2 Cronache 18 ci fornisce alcuni casi di “cattiva coscienza”, cioè di quello stato
d’animo in cui l’uomo si viene a trovare quando ha la sensazione di fare una
cosa sbagliata.
Proviamo a analizzare questo capitolo sotto questo aspetto, esaminando
la condotta dei vari personaggi che appaiono e che ci mostreranno tre coscienze di sensibilità diverse:
-
quella del pio Giosafat, che è sensibile
(anche se inascoltata),
-
quella dell’empio Acab che è insensibile
(anche se esercitata),
-
quella del profeta Sedechia che è
cauterizzata (perché sembra non esistere).
G
Il re Giosafat
Nonostante il
comportamento avuto in questo capitolo, il re Giosafat è un re al quale il
veggente Ieu può dire, da parte di Dio: “si sono trovate in te delle buone cose”
(2 Cr 19:3). Certo una di queste non fu il contrarre parentela con l’empio re
Acab (18:1) che andò a trovare qualche anno dopo (18:2). Questa parentela e
questa visita lo metterà in una situazione da cui sarà difficile tornare
indietro.
All’invito di partecipare
a una guerra insieme, Giosafat non può che rispondere: “CONTA SU DI ME” (18:3).
Poi, come se la coscienza si facesse sentire chiede ad Acab di consultare Dio
tramite i profeti. Strano comportamento quello di ricercare la volontà di Dio
dopo aver preso una decisione! Ma la coscienza è smossa e avverte il re che
forse, nell’impegno ormai preso, c’è qualcosa che non è secondo la volontà di
Dio. Sarà questo esercizio della coscienza di Giosafat sufficiente a far
rivedere la decisione? Il resto della storia mostra che non basta un “esercizio
della coscienza” ma occorre piuttosto una presa di posizione che questo re non
è riuscito a prendere. Spesso siamo nel posto sbagliato e con le persone
sbagliate e finiamo col prendere decisioni sbagliate anche quando la nostra
coscienza ci attesta che qualcosa non va! Vigiliamo a questo riguardo.
G
Il re Acab
La richiesta di
Giosafat di consultare Dio prima di partire per questa guerra (18:4) avrebbe
dovuto far suonare un campanello di allarme, ovvero: “risvegliare la sua
coscienza” ma questo re sembra non averne. Anche la richiesta di consultare
ancora un profeta (18:6) [quattrocento non erano bastati (18:5)], avrebbe
dovuto essere un motivo di riflessione ma anche questo non sembra scuotere la
coscienza di questo re empio.
Il profeta Micaia
interviene in questo episodio ed è il solo profeta che parlerà secondo il
pensiero di Dio benché invitato a compiacere, almeno per una volta, il re
(18:12/13). Acab ascolta ciò che Micaia dice ma la sua coscienza gli attesta che
non è la verità (18:14/15), quando sentirà la verità non vi porrà mente
(18:17). Dopo aver fatto imprigionare Micaia (18:25/26) parte per la guerra ma
non senza aver prima preso qualche accorgimento: “Io mi travestirò per andare
in battaglia” (18:29) e questo perché la coscienza di Acab non è tranquilla. Anziché
fermarsi a riflettere cerca di risolvere la cosa con mezzi umani Nella mente di
Acab c’è il pensiero che il suo travestimento avrebbe fatto concentrare il
nemico su Giosafat ma Dio non si lascia
ingannare dall’uomo e farà sì che i nemici si allontanino da Giosafat (18:31).
La coscienza si fa spesso sentire anche nell’empio, ma difficilmente questi
l’ascolterà.
G
Il profeta
Sedechia
A questo
personaggio si addice quello che leggiamo in Geremia:
G
“Il SIGNORE mi disse: “Quei
profeti profetizzano menzogne nel mio nome; io non li ho mandati, non ho dato
loro nessun ordine, e non ho parlato loro; le profezie che vi fanno sono
visioni menzognere, divinazione, vanità, imposture del proprio cuore” (Gr 14:14);
G
“Così parla il SIGNORE degli eserciti: «Non
ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano; essi vi nutrono di cose vane; vi espongono le visioni
del proprio cuore, e non ciò che proviene
dalla bocca del SIGNORE” (Gr 23:16).
La coscienza di questo profeta è ormai resa insensibile
dall’allontanamento più totale dalla verità. Proferisce menzogne senza ritegno,
così convinto di essere nel giusto che neppure la sentenza del profeta Micaia
lo farà riflettere (18:23/24).