Seguici anche su Facebook!

Seguici anche su Facebook! Unisciti al Gruppo cliccando su:
https://www.facebook.com/groups/287768858057968/

sabato 14 dicembre 2024

I pozzi di Isacco (4/4)

A Beer-Sceba

Dopo l’esperienza di Rehoboth, Isacco salì a Beer-Sceba, dove l’Eterno gli apparve confermandogli la promessa fatta ad Abrahamo, quand'egli fu giustificato per fede (Gen. 15:6): "Io sono teco e ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie". In quello stesso luogo Isacco poté, come suo padre, cercare un rapporto diretto con Dio tramite un sacrificio, e adorare: "Edificò quivi un altare e invocò il nome dell’Eterno". Ma per fede piantò anche lì la sua tenda, per abitare nella terra promessa, sebbene come forestiero e pellegrino.

Abrahamo, a suo tempo, aveva scavato nello stesso luogo un pozzo e vi aveva piantato un tamarindo, prendendo simbolicamente possesso di quella terra che Dio gli aveva promesso (21:33). E ora che i servi di Isacco hanno scavato il pozzo, Abimelec e Picol riappaiono, come ai tempi di Abrahamo, per rinnovare con il suo discendente un’alleanza di pace; perché “quando l’Eterno gradisce le vie di un uomo, riconcilia con lui anche i nemici” (Prov. 16:7). 

In quello stesso giorno i servitori di Isacco "gli vennero a dar notizia del pozzo che avevano scavato, dicendogli: Abbiamo trovato dell'acqua" (v.32). E Isacco chiamò quel pozzo “Sciba” (giuramento), usando praticamente lo stesso nome  nome che già Abrahamo aveva usato in simili circostanze: "Beer-Sceba" (pozzo del giuramento) (Gen. 21:31). Ma quel nome aveva sicuramente un altro senso, molto più profondo per il cuore e i pensieri di Isacco. A Beer-Sceba era disceso con suo padre dopo essere stato sul monte dell’Eterno dove avrebbe dovuto essere sacrificato. Fu là che l’Eterno aveva giurato per se stesso dicendo ad Abrahamo: “Io certo io ti benedirò.... e tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua progenie” (Gen. 22:15-18). Sicuramente Abrahamo, quando diede a Isacco "tutto quello che possedeva” (25:5), gli riferì anche le “due cose immutabili, nelle quali è impossibile che Dio abbia mentito” (Ebrei 6:18). Il nome "giuramento" che Isacco diede a questo pozzo sembra essere una chiara testimonianza al giuramento di Dio più che a quello con Abimelec.

Solo nel cielo conosceremo pienamente ogni cosa. Ma già l’epistola agli Ebrei ci mostra il Signore Gesù in cielo, "coronato di gloria e di onore", e noi abbiamo una “potente consolazione” considerando e contemplando per la fede Cristo "al di là della cortina", per noi certezza di salvezza e "àncora" della speranza, in quanto Egli è entrato nel cielo "come precursore": “E quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò e v’accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi” (Giov. 14:3).

Isacco a Beer-Sceba aveva dietro a sé le esperienze di Gherar, della contestazione, dell’inimicizia dei Filistei; ma anche la prova della grazia di Dio che gli aveva dato luoghi ampi; e, davanti a sé il bel paese promesso. Il nome della città è rimasto Beer-Sceba "fino al dì d'oggi", testimonianza che “i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento” (Romani 11:29). Israele, infatti, amato grazie ai suoi padri, entrerà presto nel possesso delle benedizioni del nuovo patto, sotto il regno glorioso di Cristo.

Giunti ai “tempi difficili” che precedono l’apostasia finale, facciamo nostre le esperienze di Isacco: annunciamo il Vangelo agli uomini di questi ultimi giorni ma, nello stesso tempo, stiamone separati (2 Tim. 3:1-5). Porteremo sicuramente del frutto alla gloria di Dio e, rallegrandoci nella speranza e nelle sue promesse, potremo dire: “Amen; vieni Signore Gesù!”.

Nessun commento:

Posta un commento