Saranno rimasti un po’
imbarazzati i discepoli a questa domanda del Signore. Eppure un’idea dovevano
pure averla. Era stato facile per loro riferire il pensiero degli altri:
“Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei
profeti”. Tante teste, tante idee. Soprattutto, tanta colpevole ignoranza in un
popolo che avrebbe dovuto conoscere le Scritture e aver custodito con cura la
rivelazione del pensiero di Dio. Ma loro, avevano delle convinzioni precise? La
domanda era chiara e solenne. Voi che mi seguite, che udite i miei
insegnamenti, che siete spettatori dei miei miracoli... voi, chi dite che io
sia? Penso che ci sia stato qualche attimo di silenzio prima che Pietro, col
suo solito ardire, dicesse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
Possibile che Pietro sia arrivato a tanto? Che avesse capito così bene chi
fosse il Signore? Leggendo i Vangeli si direbbe che i discepoli abbiano
“creduto” varie volte. In Giovanni 2:11, dopo il miracolo della trasformazione
dell’acqua in vino alle nozze di Cana, è detto che “i suoi discepoli credettero
in Lui”, Ma quando placa la tempesta sul Mar di Galilea si stupiscono e si
chiedono l’un l’altro: “Chi è dunque costui al quale persino il vento ed il
mare ubbidiscono?” (Matteo 14:33).
Poco dopo, una notte, il Signore
va incontro a loro camminando sul mare. Subito si spaventano credendo di vedere
un fantasma. Ma, constatato che era veramente Lui, si tranquillizzano, e Pietro
vuole andargli incontro, camminando sull’acqua. E finché la “fede” lo sostiene,
ci riesce. Che miracolo! Che grande Signore! Stupiti e ammirati si prostrano
davanti a Lui e dicono: “Veramente tu sei Figlio di Dio”. Ma non lo sapevano
già? Forse si, però non ne erano tanto convinti.
Passano i giorni, e il Signore
compie un altro dei suoi miracoli. Con sette pani e “pochi pesciolini” dà da
mangiare a “quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini” (Matteo
15:32-38)! Chi può compiere un tale miracolo se non Dio? Ma la memoria è corta
e il cuore indurito. Parlando del lievito dei Farisei, il Signore deve dire
loro: “Non riflettere e non capite ancora? Avete il cuore indurito? E non vi
ricordate? Quando io spezzai i cinque pani per i cinquemila, quante ceste di
pezzi raccoglieste?... Non capite ancora?” (Marco 8:17-21).
Alla trasfigurazione, Pietro, per
così dire, mette il Signore sullo stesso piano di Mosè e di Elia, proponendo di
fare una tenda per uno; e Dio deve intervenire dal cielo indicando il Signore
come “suo diletto Figlio”, il solo che dovesse essere ascoltato. Eppure,
proprio lui aveva dichiarato con enfasi: “Signore, da chi andremo noi? Tu hai
parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il
Santo di Dio” (Giov. 6:68-69).
Nonostante queste convinzioni,
nell’orto di Getsemani Pietro sguaina la spada per difendere il Signore dai
nemici che lo assalgono, senza pensare che Lui, in qualità di Figlio di Dio,
avrebbe potuto pregare il Padre che gli avrebbe mandato, in quell’istante, “più
di dodici legioni di angeli” (Matteo 26:53).
Anche dopo la sua risurrezione, i
due discepoli sulla strada per Emmaus dicono sconsolati: “Noi speravamo che
fosse lui...” (Luca 24:21).
La loro fede nel Signore aveva
sempre bisogno di nuove conferme, di nuove esperienze; è vero, non avevano
ancora ricevuto la potenza dall’alto, lo Spirito “della verità”, che “scruta le
profondità di Dio” (1 Cor. 2:10), che prende le cose di Cristo per annunciarle
ai credenti (Giov. 16:13), E’ per Lui che noi oggi conosciamo Dio come Padre
(Rom. 8:16), ed è Lui che, nello stesso tempo, “attesta insieme con il nostro
spirito che siamo figli di Dio”. Ma c’era anche poca conoscenza delle
Scritture, c’erano idee preconcette, c’era quella debolezza umana che
constatiamo anche in noi stessi.
