L'Everest è la vetta più alta della terra e si trova nel continente asiatico.
Ogni anno gli avventurieri più in gamba posano gli occhi su quella vetta di 8.848 metri. Ogni anno qualcuno muore nel tentativo di raggiungerla. La cima dell'Everest non è nota per la sua ospitalità, gli scalatori hanno soprannominato la sezione oltre i 7.900 metri “la zona di morte”. Le temperature indugiano sotto gli zero gradi, le tormente sorgono improvvise scatenando folate di neve mista a ghiaccio accecanti, l'aria è carente di ossigeno e la vetta è costellata di cadaveri.
Il mese scorso, uno scalatore britannico era morto durante il tentativo di raggiungere quella vetta, quaranta scalatori che avrebbero potuto aiutarlo scelsero di non farlo, lo oltrepassarono sulla via verso la cima.
Una guida che aveva commentato l'episodio si era limitata a dire che per scalare l'Everest ci voglio mesi di pianificazione, anni di allenamento, costi notevoli per l'equipaggiamento e una energia particolare per compiere quell'impresa. Non si può rinunciare facilmente a tutto ciò, il rischio fa parte dell'impresa.
L'Everest può essere crudele.
Alcuni giorni fa ho letto di un gruppo di scalatori che durante la scalata, in prossimità della cima, avevano trovato e soccorso un alpinista in difficoltà.
Si erano trovati di fronte ad una scelta, abbandonare il loro sogno o abbandonare l'alpinista. Scelsero la prima opzione e tornarono indietro.
La loro decisione di salvare quella vita suscita una grande domanda: Faremmo lo stesso?
Rinunceremmo all'ambizione per salvare qualcuno?
Metteremmo da parte i nostri sogni per soccorrere il nostro prossimo?
Volteremmo le spalle alle nostre “vette personali” affinché un altro possa un ricevere aiuto?
Ogni giorno ci troviamo di fronte a questo genere di biforcazioni, non soltanto sull'Everest con gli altri avventurieri, ma in casa con moglie e figli, sul lavoro con colleghi, a scuola con i compagni, in chiesa con i nostri fratelli e sorelle, ci troviamo regolarmente di fronte a scelte sottili eppure significative e ognuna di esse rientra nella categoria di chi viene prima: gli altri o noi?
Quando un genitore preferisce trascorrere più tempo con i suoi figli rinunciando a un avanzamento in carriera.
Quando la figlia adulta trascorre la sua giornata libera con la madre anziana in geriatria.
Quando rinunci ai sogni personali per il bene degli altri stai, secondo le parole de Signore, rinnegando te stesso: “Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” Matteo 16:24.
Vi è un insegnamento del Signore del quale poco si parla: “Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due” Matteo 5:41.
I soldati romani potevano legittimamente costringere i cittadini ebrei a portare il loro carico per un miglio. Bastava loro un cenno per far uscire un agricoltore dal suo campo o un artigiano dalla sua bottega.
La società del secondo miglio esiste ancora, i suoi membri rinunciano ad ambizioni elevate come l'Everest pur di aiutare uno scalatore esausto a mettersi in salvo.
Sono pronti a fare qualche passo indietro, a inginocchiarsi, a fasciare le ferite a investire tempo e risorse, pur di prestare soccorso. D'altronde hanno avuto un grande esempio: “Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome” Filippesi 2:3-9.
Voglio aiutarvi a riconoscerne i membri. Non indossano distintivi o uniformi, sfoggiano sorrisi perché hanno scoperto il segreto che la gioia si trova in uno sforzo supplementare. La soddisfazione più bella non consiste nello scalare il proprio Everest, ma nell'aiutare gli altri scalatori.
Coloro che appartengono alla società del secondo miglio hanno fatto loro l'affermazione del Signore Gesù: “In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” Atti 20:35.
La vera ricompensa si trova alla fine del secondo miglio e noi siamo chiamati a riguardare a quella.