Il Signore si trova in una Sinagoga, un luogo dove
ci si aspetterebbe di trovare persone timorate di Dio interessate ad ascoltare
le Scritture per conoscere l’amore di Dio e disponibili le une verso le altre
nel praticare il bene.
In quella circostanza è presente una povera donna
inferma da diciotto anni. Curva, incapace di raddrizzarsi, come rischiamo di
essere noi quando i nostri sguardi sono rivolti verso le cose della terra o
quando ci ostiniamo a portare dei pesi che il Signore vorrebbe portare per noi.
Tuttavia, “il SIGNORE rialza gli oppressi”
perché vuole che “camminiamo a testa alta”
(Sl 146:8 – Le 26:13).
Il Signore la chiama a Sé e la guarisce incurante
delle reazioni che tale fatto susciterà.
Ancora una volta un miracolo serve da pretesto ai Suoi avversari e, il capo
della Sinagoga, è il primo ad indignarsi perché questo miracolo è stato fatto
in giorno di Sabato.
Lo zelo esteriore per le ordinanze della legge, la
mancanza di amore, l’ipocrisia avrebbero preferito che questa donna rimanesse
ancora curva sotto il peso della sua infermità, ma Il Signore interviene cogliendo
l’occasione per coprire di vergogna i Suoi avversari e rallegrare gli altri per
le opere che compiva.
Facciamo attenzione a come reagiamo di fronte alla
grazia di Dio. Essa interviene ed opera in ogni momento. Sappiamo sempre
rallegrarci quando vediamo con quale cura il Signore interviene nella vita dei
Suoi riscattati? Se qualche volta troviamo che l’intervento divino nella vita
degli altri sia “inopportuno”, forse, non abbiamo il pensiero del Signore.
Facciamo
attenzione dall’avere più cura di ciò che possediamo piuttosto che dell’amore
verso le anime perché il Signore ci coprirebbe di vergogna, sappiamoci
rallegrare della Sua infinita misericordia.
D.C.