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lunedì 1 febbraio 2021

Daniele continuò così…

Daniele, un giovane Giudeo di stirpe reale, fu deportato a Babilonia con altre migliaia di Giudei, e lì fu scelto insieme ad altri compagni per essere istruito per un periodo di tre anni e poter essere introdotto al servizio del re. Avrebbe avuto una razione giornaliera dei cibi e dei vini della tavola del re. 

Daniele, però, prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con quelle vivande e bevande e chiese la possibilità di non essere obbligato a contaminarsi. E realizzò che Dio è capace di appianare i sentieri ai suoi fedeli anche nelle situazioni più difficili (Proverbi 3:5-6).

Ecco quali potevano essere i motivi di contaminazione e che cosa si doveva evitare:

- carni che potevano essere state sacrificate agli idoli, cioè ai demoni (Deuteronomio 32:17), oppure di animali definiti  “impuri” secondo la lista di Levitico 11;

- vino e bevande alcoliche, anche se non vi era un chiaro e netto divieto per l’Israelita a questo riguardo. Vi era solo la proibizione di berne per i sacerdoti che si accostavano alle cose sante nella tenda di convegno (Levitico 10:11) o per chi faceva voto di Nazireato.

Queste due privazioni ci fanno pensare che occorre evitare tutto ciò che può essere un pericolo se vogliamo separarci interamente dal mondo per Dio e consacrarci a Lui.

In altre parole, teniamoci alla larga da tutto ciò che può essere “consacrato agli idoli”, da ciò che è impuro dal punto di vista morale o religioso, ma anche da ciò che in se stesso può essere lecito, come il vino, ma il cui utilizzo potrebbe portarci lontano. Ci possiamo ricordare delle parole del profeta Osea che ci dichiara che il vino “toglie il senno”, mentre il libro dei Proverbi aggiunge che chi se ne lascia sopraffare “non è saggio”. Daniele e i suoi amici sono un chiaro esempio di equilibrio e prudenza: meglio fare un passo indietro, piuttosto che concederci delle cose lecite il cui utilizzo, se ce ne lasciamo sopraffare, può farci cadere. Non fidiamoci troppo di noi stessi o della nostra presunta spiritualità; siamo prudenti.

La maggior parte delle volte che si esaminano questo brano e la storia di Daniele, si traggono delle esortazioni e degli insegnamenti da rivolgere in via quasi esclusiva ai giovani, essendo Daniele in quel momento un ragazzo. Vi è però un versetto alla fine del cap. 1 che potrebbe essere considerato come una semplice annotazione storica, ma che, invece, ha una sua valenza spirituale che ci apre degli orizzonti interessanti da esaminare.

“Daniele continuò così fino al primo anno del re Ciro” (1:21). Abbiamo già detto che l’inizio del capitolo ci narra della prima fase della deportazione del regno di Giuda a Babilonia avvenuta all’inizio del regno di Nabucodonosor (cfr 2:1). Da un punto di vista storico ciò è databile al 605 a. C.. La fine del capitolo 1, con il richiamo sopra menzionato, ci trasporta secondo i riferimenti storici a nostra disposizione verosimilmente al 539 a. C.. Questo indica un arco temporale di oltre 65 anni, in altre parole una vita intera. L’insegnamento più immediato che possiamo trarre da questo passo credo sia il seguente: Daniele, così come aveva cominciato in gioventù con un cuore risoluto a seguire Dio, ha continuato nello stesso modo per tutta la sua vita. Che grande esempio per noi!

La Parola, nella prosecuzione del racconto della vita di questo profeta, evidenzia alcuni fatti di questo cammino di consacrazione a Dio durato tutta la vita. Ne vorrei esaminare brevemente due:

- Durante il regno di Baldassar, al cap. 5, ci è descritto un banchetto. E’ parlato di vino che doveva essere bevuto nei vasi d’oro e d’argento presi dal tempio di Gerusalemme. A questo banchetto il re aveva invitato mille dei suoi grandi, le sue mogli, le sue concubine: un vero e proprio festino pagano in piena regola dove si poteva dare sfogo ai “piaceri della carne”. 

