Seguici anche su Facebook!

Seguici anche su Facebook! Unisciti al Gruppo cliccando su:
https://www.facebook.com/groups/287768858057968/

sabato 3 agosto 2024

I pozzi di Isacco

leggere Genesi 26, 15 a 33    


Da Hebron a Lachai-Roi

Dopo la morte di sua madre Sara, a Hebron, e di suo padre Abramo, sepolto accanto a lei nella spelonca di Macpela, Isacco dimorò presso il pozzo di Lachai- Roi (Genesi 25:11).

Questi due luoghi, Hebron e Lachai-Roi, ci mostrano il patriarca nel suo carattere di uomo "risuscitato" (Genesi 22:12,13), carattere che è anche il nostro per la fede in Cristo. Da Hebron, luogo di morte (23:2,19), Isacco si recò a Lachai-Roi presso il pozzo del "Vivente che si rivela (o "che mi vede", Genesi 17:14)”., e questa figura dell’Antico Testamento trova la sua applicazione nelle parole del Nuovo: “Poiché voi moriste, e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio”. La Parola e lo Spirito, raffigurati dall'acqua del pozzo di Lachai-Roi, ci rivelano “Cristo, la vita nostra” Colossesi 3:1-4.

Isacco proveniva da quel luogo quando, uscito nella campagna per meditare sul far della sera, aveva visto Rebecca venirgli incontro. Che bella scena! Essa ci ricorda quello che Paolo insegnava “per parola del Signore” (1 Tess. 4:15) sul glorioso momento in cui verremo rapiti per incontrare il Signore nell’aria ed essere per sempre con Lui.

Come quel pozzo aveva del valore per Isacco, la “parola del Signore” ha del valore per noi, e consola e sostiene i nostri cuori.


Presso i Filistei, a Gherar

“Ci fu la carestia nel paese” dove Isacco abitava (Gen. 26:1), come può esserci, in senso spirituale, anche per noi se diventiamo indifferenti agli insegnamenti del Signore, se, com'era avvenuto a Israele nel deserto, la nostra "manna" non ci piace più, e ci pare un cibo leggero e insignificante (Esodo 16:31). 

Isacco se ne andò quindi a Gherar, presso i Filistei, e là l’Eterno lo fermò dicendogli: “Non scendere in Egitto.... soggiorna in questo paese.... poiché io darò a te e alla tua progenie tutti questi paesi, e manterrò il giuramento che feci ad Abrahamo tuo padre” (Gen. 26:2-6). Le terre che i Filistei occupavano facevano parte dei territori che l’Eterno aveva promesso di dare ad Abrahamo (15:18-21), ma i Filistei, discendenti di Mitsraim (10:6), vi si erano insediati molto tempo prima, forse provenienti dall’Egitto lungo le coste del Mediterraneo.

Abimelec, il re dei Filistei, presso cui Isacco andò ad abitare, e il suo popolo raffigurano coloro che si professano cristiani ma hanno solo "le forme della pietà", senza la vita di Cristo. Con la loro pretesa di essere cristiani occupano abusivamente un terreno santo e sono nemici dei veri figli di Dio. E’ solo grazie alla morte di Cristo, e alla nostra morte con Lui, che possiamo entrare nel paese promesso; infatti, tutto ciò che eravamo nella carne, come discendenti di Adamo, ha cessato di esistere alla croce, come lo rappresentano, in figura, i grandi avvenimenti della Pasqua, della traversata del Mar Rosso e quella del fiume Giordano.

Il soggiorno di Isacco presso i Filistei fu per lui una scuola della quale anche noi possiamo trarre profitto. A contatto con loro, Isacco non ha reso buona testimonianza perché ha rinnegato pubblicamente la propria moglie rischiando di far peccare il popolo che lo ospitava.

