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venerdì 16 aprile 2021

NADAB E ABIU

Il pensiero di Dio era che i figli d’Israele fossero per Lui “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Esodo 19:6); ma non si sono dimostrati all’altezza di questa posizione.

Aaronne e i suoi figli furono chiamati al sacerdozio (Esodo 28:1), e i Leviti furono scelti per esercitare il servizio del tabernacolo davanti a Dio (Numeri 1:50), perché erano rimasti fedeli durante la vicenda del vitello d’oro (Esodo 32:25-29).

Aaronne era il sacerdote unto con “l’olio dell’unzione” (Esodo 29:7) e aveva quattro figli: Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar, incaricati con lui a servire e poi a succedergli nella funzione di “sommo sacerdote” (Levitico 21:10). Furono tutti consacrati secondo l’ordine dell’Eterno (Esodo 29:9); non furono però tutti fedeli e la linea dei sommi sacerdoti proseguì principalmente attraverso Eleazar (Numeri 20:25-28).


Con Mosè e Aaronne sulla montagna del Sinai

Nadab e Abiu ebbero il privilegio di accompagnare Mosè e Aaronne sulla montagna e di vedere il Dio d’Israele: “sotto i suoi piedi vi era come un pavimento lavorato in trasparente zaffiro, e simile, per limpidezza, al cielo stesso” (Esodo 24:9-10). Dio “non stese la sua mano contro quegli eletti”: essi erano “nobili” tra i figli d’Israele. In quell’occasione “essi videro Dio e mangiarono e bevvero” (v. 11).

Un favore simile avrebbe dovuto riempire i loro cuori di un santo timore di dispiacergli. Tanto è grande la nostra vicinanza a Dio, tanto maggiore è la nostra responsabilità. Possiamo forse smettere di contemplarlo (2 Corinzi 3:18), e rispondere alle sollecitazioni della nostra carne che è sempre in noi, pronta a manifestarsi?

I due figli maggiori di Aaronne avevano ricevuto – come gli altri due – delle consegne precise da rispettare, prima della loro investitura come sacerdoti: “Per sette giorni (figura di tutta la nostra vita) non vi allontanerete dall’ingresso della tenda di convegno, finché non siano compiuti i giorni della vostra consacrazione” (Levitico 8:33). Dovevano comportarsi così giorno e notte, e osservare il comandamento del Signore; “Affinché non moriate; perché così mi è stato ordinato”, aveva detto Mosè (v. 35).


Nadab e Abiu presentano un “fuoco estraneo”

Guidati dalla mano fedele di Mosè, Aaronne e i suoi figli avevano adempiuto tutti i passaggi della loro consacrazione, secondo l’ordine di Dio. Il verbo “comandare” compare quattordici volte nei capitoli 8 e 9 del Levitico! Purtroppo, però, non abbiamo da leggere troppe pagine per sapere che cos’è accaduto nella famiglia di Aaronne (inizio del cap. 10).

Una disubbidienza flagrante al comandamento del Signore

Dio stesso aveva acceso il fuoco perenne indispensabile per l’altare di rame, dove si consumava lentamente l’olocausto davanti a Lui, giorno e notte. In quell’occasione era apparsa la gloria di Dio; il popolo l’aveva vista e aveva mandato grida di gioia, prostrandosi (Levitico 9:23-24). Eppure, appena consacrati, Nadab e Abiu presentano davanti al Signore un fuoco estraneo. Che terribile contrasto! Quel fuoco non era stato preso dall’altare, come si sarebbe dovuto fare, e la loro disubbidienza li ha portati alla rovina! Si sono resi colpevoli di un grave peccato, accendendo un fuoco “diverso da ciò che egli aveva loro ordinato” (Levitico 10:1).


Un giudizio immediato

Nadab e Abiu stavano davanti all’altare d’oro, quello dei profumi, con il loro incenso, quando “un fuoco uscì dalla presenza del Signore e li divorò; così morirono davanti al Signore” (10:2; Ebrei 12:29). “Allora Mosè disse ad Aaronne: «Questo è quello di cui il Signore ha parlato, quando ha detto: “Io sarò santificato per mezzo di quelli che mi stanno vicino e sarò glorificato in presenza di tutto il popolo”». Aaronne tacque.