Per collegarci a quanto detto prima ci si può domandare: che male c’è nel bere un po’ di vino? Ma l’episodio di questo festino ci fa capire che in alcuni ambiti ci si può spingere ben oltre. Il v. 4 del cap. 5 ci dice che i convitati “bevvero il vino e lodarono gli dei d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro e di pietra”. E Daniele dov’era? Lui che era stato innalzato a capo supremo di tutti i saggi di Babilonia (2:48) e che quindi a buon diritto poteva essere annoverato tra i mille grandi del regno di Baldassar? Daniele è assente, non si associa a queste manifestazioni del mondo. Viene mandato a chiamare per risolvere l’enigma della scritta sul muro. 

Forse oggi nei nostri paesi non ci sono dei banchetti pagani di questo tipo, ma possiamo chiedere al Signore che ci dia la forza di non lasciarci coinvolgere in manifestazioni tipiche di questo mondo: party, feste, cene dove ci sono “le persone che contano” e nelle quali alla fine si lodano e si esaltano i moderni idoli: soldi, successo e sesso. Chiediamo al Signore di essere preservati da cadute; e lo facciano in particolare quei credenti che hanno una posizione di rango nella società. Per certe occasioni, evitiamo di associarci, con il cuore, al mondo e vegliamo in preghiera affinché i nostri cuori siano preservati dal bramare o concupire quei piaceri e quelle posizioni che oggi, attraverso i mass media, ci vengono presentate come modelli a cui tendere. Daniele ci dimostra che il credente può occupare una posizione di prestigio nel mondo, se tale è la volontà di Dio, e allo stesso tempo  rimanere fermo nell’ubbidienza alla Sua volontà.

- Il secondo episodio lo troviamo al cap. 6 e ci trasporta nel regno di Ciro, sotto il luogotenente Dario il Medo (probabilmente re dei  Caldei).

Daniele fu nominato nella triade di capi dei satrapi e il re pensava addirittura di stabilirlo sopra il suo regno. Questo fece nascere l’invidia negli altri i quali cercarono delle occasioni per accusarlo e metterlo così in cattiva luce davanti al re. Ma non potevano trovare alcun elemento di riprensione “perché egli era fedele e non c’era in lui alcuna mancanza da potergli rimproverare”. Allora l’attacco da parte del mondo riguarda il lato della fede: un decreto immutabile e irrevocabile con il quale si faceva divieto di fare richieste a qualsiasi Dio o uomo tranne che al re.

Daniele cosa fece quando seppe questo? “Andò a casa sua e pregava e ringraziava tre volte al giorno il suo Dio, in ginocchio con le finestre aperte rivolto verso Gerusalemme”. La parola ci sottolinea che questa era una sua abitudine perché dice: “come era solito fare anche prima”! Daniele era un uomo perseverante nella preghiera. Una vita di consacrazione e di servizio a Dio non può prescindere da una reale comunione e dipendenza da Dio vissuta in preghiera.


Alcune considerazioni di ordine pratico:

Il fatto di essere credenti non vuol dire necessariamente che bisogna rinunciare ad una posizione prestigiosa in ambito lavorativo. Anzi, in alcuni casi, la serietà, l’onestà e l’impegno nel lavoro da parte dei credenti, “che non servono i padroni soltanto quando li vedono” (Colossesi 3:22), può portare ad una rapida ascesa. I tre capi del regno di Dario avevano la funzione di controllare i satrapi perché “il re non dovesse subire alcun danno” (6:2). Dario si poteva fidare di Daniele. E’ una cosa che rende onore a Dio il fatto che anche i nostri padroni o i nostri capi si possano fidare di noi.

