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domenica 4 aprile 2021

L’IMPORTANZA DELLO STUDIO DELLA PROFEZIA

“Abbiamo inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione come una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori” (2 Pietro 1:19)


Si potrebbe pensare che lo studio della profezia sia di importanza marginale o addirittura di nessuna utilità per noi oggi. Eppure, essa occupa circa un terzo di tutta la Parola di Dio; ciò dimostra che, secondo Dio, è di primaria importanza. E’ bene quindi che la studiamo con cura e la impariamo.

Molti cristiani considerano le profezie poco interessanti perché non pensano che Dio possa comunicarci qualcosa di utile attraverso di esse. Capita anche che ognuno tenda ad interpretarle seguendo i propri pensieri, e così prendono corpo delle convinzioni che, il più delle volte, sono molto distanti dal pensiero di Dio. Così il lettore o l’uditore può venire confuso da una babele di interpretazioni diverse e discordanti. Alcuni pensano, per esempio, che Cristo tornerà a prendere i suoi solo dopo la fine del millennio: di conseguenza, la profezia sul ritorno di Cristo non sarebbe di alcuna utilità per chi vive in quest’epoca. Oppure, si crede che Cristo venga ad accogliere ogni credente nel momento della sua morte, e questa convinzione renderebbe inutile o di poca importanza sapere se Cristo tornerà prima o dopo il millennio, con o senza i suoi riscattati; così, quando diciamo che l’arrivo dello Sposo è imminente, queste persone ci considerano degli ingenui, come i generi di Lot che pensavano ad uno scherzo quando furono da lui avvisati sull’imminenza del giudizio di Dio sulla città di Sodoma dove essi abitavano (Genesi 19:14).

Tanti ammettono la loro ignoranza sulla profezia, ma se si limitano a questo per loro la profezia rimarrà sconosciuta e inutile.

Noi crediamo nel valore della “parola profetica più salda”, e facciamo in modo di conoscere queste cose, considerando il posto che Dio stesso ha dato alla profezia nella sua Parola. Ma il nostro obiettivo dev’essere anche quello di dare il giusto posto ad ogni verità della rivelazione profetica, e di riceverla secondo l’ordine d’importanza con cui Dio l’ha rivelata e secondo l’importanza che Dio stesso le ha dato.

Consideriamo dunque la verità profetica sotto questa luce. 

Quale fu la prima promessa in Eden? Non fu forse la profezia che concerneva “la progenie” della donna, Cristo, e la sua vittoria sul “serpente antico”, il diavolo? 

E su cosa si basava la fede dei patriarchi dell’Antico Testamento se non sulla parola della profezia, ascoltata e creduta?

Così, la fede di Abele nel “Dio che giustifica l’empio” era fondata sul valore del sacrificio “dei primogeniti del suo gregge” (Genesi 4:4), nel quale Dio vedeva in figura il sacrificio di Cristo. 

Enoc ha avuto fede in un futuro intervento di Dio in giudizio, e Dio lo prese per toglierlo da quella generazione malvagia e perversa. 

La fede di Noè fu nel credere nel futuro castigo dell’umanità mediante il diluvio. 

Per fede Abraamo accolse la promessa di un erede che sarebbe nato contro ogni principio naturale, e di una futura gloriosa eredità. 

La fede di Isacco, e anche quella di Giacobbe, fu nel credere alla promessa di beni futuri. 

Giuseppe ha avuto fede nell’uscita d’Israele dall’Egitto (Ebrei 11:22), che sarebbe avvenuta qualche secolo dopo la sua morte. 

La fede di Mosè fu nella promessa di una futura ricompensa (Ebrei 11:26). Tutti costoro ricercarono e aspettarono cose future e migliori, e una futura risurrezione. 

La loro fede era dunque fondata sulla parola profetica, sicura e salda. Nella loro generazione, nella forza della loro fede molti soffrirono, ma tutti furono vittoriosi e vengono citati come esempi nella “grande schiera di testimoni” di Ebrei 11 e 12:1. Essi non videro il compimento delle promesse, ma le hanno salutate da lontano. 

Anche noi vorremmo poter aggiungere il nostro nome a questa lista come testimoni della fede nel nostro tempo, e giungere “alla perfezione” (Ebrei 11:40) mantenendo “ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è colui che ha fatto le promesse” (Ebrei 10:23 ).

Il Pentateuco è pieno di figure: il cerimoniale, il tabernacolo, i sacrifici, il servizio dei sacerdoti, le feste, i profumi, e tutte erano “un’ombra dei beni futuri” (Ebrei 10:1), di future realtà. 

I Salmi traboccano della “testimonianza” di Gesù, che è “lo spirito della profezia” (Apocalisse 19:10), vale a dire la sua vera essenza, il suo vero scopo, la sua pienezza e il suo compimento.

Del re Davide leggiamo che “essendo profeta… previde la risurrezione di Cristo”. Oltre ai Salmi, 17 dei 39 libri dell’Antico Testamento sono interamente profetici. Nel Nuovo Testamento, in 260 capitoli le profezie sono citate ben 318 volte! 

