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sabato 15 luglio 2023

"Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza"

A immagine e somiglianza di Dio

I versetti 12 a 21 di Romani 5 ci spiegano perché noi abbiamo una natura peccaminosa: è a causa del fatto che siamo tutti discendenti di Adamo.

Adamo fu creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen. 1:26, 5:1). 

“A immagine di Dio” si riferisce alla posizione dell'uomo nel creato. Come "amministratore" di Dio egli rappresentava Dio sulla terra, e come tale era a capo della creazione terrestre. Benché molte cose siano cambiate in seguito alla caduta di Adamo e allo stato di confusione che ne seguì, Adamo e gli esseri umani in generale, in quanto suoi successori, sono tuttora l’immagine di Dio nella sua creazione. Paolo infatti scrive che “…l’uomo non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio” (1 Cor. 11:7).

“A somiglianza di Dio” si riferisce invece alla purezza e all’innocenza di Adamo. C’era una conformità morale della creatura col Creatore, che purtroppo non durò a lungo. Adamo trasgredì il comandamento di Dio, perse la purezza e divenne un peccatore colpevole. Dopo la caduta di Adamo non è più detto né di lui né dei suoi discendenti che erano a somiglianza di Dio. Quest'espressione è limitata alla creazione (Gen. 1:26, 5.1, Giac. 3:9 ).


A immagine e somiglianza di Adamo

Il cap. 5 del libro della Genesi è molto chiaro su questo soggetto. Al v. 1 leggiamo che Dio creò l’uomo a somiglianza di Dio. Ma al v. 3, quando Adamo ha un figlio, questo figlio è “a sua somiglianza, a sua immagine”. A somiglianza cioè di un peccatore colpevole, di una creatura decaduta. Perciò ogni figlio che nasce è già alla nascita un essere peccatore perché ha la natura dei suoi genitori.

Giobbe esprime questo pensiero: “Chi può trarre una cosa pura da una impura? Nessuno” (14:4); e Davide dice: “Ecco, io sono stato generato nell’iniquità, mia madre mi ha concepito nel peccato” (Salmo 51:5). In Romani 5:12-21 la conclusione di queste constatazioni è che per mezzo della trasgressione di Adamo i molti sono morti, poiché la morte da allora ha regnato (v. 15 e 17); le conseguenze della trasgressione di Adamo si sono estese a tutti gli uomini e li condannano (v. 18). A causa della disubbidienza di Adamo tutti i suoi discendenti sono peccatori (v. 19). In altre parole, la condizione di ogni uomo che nasce è come quella del suo antenato Adamo dopo la caduta: un peccatore in attesa della morte, scacciato dal giardino di Eden e dalla presenza di Dio.

Questo passo ci presenta la condizione dell’uomo e non i peccati che può aver commesso. Ancor prima che un uomo commetta un solo peccato, la sua condizione è quella di un peccatore destinato a morire e a subire la condanna di Dio. Però, a renderlo colpevole, perché trasgressore, non è la sua nascita ma sono i peccati che commette. In Apocalisse 20:12 vediamo che i morti saranno giudicati "secondo le loro opere", e non in base alla loro condizione. Tuttavia la condizione stessa dell’uomo lo rende inadeguato a raggiungere il cielo. Dio, alla sua presenza, non può tollerare una persona che abbia una natura peccatrice. Egli, che è santo, deve allontanare per sempre dalla sua presenza una persona con una tale natura. Dio “è luce, e in lui non ci sono tenebre” (1 Giov. 1:5); quindi non può ammettere alla sua presenza qualcuno che sia “tenebre” (Ef. 5:8). Chi non è lavato dai peccati dovrà essere gettato “nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridore di denti” (Mat. 8:12; 22:13). 

Se il Signore Gesù non avesse compiuto l’opera di redenzione, nessun essere umano potrebbe raggiungere il cielo, nemmeno i bambini che muoiono subito dopo la nascita e che non hanno ancora commesso nessun peccato.

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