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domenica 1 marzo 2015

Bethel 2014 - Parole di una grande Salvezza (Capitolo 5)

UNO SGUARDO ALLA CROCE

E’ circa l’ora terza siamo a Gerusalemme, sulla collina del Calvario nel luogo del Golgota, il Signore Gesù, dopo essere stato arrestato e giudicato, è stato condannato a morte. Arriva al luogo del supplizio “portando la sua croce” e viene crocifisso tra due malfattori, uno a destra, l’altro a sinistra e Gesù nel mezzo.
Alziamo lo sguardo e cosa vediamo? Un martire? Qualcuno che muore per un ideale? Qualcuno condannato ingiustamente? No! Là c’è il Figlio di Dio fatto uomo. Vi è Colui che “mediante lo Spirito eterno (con uno spirito eterno), offrì sé stesso a Dio puro di ogni colpa”. Non vi è una vittima inconsapevole, ma Colui del quale ci è detto “per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto renderà giusti i molti” (Isaia 53:11).
Passano i primi momenti. Gli uomini disprezzano, si beffano del Signore Gesù. Alcuni dei Suoi sono presso la croce. Poi silenzio, tenebre.
Dall'ora sesta si fecero tenebre su tutto il paese, fino all'ora nona” (Matteo 27:45).
 Dopo circa tre ore di silenzio e tenebre un grido si fa udire:
“E, verso l'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lamà sabactàni?», cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Chi può capire la profondità di questa domanda? Chi può penetrare in questi momenti? Dobbiamo guardare a distanza.
Riteniamo che questi siano i momenti in cui “Colui che non ha conosciuto peccato, Egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21).
Egli lo ha fatto diventare peccato per noi”. Questo Egli si riferisce a Dio che in quei momenti ha caricato sul Signore le nostre colpe.
Questo ci fa pensare che il Signore Gesù è stato trattato sulla croce come il peccato meritava di essere trattato. Così tutta la pena e il giudizio che dovevano essere la nostra parte per l’eternità sono stati sopportati da Lui. Ci ricordiamo delle parole del profeta Isaia: “Il Signore (Dio) ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (53:6).
Se non possiamo neanche lontanamente immaginare ciò che il Signore ha subito in quei momenti, il giudizio che ha sopportato, possiamo però dire che questa domanda ci coinvolge direttamente. Cari ragazzi ognuno di voi può nel suo cuore rispondere: “È per me che eri là Signore, è per le mie colpe che hai subito l’abbandono di Dio. La risposta sono io!”
Abbiamo mai pensato profondamente che la pena per uno solo dei nostri peccati ci avrebbe allontanato da Dio per l’eternità? Si! Questa sarebbe stata la punizione! Per un solo peccato? Sì. Il Signore invece si è caricato di tutti i nostri peccati. Quanto grande sarà stato il peso del giudizio che ha dovuto sopportare? Lo abbiamo detto, è una domanda alla quale non sappiamo dare una risposta, ma con riconoscenza e adorazione diciamo: “Grazie Signore!”

Signore, io non saprei dire il dolore che ti ho causato, quando alla croce, sul legno, per me tu fosti inchiodato. Se penso al tremendo giudizio che avrei dovuto subire io, invece a morire al mio posto è andato il Figlio di Dio”.

Quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse: <<E’ compiuto!>>”.
La parola greca utilizzata “tetelestai” deriva dal verbo: “teleo”, che significa portare a termine, completare, compiere. E’ una parola di cruciale importanza perché indica portare a termine con successo un’azione. Ciò è significativo perché ci parla di un’azione compiuta nel passato, i cui risultati continuano al presente.

Ma c’è ancora un’ulteriore significato della parola “tetelestai”. Questo termine era utilizzato nel primo e nel secondo secolo nel senso di PAGATO ed appariva spesso nei documenti commerciali dell’epoca per indicare un debito saldato, pagato interamente.

