Riassumendo:
1°) Se non vogliamo essere una setta, non dobbiamo mai perdere di vista l’unità del corpo di Cristo, proclamata nella partecipazione all’«unico pane» e, pur umiliandoci dello stato attuale della cristianità (alla quale noi apparteniamo, non dimentichiamolo), dobbiamo mantenere con riconoscenza le prerogative della Chiesa secondo il pensiero di Dio sino alla fine.
2°) Se non vogliamo essere «colpevoli verso il corpo e il sangue del Signore» (1 Cor. 11:27), dobbiamo esercitare il giudizio individuale e collettivo, affinché la comunione con Lui e tra di noi sia mantenuta con verità. Questo significa «serbare l’unità dello Spirito».
Chi è all’altezza di questo? Il segreto è avere cuori sensibili agli interessi del Signore e che amano quelli che sono Suoi. Questo si riflette nell’unità di spirito e nella fedeltà in tutti i settori della vita cristiana.
Gli ultimi risvegli che il Signore ha suscitato per gli ultimi giorni sono in declino come tutto il rimanente. Il Signore è il solo testimone fedele e verace; tuttavia, le promesse fatte a Filadelfia sussistono. Chiediamogli, e ci sarà concesso, lo stato di spirito e di cuore di colui al quale Egli può dire: «pur avendo poca forza, hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome» (Apocalisse 3:8).
2. Seconda parte : Il radunamento secondo Dio: la pratica
Riunirsi secondo principi non scritturali rappresenta una
pura forma religiosa. Certamente un’anima sincera, anche se mal illuminata, vi
troverà qualcosa e Dio porrà tenerla per «accettevole» (Atti 10:35). Ma resterà
estranea alla testimonianza resa all’unità del corpo di Cristo e ignorerà la
benedizione «quivi ordinata», come lo era a Sion per il popolo terreno, la
rugiada che discende dall’Ermon, l’olio prezioso che discende dalla testa del
vero Aaronne (Salmo 133). Non conoscerà la libera azione dello Spirito Santo
che lega «i fratelli che dimorano insieme» a Cristo risuscitato.
Ma radunarsi al di fuori delle molteplici organizzazioni umane della cristianità, non significa aggiungere ulteriori divisioni? È questo un argomento continuamente sollevato contro coloro che si sono sentiti costretti, per ubbidienza al Signore, ad uscire «fuori del campo» (Ebrei 13:13), per radunarsi attorno a Lui. Non ci è possibile impedire questa accusa. Dobbiamo, però, stare attenti a non meritarla e pertanto è necessario bandire dai nostri cuori ogni spirito settario. Il Signore ci chiama non ad essere una parte della Chiesa che ha la pretesa di agire meglio delle altre, ma a camminare nel sentiero dove dovrebbe trovarsi la Chiesa come se, nella sua totalità, essa fosse attorno a Cristo, seguendo le sue orme.
2.1 Il problema della terminologia
Iniziamo da un argomento sovente trattato con leggerezza.
Dobbiamo rifiutare ogni appellativo con il quale noi manifesteremmo una
divisione in più della Chiesa. Quando altri cristiani si dicono cattolici,
protestanti, calvinisti, luterani, metodisti, battisti ecc… essi si
attribuiscono il nome della loro chiesa. Ma non dobbiamo conoscere altra Chiesa
all’infuori della Chiesa di Dio. Il mondo, religioso o no, può definirci come
vuole (darbisti, dissidenti, fratelli esclusivisti…) i soprannomi, spesso canzonatori,
non sono mai mancati nella storia del popolo di Dio. Ma identificarci in un
appellativo particolare sarebbe negare il principio dell’unità che è tipico del
radunamento cristiano. L’apostolo Paolo, quando rimproverava i Corinzi perché
si dichiaravano uno di Paolo, l’altro di Apollo, l’altro di Cefa, l’altro di
Cristo, protestava dicendo: «Cristo è forse diviso?» (1 Corinzi 1:12).
Il nuovo Testamento parla di «cristiani». Questo nome fu attribuito allora ai credenti in Cristo, forse per derisione. Piacesse a Dio che per la nostra testimonianza il mondo ci qualificasse con questo nome, il nome di coloro che seguono Cristo!