Alla domanda del Signore,
comunque, Pietro dà la risposta giusta e, sembra, con una buona dose di
convinzione. Ma non veniva da lui. Non era stata la sua intelligenza, il suo
livello di comprensione, la sua maturità, la sua conoscenza, a fargli
comprendere che il Signore Gesù era “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Era
stata una rivelazione del “Padre che è nei cieli”; e per questo Simone, figlio
di Giona, era “beato”.
Chi dite che io sia? La domanda
viene rivolta ancora oggi ad ognuno, uomo o donna, grande o piccolo, colto o
ignorante. Un Cristo semplicemente uomo non potrebbe salvare altri. E nemmeno
un Cristo profeta. Solo Dio può salvare la sua creatura e, per fare questo,
“per condurre molti figli alla gloria”, ha dovuto mandare il proprio Figlio che
ha partecipato alla “carne e al sangue” (Ebrei 2:14-17) divenendo così “simile
in ogni cosa ai suoi fratelli”.
Quando è venuto al mondo, in casa
sua, fra i Giudei, non è stato ricevuto perché non è stato riconosciuto per
quello che era. “Non è il figlio del falegname? - dicevano - E’ un uomo per
bene. No, sobilla le folle”, “E’ un posseduto... “. Quando l’Eterno aveva
mandato la manna nel deserto, gli Ebrei l’hanno chiamata manna, che significa
“che cos’è?”. Quando è venuto il “vero pane che scende dal cielo e dà la vita
agli uomini” è successa la stessa cosa: “Chi è costui?”. Solo una fede vera e
un vero amore per Dio poteva far riconoscere il Figlio, perché il Dio “che è nei
cieli”, a che ha fede e amore, rivela i suoi misteri.
Non si può credere al Signore
come piace a noi. Dio ce lo presenta come suo Figlio ed è così che dobbiamo
riceverlo. Ci dice che era senza peccato, e che non ha né conosciuto né
commesso peccato; e così noi lo crediamo. A salvarci è la fede nel Cristo del
Nuovo Testamento ricevuto per quello che è, nella sua natura e nella sua opera,
esattamente come lo Spirito ha voluto rivelarcelo, senza i ritocchi o gli
aggiustamenti che la ragione e la logica umana vorrebbero apportare.
Ma anche noi che abbiamo
fermamente creduto in Lui e lo abbiamo ricevuto come nostro Salvatore a volte
siamo colti dal dubbio, esattamente come i discepoli. Quando preghiamo il
Signore per molto tempo e non otteniamo risposta ci sembra che sia stato sordo
alle nostre suppliche; eppure, non ha detto che ascolta le nostre preghiere?
Non ha detto che se preghiamo con fede otterremo? Quante volte ci sentiamo soli
ad affrontare situazioni tristi e difficili, e ci verrebbe da dire: “Il Signore
mi ha abbandonato”; eppure non ha
promesso che sarà con noi fino alla fine? Certe prove sono così pesanti che ci
sembra che superino la nostra capacità di sopportazione; eppure, non ha il
Signore promesso che non saremo provati al di là delle nostre forze?
La nostra fede nel Signore
dovrebbe prescindere dalle circostanze e dalle situazioni della vita. Egli è
per noi tutto quello che ha detto di essere. La sua fedeltà non viene
certamente meno, le sue promesse le manterrà sicuramente; al momento opportuno
interverrà, risponderà, si farà sentire presente con tutta la potenza del suo
amore. E se poi, a causa di dure e prolungate sofferenze ci ha preso lo
scoraggiamento e siamo assaliti da dubbi, Lui ci comprende ed è pronto a
consolarci, perché anche questo ha detto che l’avrebbe fatto. “Allora gli
apostoli dissero al Signore: Aumentaci la fede” (Luca 17:5). Non possiamo fare
anche noi questa preghiera?
A. Apicella