Giobbe pensa che se potesse comparire davanti a Dio sarebbe riconosciuto
giusto (13:18) ed è ciò che risulterà alla fine della sua storia, ma prima deve
prendere coscienza dei motivi per cui Dio è intervenuto nella sua vita.
Non è un uomo che pensa a Dio per un interesse personale (3), stimando
che vi possa essere, nella pietà, un guadagno per se stesso (Ml 3:14 – 1 Tm
6:5), è solo un uomo che è convinto di avere dei diritti da far valere
(23:10/11).
Eliù rimprovera Giobbe (1) e gli risponde che né servire Dio sulla base
della propria giustizia né il peccato abbassano la gloria di Dio (6/7) ma che
queste hanno solo conseguenze nei confronti degli altri (8).
Come possiamo vivere questa realtà?
Eliù, ci propone tre atteggiamenti:
-
Spesso, messo alla prova dalle circostanze della vita, mi dimentico di
cercare Dio (9/11) pur sapendo che è il mio Creatore e il solo che può
concedermi dei “canti di gioia nella notte”. Lo accuso facilmente e non lo
ringrazio abbastanza per l’aiuto che mi fornisce nel superare la prova;
-
se non vedo subito la risposta alla mia preghiera non mi fermo a riflettere
che questa può non essere conforme alla Sua volontà, che è una “lamentela vana”
(13) fatta secondo il mio desiderio (Gm 4:1/3);
-
forse Dio vuole solo che io sappia aspettare con pazienza la risposta ai
miei bisogni e, per realizzarla, occorre che io sia consapevole che non
dimentica nessuna delle mie richieste (14).
Riteniamo nei nostri cuori queste preziose verità:
-
il nostro Dio non ci abbandonerà mai (Sl 23:4),
-
portiamo a lui ogni nostra richiesta (Fl 4:6),
-
attendiamo con fiducia la
Sua risposta (35:14)!
D.C.