. Adesso possiamo capire più in profondità lo scopo della croce.

1) Innanzitutto, Cristo morì per condurci a Dio. Dietro questa affermazione si cela il presupposto che noi siamo separati da Dio e abbiamo bisogno di essere riavvicinati a Lui. Ed è così. Ogni nostra sensazione di sconforto, di estraneità e di inspiegabile insicurezza si può alla fine far risalire alla nostra lontananza da Dio e questo allontanamento si deve al nostro peccato. Come dice Isaia: “le vostre iniquità vi hanno separato dal vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere la faccia da voi, per non darvi più ascolto” Isaia 59:2. Cosa ha fatto allora Cristo per rimediare a questa situazione? Lo possiamo scorgere nel secondo punto.

2) Cristo morì per i peccati, Lui giusto per gli ingiusti. Ovvero morì come nostro sostituto. Noi meritavamo la morte; morì lui al nostro posto e poiché prese il nostro posto, portò il nostro peccato e morì per noi, ora possiamo essere perdonati.

3) Terzo, Cristo morì per i peccati una volta per tutte. L'avverbio hapax (una volta) non significa “un tempo” ma “una volta per tutte”. Esprime un assoluto, una situazione definitiva. Lui pagò il prezzo e poté gridare “E' compiuto”. Che cosa resta dunque da fare per noi? Nulla! Non possiamo contribuire in nessun modo a ciò che Cristo ha fatto, tutto ciò che possiamo fare è ringraziarlo per ciò che ha compiuto e avere riposo in questa opera.

lunedì 9 settembre 2024

Privilegi

“Ma a chi paragonerò questa generazione? Essa è simile a fanciulli seduti nelle piazze, che si rivolgono ai loro compagni e dicono: Noi vi abbiamo sonato il flauto e voi non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e voi non avete fatto cordoglio” Matteo 11:16-17.

L'indifferenza alla voce di Dio è la caratteristica di questa generazione e sarà la sua rovina. Essa è definita “simile a fanciulli” indifferenti che siedono nelle piazze, posizione che sta ad indicare coloro che non ricercano niente, sono soddisfatti così e non hanno bisogno di nulla.

“Allora egli cominciò a rimproverare quelle città, in cui la maggior parte delle sue opere potenti erano state fatte, perché esse non si erano ravvedute, dicendo Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perché se in Tiro e Sidone fossero state fatte le opere potenti che sono state compiute tra di voi, già da tempo si sarebbero pentite con sacco e cenere” v.20-21.

Il fallimento di “questa generazione” che non aveva risposto alla chiamata del Signore Gesù è paragonato a quello di queste città che non avevano risposto positivamente alle sue “opere potenti”. Quelle, da sole, anche senza un messaggio verbale, avrebbero dovuto far loro vedere che Dio era all'opera e suscitare in loro un pentimento, espresso con l'abbandono di tutto il loro atteggiamento ribelle nei confronti di Dio. Nessun altra città fu privilegiata come queste. Dio stesso si era incarnato ed aveva camminato in esse compiendo molte opere potenti. Nonostante queste prove inconfutabili, esse si erano rifiutate di ravvedersi. Non c'è da meravigliarsi se il Signore predicesse loro una fine così amara.

Mi chiedo che ne sarà di coloro che hanno ascoltato il messaggio dell'Evangelo e magari hanno frequentato per anni locali di riunioni, partecipato a campi biblici, essendo presenti a studi sulla Parola ma poi sono rimasti indifferenti.

Grandi privilegi comportano grandi responsabilità.

domenica 8 settembre 2024

Considerare il costo

La salvezza è gratuita, ma essere un discepolo costa. Duemila anni prima di Cristo, Mosè dovette scegliere fra gli oltraggi di Cristo e i piaceri dell'Egitto.

“Per fede Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, che godere per breve tempo i piaceri del peccato; stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa. Per fede abbandonò l'Egitto, senza temere la collera del re, perché rimase costante, come se vedesse colui che è invisibile” Ebrei 11:24-27.