Tre cose fondamentali:
1.     Siccome il Signore Gesù ha pagato pienamente il nostro debito, l’opera della salvezza è perfettamente compiuta. Il debito è stato pagato, il lavoro terminato, il sacrificio compiuto. Tenuto conto, come abbiamo espresso, che il verbo utilizzato in questo caso, nel grego, è al participio presente, ciò significa che il Signore Gesù è morto una volta e per sempre. Questo sacrificio sarebbe stato pienamente sufficiente per pagare per i peccati di ogni persona, passata, presente e futura, che avrebbe avuto fede nel Dio che giustifica l’empio. Ciò che Gesù Cristo ha fatto è così totale e completo che non deve essere ripetuto. La Sua opera è compiuta. Non vi è nulla di più che Dio possa fare per salvare gli uomini.
2.     Siccome il Signore Gesù ha pagato pienamente, l’uomo non deve aggiungere nulla. Tutti gli sforzi per aggiungere qualcosa a ciò che Cristo ha fatto alla croce sono inutili e non producono nulla. Questo è un punto cruciale perché talvolta gli uomini pensano che per ottenere il perdono di Dio debbano fare qualcosa. I nostri peccati sono cancellati grazie al sangue del Signore versato alla croce del calvario. Siccome Cristo è morto per noi quello che facciamo, abbiamo fatto o faremo non produce la minima differenza in riferimento alla nostra salvezza, al perdono, alla nostra giustificazione e alla piena accettazione da parte di Dio. Molti possono domandare, cosa devo fare per essere salvato? Possiamo andare oltre ed affermare che se il Signore ha pagato, ha saldato il debito al nostro posto, noi non dobbiamo pagare più nulla. Se pensiamo di dover fare qualcosa per ottenere la salvezza vuol dire che riteniamo che il prezzo non sia stato saldato. Dio ci offre questo gratuitamente, perché Cristo ha pagato interamente il prezzo. Un prezzo che noi non avremmo mai potuto pagare. Siamo “giustificati gratuitamente per la Sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Romani 3:24). Siamo stati salvati per grazia, questo è il dono di Dio!
3.     Siccome Cristo ha pagato pienamente, l’unica cosa che possiamo fare è accettare questo fatto o rifiutarlo. Qui entra in gioco la fede, ovvero occorre credere. Siamo stati salvati per grazia, mediante la fede. Questa è la nostra responsabilità. La fede è la mano di un bisognoso che si apre per ricevere un dono. Qual è la vostra risposta?

E Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito”.
L’evangelo di Luca ci dà il dettaglio di questo grido: “Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio». Detto questo, spirò”.
E’ il grido di Colui che in piena autorità entra nella morte. E’ Lui che dopo le sofferenze della croce e dopo l’abbandono, depone la Sua vita.
Analizziamo questa ultima frase nelle sue singole espressioni:

Padre: Questo è il titolo con il quale il Signore Gesù si rivolge a Dio. Questo ci parla di quell’intima relazione che esiste da prima che i mondi venissero all’esistenza. La prima frase pronunciata alla croce è stata “Padre perdona loro”, la sua ultima frase “Padre nelle tue mani rimetto il mio spirito”, in mezzo abbiamo udito quel grido “Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Il Signore Gesù entra nella morte nella piena consapevolezza che il prezzo è stato completamente pagato, che il carico è stato portato, che il Padre è stato glorificato, che la battaglia è stata vinta, che il combattimento è passato. Il Signore Gesù rimette la Sua vita a Colui che Egli chiama: “Padre”.