Possiamo pensare, anche se la Parola non ce lo dice, che egli abbia poi confessato  e giudicato davanti a Dio la propria colpa; per questo è detto che “l’Eterno lo benedisse” (26:12); e non appena la sua testimonianza fu in armonia con la sua conoscenza di Dio e la sua comunione con Lui, i Filistei provarono invidia e lo cacciarono. D'altronde, “tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Tim. 3:12).


Nella valle di Gherar

Isacco dunque se ne andò, quasi cacciato da Abimelec, e anche in questa circostanza ebbe bisogno delle risorse della parola di Dio. La sua attività nella valle di Gherar ci mostra i caratteri di un vero risveglio. Anche Abrahamo aveva abitato nella valle di Gherar in condizioni simili a quelle di suo figlio Isacco, sebbene la Scrittura non faccia menzione di pozzi da lui scavati. Ma Isacco conosceva bene quei pozzi che i Filistei avevano turati dopo la morte di Abrahamo (v.18); e quale servitore e testimone di Dio, anche se ha attraversato un momento di crisi spirituale, può mettere ora davanti al mondo delle sorgenti di acqua viva che rivelano l’amore divino e proclamano il messaggio di grazia: “O voi tutti che siete assetati, venite alle acque” (Isaia 55:1); “chi ha sete venga: chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita” (Apocalisse 22:17).

I Filistei, per invidia, “turarono ed riempirono di terra tutti i pozzi” (v.15). Quella terra rappresenta bene le false dottrine attraverso le quali la sapienza del mondo e l'astuzia di Satana cercano di privare i credenti del godimento e della potenza della Parola di Dio. Ma Isacco non scavò pozzi nuovi; egli riaprì quelli che erano stati scavati al tempo di suo padre Abrahamo. Così anche noi dobbiamo sempre ritornare agli insegnamenti basilari del cristianesimo, a “quel che era nel principio” (1 Giov. 1:1), ai “sentieri antichi” degli insegnamenti della Scrittura (Ger. 6:16), alla “fede che è stata una volta per sempre tramandata ai santi” (Giuda 3); questa è la base di ogni vero risveglio, perché la Parola di Dio dimora in eterno. Isacco pose a quei pozzi “gli stessi nomi che aveva loro posto suo padre” (v.18), per indicarci che l’insegnamento della Parola che abbiamo ricevuto dagli scritti del Nuovo Testamento conserva per tutta la sua validità e la sua potenza. Ciò che Paolo insegnava ai santi di Corinto, riguardo ai doni, le riunioni d’assemblea, la cena del Signore, la sua resurrezione, il suo prossimo ritorno, conserva tutta la sua attualità anche per noi oggi. Facciamo attenzione che questi pozzi di acqua pura non vengano nuovamente riempiti di terra!

Ma possiamo ricavare un altro insegnamento dalle vicende di Isacco. I suoi servitori scavarono nella valle dove era accampato il loro signore, e trovarono dell'acqua, "un pozzo d'acqua viva" (v.19). Era sempre la stessa acqua, com'è per noi la Parola eterna e vivente di Dio, che porta la benedizione; e anch'essi, come il loro padrone, incorsero nell’ostilità dei pastori di Gherar.

Il primo pozzo fu chiamato Esek (contesa); e dovettero abbandonarlo. “Or il servitore del Signore non deve contendere” (2 Tim. 2:24). Per il secondo pozzo, chiamato Sitna (inimicizia), ci furono anche dei problemi; i servitori del Signore trovano anche oggi quelli che “contrastano alla verità” (2 Tim. 3:8; Atti 19:9). Così anche da lì dovettero andarsene, e seguire il loro signore Isacco, respinto e malvisto dai Filistei, fino a un altro pozzo che chiamarono Rehoboth (luoghi ampi). E’ la realizzazione pratica della separazione dal mondo; non essendo più sotto uno stesso giogo con gli "infedeli" (2 Cor. 6:14), essi poterono, come dovevano fare i Corinzi, allargare il loro cuore (6:13). Allora ci fu per Isacco, come ci sarà per noi, una vera crescita spirituale: "Ora l'Eterno ci ha messi al largo e noi prospereremo nel paese" (v. 22). “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli” (Giovanni 15:8).


