Tre volte, nel Vangelo di
Giovanni, il Signore usa l'aggettivo "innalzato" (o
"elevato") alludendo alla sua morte sulla croce. E questo può
stupirci in quanto una simile espressione sembra più adatta a descrivere un
onore, un riconoscimento, un'alta posizione, piuttosto che un'umiliazione come
quella della crocifissione. Non per niente Giovanni, intuendo la difficoltà, ci
tiene a precisare che il Signore "così diceva per significare di qual
morte doveva morire" (12:33).
"In Filippesi 2:6-8 Paolo
scrive che il Signore "annichilì se stesso prendendo forma di servo, e
divenendo simile agli uomini; ed essendo trovato nell'esteriore come un uomo, abbassò
se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte della croce ". Lui, il Messia, il vero re dei Giudei, non
meritava certo una croce. Il popolo avrebbe dovuto accoglierlo a braccia
aperte, portarlo in trionfo, acclamarlo con grida di gioia, farlo sedere in
alto, al di sopra di tutti, su un trono di gloria. Invece, fu condannato a
morte come un malfattore. La crocifissione fu un affronto orribile fatto alla
sua santa Persona, un segnale evidente del disprezzo e dell'odio che covava nel
cuore degli uomini nei confronti Dio.
Nessun apostolo ha detto o scritto che Gesù è
stato "innalzato" sulla croce. Invece, il giorno della Pentecoste,
Pietro proclama ad alta voce, di fronte alle migliaia di Ebrei che si erano
radunati, che "Gesù è stato esaltato
(o innalzato; il termine è il medesimo nell'originale) alla destra di Dio"
(Atti 2:33), e lo ripete nel discorso del cap. 5: "Iddio lo ha esaltato con la sua destra,
costituendolo Principe e Salvatore" (v.31). E' vero. "Dio lo ha
sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome...
affinché ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore" (Fil.2:9-11).
Eppure il Signore disse di Sé che
sarebbe stato "innalzato", riferendosi alla sua morte in croce, e lo
disse in tre occasioni precise e molto significative.
1. "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato" (Giovanni
3:14).
Nicodemo non aveva capito. L'idea
di dover "nascere di nuovo" gli sembrava assurda. "Come può un
uomo nascere quando è vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel seno di
sua madre e nascere?". Umanamente, l'obiezione era giustificata; ma il
Signore parlava di un'altra "nascita", della quale non bisognava
meravigliarsi in quanto sarebbe stata opera dello Spirito, una delle cose
"celesti" (v.12) che la mente umana non può afferrare, ma che la fede
riceve e accetta senza alcuna titubanza.
Ma come comprendere la nuova
nascita senza conoscere prima la croce di Cristo? La croce di Cristo è alla
base di tutta l'opera di Dio, perché solo la sua morte permette a Dio di
perdonare l'uomo peccatore. Nello stesso
tempo, però, è anche l'unico fondamento della fede, perché nessuno sarà mai
perdonato se non crede nel Cristo morto in croce per i suoi peccati.
Così, a un Nicodemo titubante
che, in quanto dottore della legge avrebbe dovuto capire qualcosa ma in quanto
uomo peccatore non poteva ancora comprendere,
il Signore anticipa il mistero della croce. "Bisogna" che il Figliuol
dell'uomo sia innalzato. Dio non aveva altro mezzo. La sua morte era una
necessità nel piano divino di grazia. Elevato, come lo fu il serpente nel
deserto, fatto "peccato" per noi, Gesù Cristo ci libera dall'ira a
venire. "Egli che non commise peccato, ha portato Egli stesso i nostri
peccati nel suo corpo, sul legno" (1 Pietro 2:22-24).
2. "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete
che sono io" (Giovanni 8:28).
I Giudei non avevano capito. Non
avevano capito che Gesù parlava del Padre (v.27) perché non volevano credere
ch'Egli fosse il Cristo proceduto da Lui. La diatriba continua fra i capi dei
Giudei e Cristo verteva proprio su questo fatto. Quaranta volte circa ritorna
in questo Evangelo la frase "Colui che mi ha mandato" o espressioni
equivalenti. E lo stesso Giovanni lo ribadisce nella sua Epistola: "In
questo si è manifestato per noi l'amore di Dio: che Dio ha mandato il suo unigenito Figliuolo nel mondo affinché, per mezzo
di Lui, vivessimo... In questo è l'amore: che Egli ha amato noi e ha mandato il suo Figliuolo per essere
la propiziazione per i nostri peccati... E noi abbiamo veduto e testimoniamo
che il Padre ha mandato il Figliuolo
per essere il Salvatore del mondo" (1 Giov. 4:10:14).