Nelle tue mani: Questo ci parla di sicurezza, di certezza. Per tutto il tempo del Suo arresto del Suo processo, della Sua condanna e della Sua crocifissione, il Signore Gesù si è volontariamente dato “nelle mani” dell’uomo. Quante volte nella Sua vita ha detto che il Figlio dell’Uomo stava per essere dato “nelle mani dei peccatori”, “nelle mani degli uomini”, ”nelle mani dei capi sacerdoti e degli scribi”. Pilato Gli dirà: “La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo _nelle mie _mani”. Gli uomini con le loro mani Lo hanno arrestato, percosso, flagellato, Gli hanno posto sul capo una corona di spine, Lo hanno inchiodato sulla croce. Hanno fatto tutto quello che delle mani malvagie avrebbero potuto fare e il Signore Gesù è stato in silenzio, non si è ribellato. Ma al termine della Sua vita le mani che ha davanti sono quelle del Padre, di Colui che è potente, che è forte, che dà sicurezza, che è pieno di tenerezza e d’amore e che è pronto ad accoglierLo essendo perfettamente compiaciuto dalla Sua opera.

Io rimetto: La parola “rimetto” ha il significato di depositare qualcosa di valore in un luogo sicuro.
Ma questo momento ci parla anche di volontà, di autorità. Il fatto che Egli abbia gridato a gran voce ci evidenzia che, nonostante le indicibili sofferenze, aveva il pieno controllo delle proprie facoltà.

Il mio spirito: Di lì a poco il Suo corpo sarebbe stato tolto dalla croce e deposto in un sepolcro, il Signore Gesù rimette la Sua vita al Padre. Dov’è andato lo spirito del Signore dopo la Sua morte? Gli uomini hanno formulato tante teorie. Noi rispondiamo in due parole: “In paradiso”, secondo quello che il Signore ha detto al ladrone sulla croce “io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso” (Luca 23:43).
Dopo il grido a gran voce avvennero dei fatti straordinari: “Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò le rocce si schiantarono, le tombe s’aprirono e molti corpi dei santi, che dormivano, risuscitarono; e, usciti dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, entrarono nella città santa e apparvero a molti”.
Di questi tre fatti uno è riportato in tre evangeli Matteo, Marco e Luca: la cortina del tempio che si squarcia. Questo avvenimento ha un significato e una portata straordinaria. Perché?

Una barriera rimossa.
Nel tempio tutto parlava di distacco, di distanza.
Per quanto riguarda il popolo d’Israele nel tabernacolo prima e nel tempio poi:
-               Solo un uomo poteva avere accesso al Luogo Santissimo: il Sommo Sacerdote;
-               Egli poteva entrare nel Luogo Santissimo solo un giorno all’anno: il giorno delle Espiazioni;
-               Doveva indossare dei paramenti (vestiti) stabiliti;
-               Poteva indossarli solo dopo essersi lavato con acqua;
-               Doveva entrare col sangue della vittima stabilita;
-               Doveva aspergere il sangue sul propiziatorio, ecc., ecc., …

Se qualcuno di questi elementi non fosse stato rispettato vi sarebbe stata la morte. Vi era una barriera che impediva il libero accesso alla presenza di Dio. Al momento del grido del Calvario, questa cortina viene stracciata da cima a fondo, significando con questo che è stato Dio a rimuoverla e che questo accesso non era più impedito.

Una strada aperta
Se la barriera è rimossa, abbiamo libertà di accesso: “… avendo dunque fratelli libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù, per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne” (Ebrei 10:19-20).
Abbiamo un accesso diretto a Dio sulla base del sangue del Signore Gesù, questa libertà è per il tempo attuale e ha una prospettiva futura.
Se paragoniamo la situazione attuale rispetto a ciò che avveniva nel sistema sacerdotale, possiamo dire che è una nuova via e siccome il Signore Gesù è risuscitato dai morti questa via è vivente!

L’opera è compiuta, Dio è glorificato, può salvare il peccatore, perdonare le sue colpe, grazie al sacrificio di Cristo.
Non ci sono più barriere tra Dio e l’uomo ma c’è una via di accesso grazie al sacrificio del Signore Gesù.


“Egli dice: “è fatto” e grida,
il santo volto china
ed ecco che dall’alto si squarcia la cortina;
netti perfetti e giusti
 da ogni condanna assolti
nel santo luogo entriamo dal Dio di luce accolti”