Il Signore prosegue il viaggio verso Gerusalemme e
insegna in ogni città e villaggio che attraversa. Momento solenne per chi
ascolta: forse è l’ultima volta che il Signore passa di là e uno degli
ascoltatori chiede, forse preoccupato, se i salvati saranno pochi.
La domanda fatta al Signore è molto opportuna ma
ciò che è ancora più importante è di sapere chi sarebbe salvato e come lo
sarebbe stato. Egli risponde dicendo che per entrare occorre uno sforzo, perché
la porta è stretta, che qualcuno cercherà di entrare ma non potrà, che la porta
non rimarrà aperta all’infinito perché
arriverà il momento in cui, il padrone di casa, si alzerà e la chiuderà.
Allora non si tratterà di avere privilegi, di avere
goduto qualche attimo della compagnia del Signore (26) ma della realtà del
cuore e il solo che li legge sentenzia: “io
non so da dove venite” (25), “allontanatevi da me … malfattori” (27).
Occorre che ogni uomo creda col cuore riconoscendo il suo stato di peccato
perché la porta è stretta e non si può passare attraverso di essa con il
fardello dei peccati, ma solo spogliati di tutto ciò che fa l’orgoglio
dell’uomo naturale.
Buone opere, religiosità, sapienza umana e mille
altre cose possono sembrare, in apparenza, un ingresso più facile, ma la porta
stretta di un Cristo crocifisso non dà accesso a chi non si è sbarazzato di
queste cose. Possiamo frequentare dei credenti, partecipare a delle riunioni
cristiane, essere nati da genitori credenti, ma nessuno di questi privilegi ci
permetterà di entrare per quella porta.
Non ci sono due porte come non ci sono due modi per
entrare prima che la porta sia chiusa. Pietro lo ricorda ai Giudei: “in nessun altro è la salvezza; perché non vi
è sotto il cielo altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale
noi dobbiamo essere salvati” (At 4:12).
Questa porta è ancora aperta. È il Signore che ha
aperto questa porta e nessun altro potrà
chiudere ma, quando la chiuderà, nessuno potrà aprirla di nuovo (Ap 3:7).
D.C.