Daniele era stato già proclamato “per una notte” terzo nel regno di Baldassar, benché avesse rifiutato tale carica (5:16, 29). Poi ci fu uno sconvolgimento politico, ma dopo poco tempo il profeta si trovò ad essere di nuovo tra i primi tre del regno! Anche oggi nelle nostre occupazioni, nelle aziende nelle quali lavoriamo, possono esserci dei grandi sconvolgimenti e questo può essere fonte di preoccupazione; ma il Signore controlla la situazione! Baldassar aveva promesso a Daniele che sarebbe diventato terzo nel suo regno. Quella stessa notte il regno cadde e passò ai Medo-Persiani. Ebbene, nonostante il cambiamento di governo, il cap. 6 evidenzia che Daniele era uno dei tre capi e che, considerato il suo operato, “il re pensava di stabilirlo su tutto il regno”.  

Daniele in quel momento aveva una posizione di assoluto rilievo e non aveva rinunciato agli incarichi che gli erano stati affidati per “servire Dio a tempo pieno”. Ciononostante, le sue priorità erano ben chiare: la sua vita non poteva prescindere da un triplice appuntamento quotidiano con Dio in preghiera. Quali sono le nostre priorità? Riteniamo indispensabile dedicare uno spazio delle nostre giornate alle cose di Dio? Oppure, occupazioni meno importanti e impegnative di quelle di Daniele, alle quali però ci dedichiamo con tutte le nostre forze, diventano un ostacolo ad una vita di comunione e dipendenza? 

Nel capitolo 6 lo stesso re Dario afferma per ben due volte che Daniele serviva Dio con perseveranza (v. 16 e 20). Perseveranza, santificazione, preghiera sono elementi essenziali per fare dei progressi nella vita di fede.

Daniele anche in questa circostanza ha potuto sperimentare la fedeltà di Dio e la Sua potenza nella grande liberazione che ha ricevuto. Il re ha dovuto riconoscere che era Dio ad averlo liberato dalle fauci dei leoni, e questa grande prova fu un’occasione attraverso la quale Dio fu glorificato (6:25-28). “Daniele prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro il Persiano” (6:28).

Un’ultima annotazione. Al cap. 9 leggiamo che nel primo anno di Dario (e quindi di Ciro) “…il primo anno del suo regno, io Daniele, meditando sui libri, vidi che il numero degli anni di cui il SIGNORE aveva parlato al profeta Geremia e durante i quali Gerusalemme doveva essere in rovina, era di settant’anni”. In questa circostanza viene evidenziata un’altra caratteristica del profeta: la lettura della Parola di Dio. Non una lettura distratta, ma una meditazione fatta col cuore. In questo modo Daniele si è reso conto che il tempo della deportazione per il popolo di Dio stava per terminare (cfr. Esdra 1:1-4). Allora, si mise nuovamente in preghiera. Una preghiera meravigliosa di umiliazione, nella quale egli si associa al suo popolo,  fa appello alla misericordia e alla fedeltà di Dio e gli chiede “per amor tuo, SIGNORE, fa risplendere il tuo volto sul tuo santuario che è desolato!”.

Quanto è importante che facciamo nostra anche questa attitudine: leggere con costanza la Parola di Dio e meditarla in preghiera per comprendere quali siano i pensieri di Dio. Facendo come Daniele, che poté constatare che il tempo della deportazione stava per terminare, anche noi potremo toccare con mano la realizzazione delle promesse divine, il loro compimento, la realtà e la verità della Parola di Dio. Questo brano, per inciso, ci dà una ulteriore evidenza indiretta dell’ispirazione delle Sacre Scritture e della loro autorità.

Chiediamo al Signore la forza per poter imitare i caratteri di questo grande profeta: separazione da ogni contaminazione di carne e di spirito, un servizio fatto con perseveranza che porta gloria al Suo nome, una vita di preghiera regolare che non si ferma neanche di fronte a divieti, una lettura attenta della Sua Parola.

Che questo sia il programma della nostra vita, dalla gioventù alla canizie, affinché al termine del nostro soggiorno terreno possa essere detto anche a noi: “Tu avviati verso la fine; tu ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei tempi”.


C. Casarotta