Negli Atti troviamo il termine «santi». Ci sentiremmo in difficoltà ad usare questo termine, anche se l’apostolo ispirato lo applicava ai cristiani di Corinto e delle altre assemblee locali, le «assemblee dei santi» (1 Corinzi 14:33, Romani 1:7, 2 Corinzi 1:1, Efesini 1:1, Filippesi 1:1 ecc…). A volte si abusa di questo termine senza comprenderlo bene; inoltre, quando è usato nei rapporti con il mondo può creare confusione oppure essere oggetto di «scandalo». Ricordiamoci come il nostro Maestro ha agito in Matteo 17:27! Tuttavia per grazia tutti i riscattati di Cristo sono santi, per la chiamata di Dio e per l’opera di Cristo; così siamo esortati a vivere «come si conviene a dei santi» (Efesini 5:3).
Nel libro degli Atti degli apostoli e nelle epistole, ricorre con notevole frequenza il nome di «fratelli». Cristo non si vergogna di chiamare così coloro che Egli stesso santifica: essi sono dei «fratelli santi, partecipi di una celeste vocazione» (Ebrei 2:11, 3:1). Questo termine «fratelli» è adatto per la famiglia di Dio e deve essere usato correntemente fra i figli di Dio. Non cerchiamone altri. Allo stesso tempo non rivendichiamone l’uso esclusivo perché così facendo dimenticheremmo il gran numero di coloro che, figli di Dio come noi, ci sono sconosciuti perché sparsi nel mondo cristianizzato, e proveremmo nei nostri cuori il sentimento doloroso, ma necessario, della famiglia oggi incompleta.
Noi non siamo «i fratelli» ma «dei fratelli» che la grazia raduna in un tempo in cui i figli di Dio sono dispersi.
2.2 L’opera del servizio
2.2.1 Clero e ministerio ufficiale
L’assenza di «clero» e di ministri ufficialmente consacrati
è senza dubbio il fatto più saliente dei radunamenti costituiti al di fuori
delle diverse organizzazioni ecclesiastiche. Spesso stupisce ed anche turba
anime sincere, ma abituate alle loro forme religiose. Essi si chiedono: Non
troviamo forse nel Nuovo Testamento i vescovi (cioè i sorveglianti), gli
anziani, i diaconi, i pastori, gli evangelisti, i dottori, gli apostoli e i
profeti? Questo è fuori dubbio. Ma facciamo anzitutto notare che in nessuna
parte del Nuovo Testamento questi uomini costituiscono un corpo distinto dal
resto dei fedeli per esercitare delle funzioni sacerdotali, celebrare il culto,
compiere in esclusiva alcune cerimonie. Al contrario, nel Nuovo Testamento
tutti i cristiani sono considerati, allo stesso titolo, come sacerdoti.
L’apostolo Pietro non fa distinzione tra loro quando scrive: «Anche voi, come
pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio
santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù
Cristo» (1 Pietro 2:5). La nozione stessa di clero è estranea all’insegnamento
del Nuovo Testamento.
Nessun versetto della Scrittura presenta o prevede, nel cristianesimo, una successione di preti o di ministri, assicurata tramite una consacrazione o un’ordinazione: diverse «Chiese» accettano tale successione anche se molte (particolarmente le chiese dissidenti) respingono l’idea di un clero di tipo cattolico. Per quanto concerne gli apostoli, è evidente che sono stati designati dal Signore e che essi non ne hanno stabiliti altri dopo di loro. È vero che un altro «ha preso il posto» di Giuda, ma non sono stati gli undici a sceglierlo (Atti 1:24). Quanto a Paolo, egli insiste nei suoi scritti sul fatto che ha ricevuto il suo apostolato da Dio e non dagli uomini, e non ha designato successori. Il principio è lo stesso per tutti i ministeri o i servizi. Invano si cercheranno altri insegnamenti sull’argomento nel Nuovo Testamento.