Come giovane sovrano avrebbe goduto il lusso e l'abbondanza. Dovette scegliere come vivere la sua vita, né più né meno come noi. Poteva fare la scelta dei “tiepidi” come molti nella chiesa di oggi che cercano di combinare le due cose, ma ben sapeva che questo è impossibile. 

Non è mai scritto: “Cristo e...”, ma sempre “Cristo o...”

Facciamo degli esempi, la scelta è: Cristo o Barabba, Cristo o Beliar, Cristo o il mondo. Non Cristo e Barabba, Cristo e Beliar, Cristo e il mondo.

Il Signore disse: “Chi non è con me è contro di me” Matteo 12:30.

Il cristianesimo è diventato un cammino troppo facile specialmente nei paesi così detti cristianizzati. Sembra che non se ne debba più considerare il costo, che non sia più necessario la rinuncia al godere i “piaceri del peccato”. Prendere la propria croce e seguire Cristo è una opzione riservata ai più “bigotti”. La porta non è più stretta e tanto meno lo è la strada.

La chiesa ha perso la sua capacità di disciplinare chi vive palesemente nel peccato.

Lo schiavo liberato di Esodo 21 portava un “marchio” di colui che aveva scelto di servire.

O porto il marchio di Cristo o porto il marchio di chi mi domina. L'odierna generazione di cristiani si riconosce dalle facce spente, mani tremanti, dal loro comportamento agitato e insicuro. Le medicine non riescono a calmarla, né i cosmetici a nascondere le cicatrici. Essa porta il marchio del suo padrone.

La Scrittura ci insegna che non si possono servire due padroni e ci dice anche che ci sono alcuni marchi che contraddistinguono chi segue il principe di questo mondo: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sétte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose” Galati 5:19-21.

I credenti dovrebbero essere ben visibili in un mondo pagano. Fai attenzione, se il tuo comportamento passa inosservato, se la tua vita scorre esattamente uguale a quella degli altri, vuol dire che non hai scelto il “vituperio di Cristo” (ver. Luzzi) ma hai scelto i “tesori d'Egitto” e non stai riguardando alla ricompensa, ma a ciò che è per breve tempo.

sabato 7 settembre 2024

Eroi

Gli eroi rispecchiano una società. Studiate gli eroi di una nazione e capirete la nazione. Noi onoriamo coloro che incarnano i nostri sogni i nostri ideali. I membri di una gang bevono alla salute di chi è spietato, gli schiavi stimano chi combatte per la libertà e i membri di culto esaltano chi è autorevole. I fragili trattano come una celebrità il forte e gli oppressi esaltano i coraggiosi. 

Abbiamo creato molti eroi, da Garibaldi a Mazzini, da Lincoln a Nelson Mandela.

Per qualche breve istante gli uomini hanno avuto eroi dei quali avevano bisogno, ma quando la verità trapela e questi eroi vengono esaminati con attenzione si scorgono un sacco di crepe nelle loro armature e noi ci accorgiamo che essi per nobili che possano essere stati, per coraggiosi o altruisti, sono stati concepiti nella stessa società corrotta come voi e me.

Eccetto uno. Ce ne fu uno che dichiarò di provenire da un posto diverso. Ce ne fu uno che mentre portava il volto di un Ebreo, era l'immagine del Creatore.

Coloro che lo videro capirono che in Lui vi era qualcosa di diverso. 

Durante l'ultimo periodo della sua vita quaggiù pose ai suoi una domanda: “Gesù li interrogò, dicendo: «Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?”  Matteo 22:42.

Una domanda che è un sondaggio. L'essenza della prima domanda “Che ne pensate del Cristo” è contenuta nella successiva: “di chi è Figlio?”.

Dopo tre anni di ministero, centinaia di chilometri percorsi, migliaia di miracoli, innumerevoli insegnamenti, Gesù chiese di tirare le fila rispondendo a questa domanda, di chi è Figlio?