Così, ai Giudei increduli che, in
quanto depositari delle rivelazioni di Dio avrebbero dovuto comprendere, ma in
quanto peccatori e ribelli non erano in grado di afferrare nulla del suo piano
di salvezza, il Signore anticipa il mistero della croce. "Quando avrete
innalzato il Figliuol dell'uomo, allora conoscerete che sono io il Cristo".
L'"Io sono", Colui che era, che è e che sarà, l'Eterno, si è fatto
uomo per amore della sua creatura. Ma ci vuole la croce per capire. La croce è
la chiave per conoscere i misteri di Dio. E solo la fede nella croce di Cristo
rivela la grandezza del Salvatore, la sua provenienza celeste sebbene in un
corpo di uomo, la deità di Colui che è
"sopra tutte le cose, Dio benedetto in eterno" (Rom. 9:5).
3. "E io, quando sarò innalzato dalla terra, trarrò tutti a
me" (Giov.12:32).
La folla non aveva capito. C'era
stata una voce dal cielo, e non era per il Signore, ma per loro (v. 30). Alcuni
dicevano che un angelo gli aveva parlato, altri che era stato un tuono. Il
Signore aveva insegnato che chi lo voleva servire doveva anche seguirlo, e il
Padre l'avrebbe onorato. Ma seguirlo non era cosa da poco. Egli si
rassomigliava a un "granello di frumento" (v. 24) che, caduto in
terra, per portare molto frutto doveva morire. Seguire il Signore è prima di
tutto morire con Lui. "Chi odia
la sua vita in questo mondo la conserverà in vita eterna" (v. 25). La
prima tappa è la croce. E quando diceva "Io trarrò tutti a me"
alludeva proprio a questo. Non c'è vita per noi se prima non c'è la morte. Non
c'è il cielo se prima non c'è la croce. "Ora, se siamo morti con Cristo,
noi crediamo che anche vivremo con Lui" (Rom. 6:8). "Voi moriste, e
la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col. 3:3).
Ma come capire queste cose senza
prima capire la croce di Cristo? Essa sola è la chiave per intendere
quest'altro mistero, quello della nostra
identificazione con Lui, nella sua morte, prima, e poi nella sua
risurrezione. "Poiché, se siamo divenuti una stessa cosa con Lui per una
morte somigliante alla sua, lo saremo anche per una risurrezione simile alla
sua, sapendo questo: che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con Lui,
affinché il corpo del peccato fosse annullato" (Rom. 6:5).
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"Innalzato". Soltanto
perché, sulla croce, era di qualche metro più alto del suolo? Non credo.
"Innalzato" perché, proprio nel più profondo abbassamento, la sua
gloria ha brillato come non mai. Da parte sua, l'uomo, innalzando Cristo sulla
croce, non intendeva certo esaltarlo; anzi, intendeva infliggergli il più
infamante supplizio. Tuttavia la croce lo ha esaltato perché ha fatto risaltare
tutta la grazia e l'amore del Signore, e del Padre che l'aveva mandato. Perché
là, inchiodato su quel legno, attira Ancora oggi lo sguardo stupefatto e ammirato di tutti i credenti.
Il Cristo che soffre e che muore
non è un debole e nemmeno un vinto. "E' stato crocifisso per la sua
debolezza" (2 Corinzi 13:4), nel senso che ha accettato volontariamente di
non far valere i suoi diritti, di lasciarsi uccidere senza reagire, né come
uomo, né come Dio. Ma proprio qui sta la sua grandezza e la sua forza. La forza
dell'amore che soffre ogni cosa e
sopporta ogni cosa per quelli che ama. La grandezza del Dio creatore di tutte
le cose che, con quell'atto supremo, vince il principe di questo mondo e libera
i suoi prigionieri.
Il Signore sulla croce è dunque
veramente "elevato". Elevato per noi che l'abbiamo conosciuto e lo
amiamo. Elevato non per i ragionamenti e la logica umana, ma per la fede, la
sola che può penetrare nella dimensione infinita dell'amore di Dio.
A. Apicella