Allora
(Gesù) disse loro: “L’anima mia è
oppressa da tristezza mortale”.
Matteo 26:38
“Ora, l’animo mio è
turbato; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora?”
Giovanni 12:27.
“Turbato, oppresso da tristezza mortale…”
Così
è stato per il nostro prezioso Salvatore quando giunse di fronte a “quell’ora”,
cioè l’ora della croce. Là, nell’orto di Getsemani, ne ha realizzato in
anticipo tutto l’orrore. Era solo, perché i discepoli che aveva condotto con sé
si erano addormentati “per la tristezza” (Luca 22:45), e aveva pregato: “Padre
mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio
io, ma come tu vuoi” (Matteo 26:39).
Quel
calice era la somma delle sofferenze che il Signore Gesù doveva attraversare;
infatti, per compiere la volontà di Dio, stava per subire sulla croce il
castigo dei nostri peccati.
Dobbiamo
considerare seriamente queste cose. Ciò che opprimeva l’anima del Signore non
era solo la prospettiva delle sofferenze e della morte, e l’ingiustizia che
doveva subire da parte degli uomini. Ma, cosciente come soltanto Lui poteva
esserlo – Lui che “non ha conosciuto peccato” (2 Corinzi 5:21) - di tutto
l’orrore del peccato agli occhi di Dio, doveva accettare di essere trattato come il peccato merita di essere
trattato dal Dio santo e giusto. Ecco di cosa è fatto il suo insondabile
dolore, tant’è che, in quel momento terribile, “gli apparve un angelo dal cielo
per rafforzarlo” (Luca 22:43).