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mercoledì 31 dicembre 2014

“E voi chi dite che io sia?” (Matteo 16:13-17)

Saranno rimasti un po’ imbarazzati i discepoli a questa domanda del Signore. Eppure un’idea dovevano pure averla. Era stato facile per loro riferire il pensiero degli altri: “Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti”. Tante teste, tante idee. Soprattutto, tanta colpevole ignoranza in un popolo che avrebbe dovuto conoscere le Scritture e aver custodito con cura la rivelazione del pensiero di Dio. Ma loro, avevano delle convinzioni precise? La domanda era chiara e solenne. Voi che mi seguite, che udite i miei insegnamenti, che siete spettatori dei miei miracoli... voi, chi dite che io sia? Penso che ci sia stato qualche attimo di silenzio prima che Pietro, col suo solito ardire, dicesse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Possibile che Pietro sia arrivato a tanto? Che avesse capito così bene chi fosse il Signore? Leggendo i Vangeli si direbbe che i discepoli abbiano “creduto” varie volte. In Giovanni 2:11, dopo il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana, è detto che “i suoi discepoli credettero in Lui”, Ma quando placa la tempesta sul Mar di Galilea si stupiscono e si chiedono l’un l’altro: “Chi è dunque costui al quale persino il vento ed il mare ubbidiscono?” (Matteo 14:33).
Poco dopo, una notte, il Signore va incontro a loro camminando sul mare. Subito si spaventano credendo di vedere un fantasma. Ma, constatato che era veramente Lui, si tranquillizzano, e Pietro vuole andargli incontro, camminando sull’acqua. E finché la “fede” lo sostiene, ci riesce. Che miracolo! Che grande Signore! Stupiti e ammirati si prostrano davanti a Lui e dicono: “Veramente tu sei Figlio di Dio”. Ma non lo sapevano già? Forse si, però non ne erano tanto convinti.

Passano i giorni, e il Signore compie un altro dei suoi miracoli. Con sette pani e “pochi pesciolini” dà da mangiare a “quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini” (Matteo 15:32-38)! Chi può compiere un tale miracolo se non Dio? Ma la memoria è corta e il cuore indurito. Parlando del lievito dei Farisei, il Signore deve dire loro: “Non riflettere e non capite ancora? Avete il cuore indurito? E non vi ricordate? Quando io spezzai i cinque pani per i cinquemila, quante ceste di pezzi raccoglieste?... Non capite ancora?” (Marco 8:17-21).
Alla trasfigurazione, Pietro, per così dire, mette il Signore sullo stesso piano di Mosè e di Elia, proponendo di fare una tenda per uno; e Dio deve intervenire dal cielo indicando il Signore come “suo diletto Figlio”, il solo che dovesse essere ascoltato. Eppure, proprio lui aveva dichiarato con enfasi: “Signore, da chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Giov. 6:68-69).
Nonostante queste convinzioni, nell’orto di Getsemani Pietro sguaina la spada per difendere il Signore dai nemici che lo assalgono, senza pensare che Lui, in qualità di Figlio di Dio, avrebbe potuto pregare il Padre che gli avrebbe mandato, in quell’istante, “più di dodici legioni di angeli” (Matteo 26:53).
Anche dopo la sua risurrezione, i due discepoli sulla strada per Emmaus dicono sconsolati: “Noi speravamo che fosse lui...” (Luca 24:21).

La loro fede nel Signore aveva sempre bisogno di nuove conferme, di nuove esperienze; è vero, non avevano ancora ricevuto la potenza dall’alto, lo Spirito “della verità”, che “scruta le profondità di Dio” (1 Cor. 2:10), che prende le cose di Cristo per annunciarle ai credenti (Giov. 16:13), E’ per Lui che noi oggi conosciamo Dio come Padre (Rom. 8:16), ed è Lui che, nello stesso tempo, “attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio”. Ma c’era anche poca conoscenza delle Scritture, c’erano idee preconcette, c’era quella debolezza umana che constatiamo anche in noi stessi.
Alla domanda del Signore, comunque, Pietro dà la risposta giusta e, sembra, con una buona dose di convinzione. Ma non veniva da lui. Non era stata la sua intelligenza, il suo livello di comprensione, la sua maturità, la sua conoscenza, a fargli comprendere che il Signore Gesù era “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Era stata una rivelazione del “Padre che è nei cieli”; e per questo Simone, figlio di Giona, era “beato”.
Chi dite che io sia? La domanda viene rivolta ancora oggi ad ognuno, uomo o donna, grande o piccolo, colto o ignorante. Un Cristo semplicemente uomo non potrebbe salvare altri. E nemmeno un Cristo profeta. Solo Dio può salvare la sua creatura e, per fare questo, “per condurre molti figli alla gloria”, ha dovuto mandare il proprio Figlio che ha partecipato alla “carne e al sangue” (Ebrei 2:14-17) divenendo così “simile in ogni cosa ai suoi fratelli”.
Quando è venuto al mondo, in casa sua, fra i Giudei, non è stato ricevuto perché non è stato riconosciuto per quello che era. “Non è il figlio del falegname? - dicevano - E’ un uomo per bene. No, sobilla le folle”, “E’ un posseduto... “. Quando l’Eterno aveva mandato la manna nel deserto, gli Ebrei l’hanno chiamata manna, che significa “che cos’è?”. Quando è venuto il “vero pane che scende dal cielo e dà la vita agli uomini” è successa la stessa cosa: “Chi è costui?”. Solo una fede vera e un vero amore per Dio poteva far riconoscere il Figlio, perché il Dio “che è nei cieli”, a che ha fede e amore, rivela i suoi misteri.

Non si può credere al Signore come piace a noi. Dio ce lo presenta come suo Figlio ed è così che dobbiamo riceverlo. Ci dice che era senza peccato, e che non ha né conosciuto né commesso peccato; e così noi lo crediamo. A salvarci è la fede nel Cristo del Nuovo Testamento ricevuto per quello che è, nella sua natura e nella sua opera, esattamente come lo Spirito ha voluto rivelarcelo, senza i ritocchi o gli aggiustamenti che la ragione e la logica umana vorrebbero apportare.
Ma anche noi che abbiamo fermamente creduto in Lui e lo abbiamo ricevuto come nostro Salvatore a volte siamo colti dal dubbio, esattamente come i discepoli. Quando preghiamo il Signore per molto tempo e non otteniamo risposta ci sembra che sia stato sordo alle nostre suppliche; eppure, non ha detto che ascolta le nostre preghiere? Non ha detto che se preghiamo con fede otterremo? Quante volte ci sentiamo soli ad affrontare situazioni tristi e difficili, e ci verrebbe da dire: “Il Signore mi ha  abbandonato”; eppure non ha promesso che sarà con noi fino alla fine? Certe prove sono così pesanti che ci sembra che superino la nostra capacità di sopportazione; eppure, non ha il Signore promesso che non saremo provati al di là delle nostre forze?

La nostra fede nel Signore dovrebbe prescindere dalle circostanze e dalle situazioni della vita. Egli è per noi tutto quello che ha detto di essere. La sua fedeltà non viene certamente meno, le sue promesse le manterrà sicuramente; al momento opportuno interverrà, risponderà, si farà sentire presente con tutta la potenza del suo amore. E se poi, a causa di dure e prolungate sofferenze ci ha preso lo scoraggiamento e siamo assaliti da dubbi, Lui ci comprende ed è pronto a consolarci, perché anche questo ha detto che l’avrebbe fatto. “Allora gli apostoli dissero al Signore: Aumentaci la fede” (Luca 17:5). Non possiamo fare anche noi questa preghiera?

A. Apicella