A Beer-Sceba

Dopo l’esperienza di Rehoboth, Isacco salì a Beer-Sceba, dove l’Eterno gli apparve confermandogli la promessa fatta ad Abrahamo, quand'egli fu giustificato per fede (Gen. 15:6): "Io sono teco e ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie". In quello stesso luogo Isacco poté, come suo padre, cercare un rapporto diretto con Dio tramite un sacrificio, e adorare: "Edificò quivi un altare e invocò il nome dell’Eterno". Ma per fede piantò anche lì la sua tenda, per abitare nella terra promessa, sebbene come forestiero e pellegrino.

Abrahamo, a suo tempo, aveva scavato nello stesso luogo un pozzo e vi aveva piantato un tamarindo, prendendo simbolicamente possesso di quella terra che Dio gli aveva promesso (21:33). E ora che i servi di Isacco hanno scavato il pozzo, Abimelec e Picol riappaiono, come ai tempi di Abrahamo, per rinnovare con il suo discendente un’alleanza di pace; perché “quando l’Eterno gradisce le vie di un uomo, riconcilia con lui anche i nemici” (Prov. 16:7). 

In quello stesso giorno i servitori di Isacco "gli vennero a dar notizia del pozzo che avevano scavato, dicendogli: Abbiamo trovato dell'acqua" (v.32). E Isacco chiamò quel pozzo “Sciba” (giuramento), usando praticamente lo stesso nome  nome che già Abrahamo aveva usato in simili circostanze: "Beer-Sceba" (pozzo del giuramento) (Gen. 21:31). Ma quel nome aveva sicuramente un altro senso, molto più profondo per il cuore e i pensieri di Isacco. A Beer-Sceba era disceso con suo padre dopo essere stato sul monte dell’Eterno dove avrebbe dovuto essere sacrificato. Fu là che l’Eterno aveva giurato per se stesso dicendo ad Abrahamo: “Io certo io ti benedirò.... e tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua progenie” (Gen. 22:15-18). Sicuramente Abrahamo, quando diede a Isacco "tutto quello che possedeva” (25:5), gli riferì anche le “due cose immutabili, nelle quali è impossibile che Dio abbia mentito” (Ebrei 6:18). Il nome "giuramento" che Isacco diede a questo pozzo sembra essere una chiara testimonianza al giuramento di Dio più che a quello con Abimelec.

Solo nel cielo conosceremo pienamente ogni cosa. Ma già l’epistola agli Ebrei ci mostra il Signore Gesù in cielo, "coronato di gloria e di onore", e noi abbiamo una “potente consolazione” considerando e contemplando per la fede Cristo "al di là della cortina", per noi certezza di salvezza e "ancora" della speranza, in quanto Egli è entrato nel cielo "come precursore": “E quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò e v’accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi” (Giov. 14:3).

Isacco a Beer-Sceba aveva dietro a sé le esperienze di Gherar, della contestazione, dell’inimicizia dei Filistei; ma anche la prova della grazia di Dio che gli aveva dato luoghi ampi; e, davanti a sé il bel paese promesso. Il nome della città è rimasto Beer-Sceba "fino al dì d'oggi", testimonianza che “i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento” (Romani 11:29). Israele, infatti, amato grazie ai suoi padri, entrerà presto nel possesso delle benedizioni del nuovo patto, sotto il regno glorioso di Cristo.

Giunti ai “tempi difficili” che precedono l’apostasia finale, facciamo nostre le esperienze di Isacco: annunciamo il Vangelo agli uomini di questi ultimi giorni ma, nello stesso tempo, stiamone separati (2 Tim. 3:1-5). Porteremo sicuramente del frutto alla gloria di Dio e, rallegrandoci nella speranza e nelle sue promesse, potremo dire: “Amen; vieni Signore Gesù!”.