Se consideriamo i versetti anziché i capitoli, troveremo che un versetto ogni 25 si riferisce alla profezia. Se poi prendiamo in esame i personaggi del Nuovo Testamento, vedremo che la profezia era il soggetto del ministero di Giovanni Battista, che i discorsi del Signore erano impregnati di profezie, che quasi tutte le Lettere apostoliche contengono profezie, e che l’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse (la  “Rivelazione"), non è altro che pura profezia.

Quanto alle nostre speranze, che la fede trasforma in certezze poiché basate sulle promesse del Dio “che non può mentire“, tutte sono costruite su profezie: le promesse della vittoria futura sulla morte, la certezza della risurrezione, le gioie del cielo, la “speranza della gloria”, tutto ciò che sappiamo su questi temi deriva dalla profezia. Se dovessimo giudicare l’importanza di un argomento in base allo spazio che occupa nella Parola di Dio, potremmo dire che nello studio della profezia abbiamo veramente di che riempire i nostri cuori. 

Per capire quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei riguardi della profezia, consideriamo l’esempio di Daniele. 

Dio lo ha costituito come un principe fra i profeti, rivelandogli cose di importanza capitale, con una visione di portata eterna e che va ben al di là della storia umana. Come studioso dei testi sacri, come autorità spirituale, come condotta e santità, egli è senza dubbio una figura di primaria grandezza. Fu definito “uomo grandemente amato”, che aveva incontrato il favore e l’approvazione di Dio. Ebbene, che rapporto aveva Daniele con la profezia? Il profeta Geremia lo aveva preceduto di qualche decennio e nel suo libro aveva predetto la durata della prigionia del popolo d’Israele in Babilonia. Daniele pensò forse che quella rivelazione non avesse importanza o che non lo riguardasse? No, anzi, egli diede grande valore alla parola profetica: “Io, Daniele, meditando sui libri, vidi che il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia e durante i quali Gerusalemme doveva essere in rovina, era di settant’anni” (Daniele 9:2). Quale fu per Daniele l’effetto di questo studio profetico lo leggiamo nel versetto seguente: “Volsi perciò la mia faccia verso Dio, il SIGNORE, per dispormi alla preghiera e al digiuno”. Lo studio della profezia lo diresse verso il suo Dio e lo portò umilmente ai suoi piedi. 

La stessa cosa può essere detta di Simeone (Luca 2:25-30) che era fra quelli che aspettavano la “consolazione d’Israele”. Lo Spirito Santo era su lui, ed egli trovò riposo dopo aver visto coi propri occhi il Signore Gesù appena nato, la salvezza di Dio, “preparato” per essere “una luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo d’Israele” (Luca 2:25-32). 

Lo stesso può essere detto della profetessa Anna, che era fra quelli che aspettavano “la redenzione di Gerusalemme”. Quest’attesa la condusse molto vicino al Redentore; da quando lo vide, non fece altro che parlare di Lui (Luca 2:38). Egli divenne il soggetto della sua testimonianza. 

Tutti questi “santi” erano diligenti studiosi della profezia, e Dio li onorò dando loro il privilegio di vedere personalmente Colui che avevano tanto atteso. 

Poiché, come abbiamo detto, il Signore Gesù Cristo è lo Spirito della profezia, nessuno studio profetico può essere correttamente intrapreso se non conduce a Lui e se non si riconosce che ha in Lui il suo pieno compimento.

Nei racconti dei Vangeli si possono vedere quali deleteri effetti aveva la conoscenza puramente intellettuale dei capi sacerdoti e degli scribi. Essi conoscevano esattamente “la lettera” della profezia, ma non il significato spirituale e profondo; infatti, quando Erode chiese loro dove il Cristo sarebbe dovuto nascere, essi aprirono i rotoli sacri e misero il dito su Michea 5:2, il quale aveva profetizzato che da Betlemme sarebbe venuto “un principe” (vedi Matteo 2: 6). Ma il loro interesse finiva lì; essi non avevano amore per quel Principe, mentre i “magi d’Oriente”, veramente sapienti secondo Dio, sebbene non conoscessero perfettamente gli scritti profetici, non ebbero riposo finché, guidati da Dio, non trovarono il luogo della nascita del Signore. Notiamo che quelli che avevano una conoscenza puramente intellettuale (quella che “gonfia” – 1 Corinzi 8:1), misero questa loro conoscenza al servizio di Erode, aiutandolo nel tentativo di uccidere il Signore Gesù, mentre quelli che avevano un vero amore per il Signore (quello che “edifica”), furono divinamente guidati e trovarono il luogo dove si realizzavano tutte le loro aspirazioni, e poterono contemplare e adorare con gioia il Signore.

Studiamo la profezia. Il fatto che Dio ci abbia messi al corrente dei suoi progetti futuri è una grazia e un favore. Ma abbiamo bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo, oltre che di quell’umiltà e di quell’amore che consentono a Dio di rendere comprensibili le sue Parole alle nostre menti e preziose ai nostri cuori.


E. W. Bullinger