Genesi 41:50-52.
Quando è venuto alla luce il secondogenito, Giuseppe gli ha posto nome Efraim il cui significato letterale è: “doppia fecondità”. In questo caso Giuseppe ha potuto esprimersi in questi termini: “Dio mi ha reso fecondo nel paese della mia afflizione”.
Efraim. Il nome del secondo figlio di Giuseppe ci fornisce un'ulteriore grande lezione. Dio, non solo può far dimenticare le pene e gli affanni, ma è anche capace di renderci fecondi nel paese dell’afflizione. Per Giuseppe questo è avvenuto quando è stato elevato ad un rango sociale elevato, al fatto di aver potuto formarsi una famiglia, di avere avuto dei figli. Credo che per lui “essere fecondo” sia stata anche la forza di glorificare Dio nelle circostanze più avverse che ha dovuto affrontare. Dio era sempre al centro dei suoi pensieri. Qualche esempio? “Come potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?” (Genesi 39:3). Quando è chiamato dal faraone ad interpretare i sogni: “Non sono io, ma sarà Dio che darà al faraone una risposta favorevole” e poi: “Dio ha indicato”, “Dio ha mostrato”, “vuol dire che la cosa è decretata da Dio e che Dio l’eseguirà presto”.
Se trasportiamo tutto questo in campo spirituale per noi, tutto ciò ha una valenza estremamente profonda. Dio nella Sua grazia può trarre del frutto per la propria gloria nelle circostanze che umanamente per noi appaiono le più sfavorevoli. Là dove, secondo i criteri umani, ci potrebbe essere la disperazione la ribellione, la rabbia, lo scoraggiamento più profondo, se viene dimostrata fede, dipendenza e pazienza si possono portare dei frutti meravigliosi per la gloria di Dio che rimarranno per l'eternità. Sono i frutti portati nel paese dell’afflizione. È la valle di Baca che è trasformata in luogo di fonti da coloro che trovano in Dio la loro forza e che hanno a cuore le vie del santuario (Salmo 84:6). È l'albero piantato vicino all'acqua, che distende le sue radici lungo il fiume; e quando viene la calura, il suo fogliame rimane verde; nell'anno della siccità non è in affanno e non cessa di portare frutto (Geremia 17). Non è in affanno perché Dio ha fatto dimenticare gli affanni. È la fede che, messa alla prova, è motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo (1 Pietro 1:7).
“Egli muta il deserto in lago e la terra arida in fonti d’acqua” (Salmo 107:35).
Proseguiamo il cammino con fiducia e fedeltà nella consapevolezza che Dio può calmare il nostro cuore, fasciare le nostre ferite e farci superare il passato in modo che non diventi un ostacolo per il nostro sviluppo spirituale e per il servizio che dobbiamo svolgere per Dio. Potremo constatare che nelle circostanze che ci appaiono le più tristi, dolorose, alle quali spesso non riusciamo a trovare una spiegazione, Dio ci può rendere fecondi, o meglio “doppiamente fecondi”, capaci di portare quel frutto per la Sua gloria che avrà un premio per l'eternità.
Alla fine della sua vita, Giacobbe ha potuto dire che Giuseppe era “un albero fruttifero; un albero fruttifero vicino alla sorgente; i suoi rami si estendono sopra il muro. Gli arcieri lo hanno provocato, gli hanno lanciato frecce, lo hanno perseguitato, ma il suo arco è rimasto saldo; le sue braccia e le sue mani sono state rinforzate dalle mani del Potente di Giacobbe, da colui che è il pastore e la roccia d’Israele, dal Dio di tuo padre che ti aiuterà e dall'Altissimo che ti benedirà con benedizioni del cielo di sopra, con benedizione dell’abisso che giace di sotto, con benedizioni delle mammelle e del grembo materno. Le benedizioni di tuo padre sorpassano le benedizioni dei miei progenitori, fino a raggiungere la cima delle colline eterne. Esse saranno sul capo di Giuseppe sulla fronte del principe dei suoi fratelli” (Genesi 49:23-26).