“Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. Sotto questi portici giaceva un gran numero di infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici[, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua...Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: Vuoi guarire? L'infermo gli rispose: Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca” Giovanni 5:1-3,6,7.
Per molto tempo questo episodio, a me, è parso “particolare”. Riguarda un uomo che aveva una fede che si reggeva a mala pena, ma il Signore che gli andò incontro lo trattò con una grazia stupefacente. Pensavo che questa storia fosse troppo bella e che il Signore avesse dimostrato delle cure così amorevoli e completamente fuori del comune.
Poi ho compreso che quel racconto che parla di un malato, invalido e incapace, parla di noi. Riguarda me.
Questa persona non è senza nome. Ha un nome: il mio, il vostro.
Ha un viso, ha un problema ed è uguale al mio.
Il Signore incontra quest'uomo vicino ad una grande piscina, lunga circa duecento metri e larga una sessantina. Un colonnato con cinque portici si affaccia sull'acqua della piscina. E' un monumento alla salute e alla prosperità, ma le persone che lo frequentano sono fisicamente malate e sofferenti.
E' chiamata Betesda. Oggi si potrebbe chiamare in molti altri modi.
Mentre si passava di lì, se avessimo avuto l'udito adeguato, avremmo sentito un'onda infinità di lamenti. Di cosa saremmo stati testimoni? Un grande campo pieno di necessità senza volto. Forse avremmo proseguito ignorandoli, ma non il Signore Gesù.
Vale la pena leggere questo racconto solo se capiamo perché Lui era là. Non era costretto a farlo, sapete. Dopotutto c'erano cose più piacevoli che poteva fare. Dopotutto quella era la festa della Pasqua. La gente era venuta da ogni parte per incontrare Dio nel tempio, ma Dio era con i malati.
Stava camminando in mezzo a loro per guarire.
Betesta è di per se un nome straordinario, significa “casa della misericordia”.
“Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo è per grazia che siete stati salvati” Efesini 2:4-5.
Questa vasca si trova presso la Porta delle Pecore, questa porta è il Signore stesso.
“Perciò Gesù di nuovo disse loro: In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore” Giovanni 10:7.
La vasca era circondata da cinque portici, o ampi spazi che potevano solo assicurare una vicinanza alla vasca ma niente di più. I malati e gli infermi sostavano li senza speranza di poter fare altro. Questi cinque portici hanno una certa somiglianza con i cinque libri della legge (Pentateuco) che erano stati dati per mettere in risalto l'incapacità dell'uomo e li c'era un uomo infermo da trentotto anni, ciò significa che si trovava in quelle circostanze da prima della nascita del Salvatore. Il Signore Gesù sapeva perfettamente ogni cosa.
Alcuni erano ciechi, altri zoppi a altri ancora paralitici. Questi vari tipi d'infermità rappresentano la debolezza, la cecità, l'imperfezione del peccatore. Forse non fa piacere essere descritti così ma questa è la realtà. Sono io, sei tu, che giacciamo al suolo, incapaci di fare alcun che.
Il paralitico esprime tutta la sua delusione “Signore, io non ho nessuno”. Da anni costui giaceva accanto alla vasca ma se ci affidiamo ai nostri simili per essere “salvati” rimarremo delusi. L'unica nostra speranza è che Dio faccia per noi ciò che il Signore fece per l'uomo di Betesda: che esca dal tempio e s'inoltri nella nostra valle piena di ferite e di disperazione.
Ed è esattamente ciò che Egli fece.