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domenica 5 giugno 2022

Muri

Nel cap. 49 della Genesi, dove Giacobbe esprime profeticamente quello che sarebbe stato l’avvenire dei suoi figli, vi sono delle belle parole riferite a Giuseppe; di Lui il padre può dire: “Giuseppe è un albero fruttifero; un albero fruttifero vicino a una sorgente; i suoi rami si stendono sopra il muro (o più esattamente: al di là del muro)” Genesi 49:22. Pensando a Giuseppe come ad una bella figura del Signore Gesù quando era sulla terra, possiamo pensare che durante la sua vita Egli sia stato davvero un albero fruttifero piantato vicino a una sorgente; il suo cibo era di fare la volontà di Dio e portare del frutto alla sua gloria. I suoi rami si sono davvero estesi sopra il muro. Vi era un muro che ci separava da Dio e con la sua opera questo è stato superato; vi era un muro di separazione tra Giudei e Gentili, e Lui, sempre per mezzo della sua opera, lo ha abbattuto, e dei due popoli ne ha fatto uno.

Se pensiamo a Giuseppe come ad un credente che in una reale comunione con Dio cresce e porta frutto, le parole di Giacobbe le possiamo applicare a noi e trarne degli insegnamenti.

Normalmente, un muro rappresenta un ostacolo per la crescita di un albero; se l’albero è debole, non radicato, c’è il rischio che il suo sviluppo sia interrotto o deviato; se invece l’albero ha radici profonde riesce a crescere e ad andare oltre il muro. A volte, alberi secolari riescono a fare delle crepe persino nei muri in cemento.

Da un certo punto di vista, la vita di Giuseppe è stata un susseguirsi di “muri”, o prove, nelle quali ha sempre dimostrato di rimanere vicino alla sorgente.

Eccone alcuni.


I muri della cisterna (Genesi 37:12-28)

In questa situazione Giuseppe ha dovuto affrontare un rifiuto totale da parte dei suoi fratelli; si è dovuto rendere conto di non essere per niente accettato dalla propria famiglia, e finì per essere venduto come schiavo. Che cosa difficile da mandare giù, da superare, quando capita di avere rapporti turbolenti coi propri familiari, magari senza avere fatto nulla di male. Anche se la Bibbia non entra in dettagli specifici, sicuramente in quei momenti Giuseppe avrà provato dell’angoscia profonda. Al cap. 42 v. 23 scopriamo, per bocca del suo fratello maggiore Ruben, cosa videro i suoi fratelli: “Vedemmo la sua angoscia quando egli ci supplicava, ma non gli demmo ascolto”. Qualcuno può aver provato delle sensazioni di aridità, di amarezza, di angoscia simili a quelle di Giuseppe; può essersi trovato come in una cisterna senz’acqua, quando l’unica risorsa è fortificarsi nel Signore che darà quanto necessario per superare l’ostacolo. Per bocca di Isaia, Dio dice: “Anche se le madri dimenticassero, non io dimenticherò te” (49:15). Che potente incoraggiamento! Ma tanto più, che motivo di gioia e di riconoscenza verso il Signore dovrebbe avere chi invece, nella propria vita, ha potuto godere le cure, gli incoraggiamenti, l’influenza positiva di una famiglia cristiana.


I muri della casa di Potifar (Genesi 39:1-20)

Da schiavo a maggiordomo di un ufficiale del Faraone, la situazione di Giuseppe si stava raddrizzando. Tutto quello che intraprendeva gli riusciva bene; agli occhi umani poteva sembrare caso, una fatalità, ma la Parola ci afferma che c’era la mano di Dio dietro tutto ciò, e sono convinto che Giuseppe ne fosse consapevole, così come lo era il suo padrone (39:3). Ma in questa situazione positiva ecco subito una prova: le attenzioni ossessive della moglie del suo padrone.

Quante scusanti avrebbe avuto Giuseppe! Giovane, inesperto, lontano da una famiglia che lo aveva rifiutato, in un paese idolatra. Ma come si comporta di fronte alla tentazione: rifiuta (v. 8), non accondiscende (v. 10), fugge (v. 12). Il suo obiettivo principale era quello di non disonorare Dio, di non peccare contro di Lui. Giuseppe avrebbe potuto rimanere “imbrigliato” dal muro della seduzione, ma è riuscito a fuggire a superare l’ostacolo posto sul suo cammino. Il segreto per ottenere la vittoria è rimanere vicino alla Sorgente; solo così si avrà una chiara visione dei pensieri di Dio. “Fuggi le passioni giovanili e ricerca la giustizia, la fede…” (2 Timoteo 2:22). Sicuramente questa scelta risoluta di Giuseppe ha glorificato Dio; lui era consapevole che il suo errore sarebbe stato un peccato contro Dio, qualcosa che avrebbe disonorato quel Dio che aveva imparato a conoscere. Questo comportamento ci insegna che, quando commettiamo un peccato, offendiamo direttamente Dio, la sua persona, la sua gloria. Giuseppe dice alla moglie di Potifar: “Come potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?” Il salmista poteva dire: “Ho conservato la tua Parola nel mio cuore per non peccare contro di te” (Salmo 119:11). E’ ciò che ha fatto Giuseppe. Chiediamo al Signore di poter imitare un tale esempio, in modo da non lasciarci “avvolgere dal peccato”, ma di andare oltre l’ostacolo e rimanere vicini alla Sorgente.