L'idea che Dio avrebbe messo su braccia e gambe... il pensiero che il re dell'universo avrebbe lavorato e servito in mezzo agli uomini è troppo rivoluzionaria, noi non avremmo mai pensato a un simile Salvatore. Nelle nostre più pazze fantasie non avremmo fatto incarnare Dio come uno di noi. 

Ma Dio lo fece. Dio fece ciò che noi non avremmo osato sognare. 

Ed è stato accolto come un “eroe”? E' stato osannato e adorato come meritava?

No!

Gli eroi degli uomini sono altri, gli esempi a cui il mondo guarda sono altri, come altre sono le cose che ricerca.

“la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” Giovanni 3:19.

No!

Non è stato accolto, ma le sua azioni e i suoi insegnamenti restano, il suoi esempio spingerà moltitudini di uomini a invertire la rotta a cambiare completamente i loro modo di vivere e anche questo è un suo dono. Pietro poteva dire: “Simon Pietro gli rispose: «Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna “ Giovanni 6:68.

venerdì 6 settembre 2024

Quello che non vogliono sentirsi dire

Gesù Cristo è il Figlio di Dio, l’Unigenito venuto da presso al Padre, che nella pienezza dei tempi è morto per i nostri peccati e risorto a cagione della nostra giustificazione.

Nonostante ciò, oggi, tanti che si dicono Cristiani e quindi Suoi discepoli, non vogliono sentire di Lui tante cose che sono scritte nella Bibbia. Ne elencheremo alcune:


Non vogliono sentirsi dire che il Signore Gesù era povero. Non aveva un luogo dove posare il capo, e non indossava abiti sontuosi, solo una tunica senza cuciture (perfezioni nel cammino), non possedeva beni. Perché si era fatto povero per amore nostro. “il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi” 2 Corinzi 8:9.

La ragione? Perché costoro vogliono diventare ricchi materialmente (affermando addirittura che è Dio che vuole che i Cristiani siano ricchi), e difatti disprezzano i poveri che sono in mezzo a loro.


Non vogliono sentirsi dire che il Signore Gesù ha parlato di giudizio e del fuoco dell'Ades, perché rifiutano di credere a un Dio che non è disposto a tollerare il peccato ma pensano che alla fine, essendo un Dio d'amore, finirà per fare grazia a tutti.


Non vogliono sentirsi dire che il Signore Gesù chiamò i Farisei ipocriti perché avevano annullato la Parola di Dio con la loro tradizione: “perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione? Questo popolo mi onora con le labbra, ma il cuor loro è lontano da me. Ma invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che son precetti d’uomini” Matteo 15:3-9.

E questo perché anche loro fanno le stesse cose, annullano la Parola con i loro precetti e voltano le spalle alla verità.


Non vogliono sentirsi dire che il Signore Gesù ha detto: “Più felice cosa è il dare che il ricevere” Atti 20:35, perché per loro è il contrario, cioè è più felice ricevere che dare.


Non vogliono sentirsi dire che il Signore Gesù ha detto: “Nessuno può servire  due padroni; perché o odierà l’uno ed amerà l’altro, o si atterrà all’uno e sprezzerà l’altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona” Matteo 6:24.

Servire, letteralmente “essere schiavo” e non si può essere schiavi di due padroni avendo due impegni e ricevere due ordine diversi in contrasto fra loro.

E questo perché i loro interessi e il loro cuore tende più al secondo, Mammona (che in aramaico significa “possessi”).

giovedì 5 settembre 2024

Gloria

“Sei giorni dopo, Gesù prese seco Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato dinanzi a loro; la sua faccia risplendé come il sole, e i suoi vestiti divennero candidi come la luce”  Matteo 17:1-2.


Il Signore Gesù fino a questo momento aveva manifestato una vita perfetta senza macchia alcuna. Tutto ciò che aveva fatto, detto e manifestato era in completa armonia con il Padre.