Possiamo notare che prima della completa rivelazione della Parola, mentre la Chiesa era ancora in formazione, gli apostoli hanno designato dei diaconi, cioè servitori (Atti 6:1-3) e, nelle assemblee formatesi fra le nazioni, degli anziani (Atti 14:23) in analogia a ciò che esisteva da tempo in Israele (Atti 11:30, Giacomo 5:1-16).
L’apostolo Paolo, in base alla sua autorità apostolica, diede a Tito dei compiti speciali in Creta (Tito 1:5) e forse, anche se non detto espressamente, anche a Timoteo in Efeso (1 Timoteo 3). Leggiamo in Atti 13:1-4 che i profeti e i dottori dell’assemblea di Antiochia imposero le mani a Paolo e a Barnaba, ma non per conferire loro un servizio, poiché era lo Spirito Santo che li chiamava; con questo atto essi testimoniavano solamente la loro comunione e la loro piena approvazione nel servizio. Rileviamo inoltre che Timoteo, oggetto di profezie particolari (1 Timoteo 1:18), ricevette un dono di grazia quando gli furono imposte le mani dal collegio degli anziani («insieme all’imposizione» o «con l’imposizione» 1 Timoteo 4:14) e «per l’imposizione» delle mani dell’apostolo Paolo (2 Timoteo 1:6): gli anziani riconobbero che l’apostolo era il solo competente per conferire tale dono di grazia e che lo conferiva solo per ingiunzione dello Spirito Santo espressa per profezia. Questi sono fatti incontestabili: ma non dobbiamo trarne una regola o un’indicazione permanente in favore di un’investitura ufficiale.
Non solamente gli apostoli non hanno avuto successori, ma la Parola non menziona nemmeno una eventuale trasmissione dell’autorità apostolica o una nomina di uomini rivestiti di una funzione ufficiale. Nessuno oggi può arrogarsi un’autorità data da Dio a questo scopo.
La Parola insiste sull’azione dello Spirito Santo per distribuire doni e servizi (Atti 13:2, 1 Corinzi 12). Ed è proprio questa azione che non è riconosciuta nel mondo cristiano. Infatti, se nella maggior parte dei casi non si accetta neppure la presenza dello Spirito Santo come persona quaggiù, come si potrebbe ammettere la sua azione libera e sovrana? Conseguentemente i regolamenti di un’organizzazione umana si sostituiscono allo Spirito Santo, ed è necessaria un’investitura per esercitare una funzione nella Chiesa. L’affermazione di consacrare a tali funzioni solo uomini chiamati da Dio, è seguita però sempre da una consacrazione proveniente da un’autorità ufficiale e particolare, di cui non troviamo menzione nella Parola di Dio. Essa ci fornisce direttive precise sull’ordine e l’edificazione nell’assemblea ed afferma semplicemente che il solo e medesimo Spirito opera tutte le cose, distribuendo i suoi doni «a ciascuno in particolare come Egli vuole». Non è dunque prerogativa dell’assemblea, né di un clero «distribuire» doni e servizi.
Abbiamo veramente bisogno di essere preservati, non solamente dalle forme, ma da questo spirito clericale che, sopprimendo l’esercizio collettivo, affida ad un singolo la responsabilità esclusiva della vita dell’assemblea. Saremo liberati da un tale errore, credendo semplicemente alla presenza dello Spirito Santo nell’assemblea e sottomettendoci ad esso. Egli vi agisce in molti modi, oltre che per mezzo «dei doni spirituali» (lett. doni di grazia).
2.2.2 I «doni» (*)
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(*) Il termine greco tradotto con «dono» (karisma) significa
più propriamente «favore», «dono della grazia». In questo testo comparirà
quindi sovente come «dono di grazia».
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La Chiesa, in effetti, non potrebbe vivere senza l’esercizio
di ciò che la Parola chiama i «doni di grazia». Il «dono» è propriamente una
facoltà, o una capacità, donata da Dio a una determinata persona per agire nei
confronti degli uomini. Cristo non li lascia mancare alla Chiesa. Egli ha
donato, dona e donerà per mezzo dello Spirito Santo, tutto ciò che è necessario
e sufficiente, fintanto che essa sarà sulla terra, per nutrirla ed edificarla.