I muri della prigione (Genesi 39:21-23; 40; 41)

Essere puniti per un male che non si è commesso è profondamente ingiusto. E che punizione ha subito Giuseppe! Un carcere sotterraneo (39:21) non era certo confortevole come quelli moderni. Ma anche in questo caso Giuseppe ha potuto sperimentare che Dio era con lui e che, anche in quella situazione, faceva prosperare tutto ciò che intraprendeva. Quello che mi colpisce particolarmente di questa vicenda è la capacità di Giuseppe di interessarsi dei problemi degli altri, in un momento nel quale per lui sembrava non esserci via d’uscita. Una notte, il coppiere e il panettiere, carcerati con lui, fanno un sogno che li turba; Giuseppe comprende subito che sono turbati (40:6), e domanda loro: “Perché oggi avete il viso così triste?” (40:7).

Quando siamo colpiti da una circostanza difficile, siamo talmente presi da ciò che ci sta accadendo, che risulta pressoché impossibile interessarsi dei problemi altrui, ancor meno di essere di aiuto.

La storia di Giuseppe ci fa vedere che tutto ciò è possibile se la pace di Dio è nei nostri cuori e se sappiamo accettare con sottomissione le circostanze per le quali il Signore vuole farci passare. E’ vero che nel momento della sofferenza possiamo capire meglio chi sta soffrendo come noi. L’apostolo Paolo poteva dire: “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione” 2 Corinzi 1:3-4. Questa capacità e questa forza vengono da Dio, non da una sorta di stoicismo.

Le interpretazioni che Giuseppe dà ai sogni dei suoi compagni di prigione sono una positiva e l’altra negativa. Giuseppe chiede al coppiere, che sarebbe tornato in libertà, di ricordarsi di lui; certamente si aspettava una riconoscenza immediata, ma purtroppo non fu così. Dovettero passare altri due anni prima che il coppiere si ricordasse di “quel giovane ebreo”.

Questa è un’altra lezione per noi: “la pazienza nell’afflizione”. Al momento opportuno Dio ha saputo creare le circostanze, per mezzo delle quali il suo servo è passato da carcerato a viceré di Egitto. “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie, dice il Signore” Isaia 55:8. Raccontando la storia di Giuseppe, Stefano ha potuto dire che “Dio era con lui e lo liberò da ogni sua tribolazione” Atti 7:10. Camminando con fedeltà e “dimorando in lui”, Dio ci darà la forza di superare anche il muro di una prova così dura, ingiusta e umiliante.


I muri della casa di Faraone (Genesi 41)

Passano circa due anni; anni di pazienza e di sottomissione. Ma arriva l’occasione preparata da Dio attraverso la quale Giuseppe viene liberato dai muri della prigione. Faraone fa un sogno che nessuno riesce a spiegare, e il coppiere che era stato in carcere con Giuseppe si ricorda di lui, e Giuseppe è fatto chiamare.

E’ molto istruttivo per tutti noi notare come Giuseppe faccia subito professione di umiltà dichiarando al Faraone: “Non sono io, ma sarà Dio che darà al Faraone una risposte favorevole”.

L’interpretazione del sogno apre a Giuseppe le porte del potere, quasi smisurato; il Faraone arriva a dire: “Tu avrai autorità su tutta la mia casa e tutto il popolo ubbidirà ai tuoi ordini; per il trono soltanto io sarò più grande di te”; e ancora: “Io ti do potere su tutto il paese d’Egitto” (v. 40-41).

Quando le cose vanno bene, quando il successo fa salire i gradini della scala sociale, non solo per l’incredulo, ma anche per il credente è facile cadere nell’orgoglio, nell’idea che tutto sia per nostro merito, come se Dio non c’entrasse nulla con la nostra vita. Come facciamo presto a dimenticare tutti i benefici che abbiamo ricevuto dalla sua mano! Per Giuseppe non è stato così. Aveva trent’anni ed era nel pieno della vita, delle proprie capacità psico-fisiche, ma ha sempre continuato a vivere vicino al suo Dio.

La casa del potere poteva diventare per Giuseppe un laccio veramente pericoloso. E’ a questo punto della sua vita che si trova di nuovo di fronte i propri fratelli, gli stessi che lo avevano venduto per un prezzo inferiore a quello di uno schiavo; ma questa volta, diremmo noi, aveva “il coltello dalla parte del manico”. Egli avrebbe potuto far prevalere sentimenti di rivalsa, di vendetta, e invece ha messo in pratica le esortazioni contenute ad esempio nella Lettera agli Efesini (4:31-32): “Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo”. Che il Signore ci aiuti, per mezzo della sua Parola che deve abitare in noi riccamente, a superare anche i muri dell’orgoglio, del rancore e della vendetta.

Giuseppe ha mantenuto questo comportamento fino alla fine della sua vita, anche quando i suoi fratelli pensavano, senza motivo, che egli avrebbe cambiato atteggiamento nei loro confronti. Ma egli ha potuto dire: “Non temete. Io provvederò al sostentamento per voi e i vostri figli’. Così li confortò e parlò al loro cuore” (50:21).

Considerando la vita di Giuseppe, dalla giovinezza fino alla maturità, possiamo veramente dire che è stato come “un albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione e il cui fogliame non appassisce” (Salmo 1:3). Come scrive Geremia: “Non si accorge quando viene la calura e il suo fogliame rimane verde; nell’anno della siccità non è in affanno e non cessa di portar frutto”. Giuseppe ha saputo portare frutto per Dio in ogni stagione della propria vita, anche quando è arrivata la siccità e la calura.

Imitiamo questo esempio e chiediamo aiuto al Signore per portare del frutto ad ogni età della nostra vita e in ogni circostanza, e perché i nostri rami si stendano sempre “al di là del muro”.


Cesare Casarotta