Ora, presi con se tre dei suoi discepoli, rivelò loro la Sua gloria.  

Se fosse salito in cielo in quel momento vi sarebbe salito da solo.

Per i suoi non sarebbe rimasto altro che il ricordo di una persona gloriosa, ma Egli scese dal monte voltando le spalle alla gloria per andare incontro ad un umanità peccatrice e per essere ricordato da loro come Salvatore.

Era venuto a dare la Sua vita qual prezzo di riscatto per molti.

Tornerà alla Sua gloria ma solo dopo che l'opera di salvezza sarà compiuta e le benedizioni di Dio saranno giunte fino a gli uomini.

“Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato su nel cielo. Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande gioia” Luca 24:51-52.

mercoledì 4 settembre 2024

Vivo

“io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli” Apocalisse 1:17-18.

La resurrezione di Cristo evidenzia non solo la vittoria sulla morte ma anche la natura di essa; innanzi tutto il Signore risorto non era un morto riportato in vita. Noi non crediamo che i nostri corpi saranno miracolosamente ricostruiti con le stesse identiche cellule di cui sono composti mentre siamo ora in vita. 

Il Signore resuscitò tre persone durante il suo ministerio, riportando in vita il figlio della vedova di Nain, la figlia di Iario e Lazzaro, ma fu solo un essere riportati indietro e dover rifare tutto da capo, compreso morire di nuovo. Ma la resurrezione di Cristo non era un risuscitare per dover morire di nuovo; lui fu elevato a un piano d'esistenza del tutto nuovo, in cui non era più mortale, ma “vivo per i secoli dei secoli”.

In secondo luogo, la nostra speranza di resurrezione non consiste solo nella sopravvivenza dell'anima ma nell'acquisizione anche di un corpo definito dalla Scrittura glorioso. Il Signore risorto non era né un corpo riportato in vita né uno spirito immateriale e poteva dire: “Guardate le mie mani e i miei piedi, perché sono proprio io! Toccatemi e guardate, perché uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che ho io” Luca 24:39. Poteva essere toccato e la sua voce riconosciuta da Maria Maddalena ma poteva anche passare attraverso il sepolcro ed entrare mentre le porte della sala erano chiuse.

Riassumendo, quello che ci aspettiamo non è né un ritorno in vita come eravamo né una sopravvivenza del solo spirito (simili a fantasmi), bensì una resurrezione in cui veniamo trasformati. “Ma qualcuno dirà: Come risuscitano i morti? E con quale corpo ritornano? Insensato, quello che tu semini non è vivificato, se prima non muore...Ci sono anche dei corpi celesti e dei corpi terrestri; ma altro è lo splendore dei celesti, e altro quello dei terrestri” 1 Corinzi 15:35:36.

L'apostolo approfondisce l'argomento ponendo due domande. La prima: Come risuscitano i morti?  E la seconda: E con quale corpo ritornano?

Per spiegare la realtà della resurrezione Paolo fa un esempio comune tratto dal mondo della natura.

“e quanto a ciò che tu semini, non semini il corpo che deve nascere, ma un granello nudo, di frumento per esempio, o di qualche altro seme; e Dio gli dà un corpo come lo ha stabilito; a ogni seme, il proprio corpo” V.37-38.

Cosa possiamo concludere da ciò? La pianta è forse il seme? No, la pianta non è il seme e neppure gli assomiglia, non potremmo mai immaginare, guardando questo piccolo chicco, la grandezza di ciò che ne verrà fuori ma, tuttavia esiste un legame vitale fra i due. Senza seme non ci sarebbe nessuna pianta.

martedì 3 settembre 2024

La purificazione della contaminazione nel cammino giornaliero (7/7)

Ancora una parola sugli ultimi versetti di questo capitolo: «Sarà per loro una legge perenne: colui che avrà spruzzato l’acqua di purificazione si laverà le vesti; e chi avrà toccato l’acqua di purificazione sarà impuro fino alla sera. E tutto quello che l’impuro avrà toccato sarà impuro; e la persona che avrà toccato lui sarà impura fino alla sera» (vers. 21-22). Al versetto 18, abbiam veduto che occorreva una persona pura per fare spruzzamento su quella contaminata; qui vediamo che si contraeva contaminazione nell’atto di spruzzare un altro.