Vi sono numerosi tipi di doni. I vari versetti che trattano l’argomento ci presentano diversi elenchi, ciascuno con un particolare scopo, ma di cui nessuno, ovviamente, è limitativo.
Vi sono, per l’insieme della Chiesa, i doni « per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo» (Efesini 4:11-12). Egli stesso, glorificato come Testa di questo corpo, «È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori», e ad esso soprattutto ci si deve riferire quando si impiega il termine «ministerio». Quello degli apostoli continua ancora oggi in quanto il loro messaggio fa ora parte degli scritti ispirati. I profeti, secondo i tempi, applicano la Parola di Dio ai bisogni che Dio fa loro discernere nella Chiesa con la risposta che Egli vuole darvi; essi mettono, per così dire, gli uomini in contatto con Dio stesso. Gli evangelisti lavorano fra gli uomini del mondo per trarli fuori e condurli nell’assemblea. I pastori hanno il compito di fornire il nutrimento spirituale opportuno e vegliano sul gregge che è continuamente minacciato dal mondo e da Satana. I dottori espongono in modo sano e chiaro la verità (*).
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(*) Il ministerio degli apostoli continua per mezzo degli
scritti ispirati nel Nuovo Testamento. È necessario attirare l’attenzione sui
mezzi di edificazione che Dio mette a nostra disposizione mediante scritti,
indubbiamente non ispirati, ma che racchiudono il ministerio di coloro che sono
stato dei veri profeti e dottori, per insegnare e «tagliare rettamente» la
Parola. Essi hanno espresso ciò che il Signore aveva da comunicare per il loro
tempo e che è utile anche a noi. Si dimentica troppo spesso questo «cibo»,
dispensato da un ministerio secondo Dio (il «vitto a suo tempo» Matteo 24:45)
per leggere qualsiasi altra cosa.
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Il capitolo 12 della prima Epistola ai Corinzi, che insiste soprattutto sulla sovranità dello Spirito Santo nella distribuzione dei doni, ci ricorda che Dio nella Chiesa ha messo «in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue» (v. 28).
I doni che i Corinzi prediligevano tanto, miracoli e lingue, erano dei «segni» per gli increduli (*); in questo capitolo non vengono menzionati gli evangelisti in quanto qui l’apostolo considera le manifestazioni spirituali tipiche di un’assemblea locale, nella sua vita diretta dallo Spirito.
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(*) Suddetti doni erano usati dai servitori del Signore per
accreditare la predicazione del Vangelo, rivelazione del tutto nuova per i
Giudei e tanti più per i pagani; ma non ne è promessa la continuità, come
invece è promessa alla fede, alla speranza e all’amore (1 Corinzi 3:8 e 13).
Vediamo, inoltre, chiaramente che il dono di guarigione non venne mai
esercitato a favore di credenti, come invece alcuni pretendevano di fare (Paolo
non guarì né Epafrodito, Filippesi 2:27-28, né Timoteo, 1 Timoteo 5:23, né Trofimo,
2 Timoteo 4:20).
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In Romani 12 troviamo non soltanto il servizio della Parola,
ma l’insieme dei «servizi» cristiani, che ci sono presentati come «doni di
grazia». Essi vanno dalla profezia, che è limitata ad alcuni, all’esercizio
della misericordia, che certamente tutti i fedeli, fratelli e sorelle, possono
praticare.
Tutti hanno ricevuto e tutti sono esortati a dare. Nello stesso tempo, tutti sono richiamati alla «misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno» per non oltrepassarla, in modo che il corpo intero funzioni armoniosamente.
In 1 Pietro 4:10-11, la diversità dei doni «della svariata grazia di Dio» è distribuita, dice l’apostolo, a «ciascuno» di voi che siete chiamati ad esserne i «buoni amministratori». Di modo che «se uno parla, lo faccia come si annunciano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce». L’amore fervente al quale tutti i fedeli sono invitati, fa si che «si faccia valere al servizio degli altri» i doni di grazia che ciascuno, fratello o sorella, ha ricevuto.
Questi insegnamenti della Parola non devono restare per noi considerazioni teoriche; la loro portata pratica è di estrema importanza.