Mettendo insieme queste due cose, impariamo, come qualcuno l’ha detto, «che contaminato è colui che ha da fare col peccato altrui, benché vi tocchi per dovere e a fin di purificare il suo prossimo; non è punto colpevole quanto l’altro, è vero, ma noi non possiamo avere contatto col peccato senza essere contaminati». Impariamo ancora che per condurre un altro a godere della virtù purificatrice dell’opera di Cristo, dobbiamo goderne noi stessi. Chiunque aveva spruzzato altri con l’acqua di aspersione, doveva lavarsi i vestimenti e lavare sé stesso con acqua; poi la sera era netto (vers. 19). Possano le nostre anime afferrare bene quest’insegnamento? Possiamo noi vivere abitualmente nel sentimento della purezza perfetta in cui ci ha introdotti la morte di Cristo e nella quale ci mantiene la Sua funzione di Sacerdote.

Non dimentichiamo mai che il contatto col male contamina. Era così sotto la dispensazione mosaica, oggi il medesimo principio permane.

lunedì 2 settembre 2024

La purificazione della contaminazione nel cammino giornaliero (6/7)

Studiando gli ordinamenti e le cerimonie della economia levitica, niente colpisce di più della cura gelosa con cui il Dio d’Israele vegliava sul suo popolo, affinché fosse preservato da ogni influenza corruttrice. Di giorno o di notte, fossero svegli o dormissero, dentro o fuori, in seno alla famiglia o nella solitudine, i suoi occhi erano sopra loro. Egli vegliava sul loro nutrimento, sul loro vestimento, sulle loro abitudini e sui loro assestamenti domestici. Egli li istruiva accuratamente su ciò che potevano o non potevano mangiare, o indossare. Manifestava loro anche distintamente il suo pensiero per quel che concerneva il toccare o il maneggiare le cose. In una parola li aveva circondati di barriere ampiamente sufficienti, se soltanto avessero voluto farvi caso, per evitare la corrente della contaminazione a cui erano esposti da ogni lato.

In tutto ciò vediamo evidentemente la santità di Dio; ma vi vediamo altrettanto chiaramente la Sua grazia. Se la santità divina non poteva sopportare nessuna contaminazione sul popolo, la grazia divina provvedeva ampiamente alla purificazione. Queste cure si manifestano nel nostro capitolo sotto due forme: il sangue espiatorio e l’acqua d’aspersione. Preziose risorse! Se non conoscessimo le immense provviste della grazia divina, i diritti supremi della santità di Dio sarebbero sufficienti per schiacciarci; mentre che essendo accertati della grazia, possiamo rallegrarci con tutto il nostro cuore nella santità. Un Israelita poteva fremere udendo queste parole: «Chi avrà toccato il cadavere di una persona umana sarà impuro sette giorni». E ancora: «Chiunque tocchi un morto, cioè il corpo di una persona umana che sia morta, e non si purifica, contamina la dimora dell’Eterno; e quel tale sarà tolto via da Israele».

Tali parole potevano veramente terrificare il suo cuore. Ma allora le ceneri della giovenca arsa e l’acqua d’aspersione gli presentavano il memoriale della morte espiatoria di Cristo, applicata al cuore dalla potenza dello Spirito di Dio: «Quando uno si sarà purificato con quell’acqua il terzo e il settimo giorno, sarà puro; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà puro»

Notiamo che non si tratta né d’offrire un nuovo sacrificio, né d’una nuova applicazione del sangue. È importante di vedere e di comprendere chiaramente questo. La morte di Cristo non può essere ripetuta. «Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio» (Romani 6:9-10).

Noi siamo, per la grazia di Dio, al beneficio del pieno valore della morte di Cristo; ma, essendo circondati da ogni parte dalle tentazioni e dai lacci ai quali rispondono le tendenze della carne che è ancora in noi; avendo inoltre un avversario potente, sempre all’agguato per sorprenderci e condurci fuori del sentiero della verità e della purezza, non potremmo avanzare un solo istante, se il nostro Dio nella sua grazia non avesse provveduto a tutte le nostre necessità per la morte preziosa e la mediazione onnipotente del nostro Signore Gesù Cristo. Non solo il sangue di Cristo ci ha lavati da tutti i nostri peccati, e riconciliati con un Dio santo, ma «noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto». Egli «vive sempre per intercedere per loro». E «Egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio». Egli è sempre nella presenza di Dio per noi. È là come il nostro rappresentante, e ci mantiene nella divina integrità della posizione e della relazione nelle quali la sua morte espiatoria ci ha posti. La nostra causa non può mai essere perduta fra le mani d’un tale Avvocato. Bisognerebbe ch’Egli cessasse di vivere, prima che il più debole dei suoi santi potesse perire. Noi siamo identificati con Lui, ed Egli con noi.

Or dunque, lettore cristiano, quale dovrebbe essere l’effetto pratico di tutte queste grazie sui nostri cuori e sulla nostra vita? Quando pensiamo alla morte e all’incenerimento — al sangue e alle ceneri — al sacrificio espiatorio e all’intercessione del Sacerdote e dell’Avvocato, quale influenza dovrebbe ciò esercitare sulle nostre anime? Come dovrebbe agire questo pensiero sulle nostre coscienze? Ci condurrà forse a tenere in poco conto il peccato? Avrà forse per effetto di renderci leggeri e frivoli nelle nostre vie? Così non sia! Possiamo essere certi di questo: l’uomo che può vedere nelle ricche risorse della grazia di Dio una scusa per la leggerezza di condotta o la frivolezza di mente, conosce pochissimo o affatto la vera natura della grazia, la sua influenza e le sue risorse. Potremmo immaginarci per un solo istante che le ceneri della giovenca o l’acqua d’aspersione potessero avere per effetto di rendere un Israelita incurante della sua condotta? Certamente no. Anzi il fatto stesso d’una tale precauzione contro la contaminazione doveva fargli sentire quanto fosse cosa seria il contrarre la contaminazione. Il mucchio di ceneri deposte in un luogo netto offriva una doppia testimonianza; testimonianza della bontà di Dio e della natura odiosa del peccato. Dichiarava che Dio non poteva sopportare l’impurità in mezzo al suo popolo; ma pure che Dio aveva provveduto i mezzi per togliere l’impurità. È impossibile che la dottrina benedetta del sangue sparso, delle ceneri, e dell’acqua d’aspersione, possa essere compresa e gustata, senza che produca un santo orrore del peccato in tutte le sue forme corruttrici. E noi possiamo affermare, inoltre, che chiunque ha provato l’angoscia di una coscienza contaminata non può considerare con leggerezza la contaminazione. Una coscienza pura è un tesoro troppo prezioso perché uno se lo lasci rapire con leggerezza; d’altra parte una coscienza contaminata è un fardello troppo gravoso perché, uno se lo indossi alla leggera. Ma, benedetto sia il Dio d’ogni grazia, Egli ha provveduto per ogni nostro bisogno in modo perfetto, e non in maniera da renderci negligenti, bensì vigilanti. «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate». Poi aggiunge: «Se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1 Giovanni 1:1-2).

domenica 1 settembre 2024

La purificazione della contaminazione nel cammino giornaliero (5/7)

Qualcuno potrebbe chiedere ancora: Che cosa si deve fare quando si ha realmente contratto una contaminazione? Come si può toglierla? Ascoltate il linguaggio figurato del capitolo 19 dei Numeri: «Per colui che sarà divenuto impuro si prenderà della cenere della vittima arsa per il peccato, e vi si verserà su dell’acqua di fonte, in un vaso; poi un uomo puro prenderà dell’issopo, lo intingerà nell’acqua e spruzzerà la tenda, tutti gli utensili, tutte le persone presenti e colui che ha toccato l’osso o l’ucciso o il morto o il sepolcro. L’uomo puro spruzzerà l’impuro il terzo giorno e il settimo giorno, e lo purificherà il settimo giorno; poi l’impuro si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua e sarà puro la sera» (vers. 17-19).

Vi è una doppia azione presentata nei versetti 12 e 19; cioè l’azione del terzo giorno e quella del settimo. Entrambe erano essenzialmente necessarie per togliere la contaminazione, contratta nel cammino, dal contatto con le diverse forme della morte specificate più su. Che cosa figurava questa doppia azione? Che cosa ciò corrisponde nella nostra storia spirituale? Senza dubbio questo: allorché per mancanza di vigilanza e di energia spirituale, tocchiamo la cosa impura e in tal modo siamo contaminati, possiamo ignorarlo; ma Dio conosce tutto, a questo riguardo. Egli se ne occupa per noi, veglia su noi; e, sia benedetto il suo Nome, non come un giudice irritato o come un censore rigido, ma come un tenero padre, che non ci imputerà mai nulla, perché tutto è già stato da tempo imputato a Colui che morì al nostro posto. Nondimeno Egli non mancherà di farcelo sentire profondamente e vivamente. Egli sarà un censore fedele della cosa impura; e può riprovarla tanto più energicamente in quanto non ce ne terrà mai conto. Lo Spirito Santo ci ricorda il nostro peccato, ciò che ci causa una inesprimibile angoscia di cuore. Quest’angoscia può continuare per qualche tempo. Può durare per qualche istante, o anche dei giorni, dei mesi, degli anni. Abbiamo conosciuto un giovane cristiano che fu infelice durante tre anni, per aver fatto un’escursione con degli amici mondani. Noi crediamo che quest’opera convincente dello Spirito Santo sia rappresentata dall’azione del terzo giorno. Ci ricorda il nostro peccato, poi ci ricorda ed applica alle nostre anime, per mezzo della Parola scritta, il valore della morte di Cristo come essendo ciò che ha già risposto alla contaminazione che contraiamo così facilmente. Questo risponde all’azione del settimo giorno, toglie la contaminazione e ristabilisce la nostra comunione.

Ricordiamoci bene che non possiamo mai sbarazzarci dalla contaminazione in alcun altro modo. Possiamo cercare di dimenticare la ferita o lasciare al tempo la cura di cancellarla dalla nostra memoria. Ma non c’è nulla di più disastroso che di trattare così la coscienza e i diritti della santità. Questo è insensato quanto pericoloso, poiché Dio, nella sua grazia, ha pienamente provveduto a togliere l’impurità che la sua santità scopre e condanna in tal modo che se l’impurità non è tolta, la comunione è impossibile: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». La sospensione dalla comunione d’un credente è ciò che risponde alla rescissione d’un membro dalla congregazione d’Israele. Il cristiano non può mai essere reciso da Cristo, ma la comunione può essere interrotta da un solo pensiero colpevole; bisogna dunque che questo pensiero colpevole sia giudicato e confessato, affinché la contaminazione sia tolta e la comunione ristabilita. Caro lettore, dobbiamo conservare una coscienza pura e mantenere la santità di Dio, altrimenti faremo bentosto naufragio quanto alla fede, poi cadremo del tutto. Che il Signore ci dia di camminare tranquillamente e con cura, nella vigilanza e nella preghiera, finché abbiamo deposto i nostri corpi di peccato e di morte, e siamo entrati nel soggiorno risplendente e benedetto dove il peccato, la contaminazione e la morte sono sconosciuti.