Il suo cuore era stretto per il dolore, ma riconobbe che Dio aveva agito con giustizia (Matteo 10:37). Dalla sua bocca non uscì alcun mormorio; avrebbe potuto pronunciare le parole di Eli: “Egli è il Signore: faccia quello che gli parrà meglio” (1 Samuele 3:18).

Aaronne stette immobile, in silenzio, in mezzo ai due figli vivi e agli altri due morti. Due loro cugini, che non erano sacerdoti, portarono “i loro fratelli” lontani dal luogo santo, ancora rivestiti delle tuniche, simbolo del loro servizio e dei loro privilegi (v. 4-5). Più tardi, Aaronne dirà a Mosè, in modo toccante, alludendo ai due figli morti: “Ecco, oggi essi hanno offerto il loro sacrificio espiatorio e il loro olocausto davanti al Signore, e dopo le cose che sono successe, se oggi avessi mangiato la vittima del sacrificio espiatorio, sarebbe ciò piaciuto al SIGNORE?…” (v. 19).

Secondo il nostro parere, viziato dal contatto abituale col peccato, un tale giudizio potrebbe sembrarci troppo severo. In modo solenne, Dio stabilisce qui una nuova relazione con il Suo popolo; in quest’occasione Egli rivendica ciò che si addice alla Sua santità, come vediamo all’inizio del cap. 16 del Levitico: “Il Signore parlò a Mosè dopo la morte dei due figli di Aaronne, i quali morirono quando si presentarono davanti al Signore… Parla ad Aaronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualsiasi tempo nel santuario, di là dalla cortina davanti al propiziatorio che è sull’arca, affinché non muoia: poiché io apparirò nella nuvola sul propiziatorio” (v. 1-2). Così Dio rivelò a Mosè in quale maniera aveva provveduto a mantenere le Sue relazioni con il popolo, quando l’ingresso alla Sua presenza restava chiuso.

Cari lettori cristiani, la casa nella quale noi stiamo è “la casa di Dio” (1 Timoteo 2:15). Dio, il Figlio, è sovrano sulla Sua casa. Lo Spirito Santo vi abita e la governa alla gloria del Padre e del Figlio. Organizzare di testa propria, presiedere, decidere qualsiasi cosa in questa casa che non sia in accordo col Suo volere dimostrerebbe una grande presunzione da parte nostra. Sarebbe una totale mancanza di rispetto per la Persona divina che ne è il “capo supremo”.

Ricordiamoci dell’errore di Davide quando, senza consultare l’Eterno, aveva deciso di trasportare l’arca su un carro nuovo, anziché farla portare sulle spalle dai Cheatiti come si doveva fare. Più tardi, il re Uzzia, ha peccato osando sostituirsi ai sacerdoti, i soli autorizzati ad offrire l’incenso a Dio nel santuario. Ogni volta Dio, che veglia sulla propria gloria, dovette intervenire con un giudizio immediato.

Nei primi tempi della formazione della Chiesa, Anania e Saffira furono colpiti da un giudizio simile per aver “mentito allo Spirito Santo” (Atti 5:1-10). Bisogna riconoscere che, a partire dal giardino dell’Eden, tutto ciò che Dio affida all’uomo l’uomo rapidamente lo corrompe. 

In questa scena di Levitico 10, il sacerdozio è appena stato istituito da Dio che già proprio dei sacerdoti commettono un grave peccato. Ecco il perché di quel terribile giudizio: gli autori di quel sacrilegio muoiono davanti a Lui e tutto il popolo, che un istante prima cantava di gioia, fa cordoglio!

Secondo la misura in cui Dio è esaltato e riverito nei nostri pensieri, il nostro cammino sarà in accordo con ciò che Egli ama e ordina. Se i nostri pensieri a Suo riguardo sono poco elevati, il livello del nostro cammino ne risentirà: “C’è sempre il pericolo di ammettere nei nostri pensieri riguardo a Dio qualche elemento di familiarità profana, di cui Satana si serve in modo molto pericoloso” (C.H.M.).


Un allarme indirizzato ai sacerdoti

I diritti di Dio sui sacerdoti erano tali che essi non avevano il diritto di associarsi alle lamentele del resto del popolo (v. 6). Non dovevano neppure uscire dall’ingresso della tenda di convegno, altrimenti sarebbero morti, perché l’olio dell’unzione dell’Eterno era su di loro. “Ed essi fecero come Mosè aveva detto” (v. 7). I diritti naturali sono messi da parte, ma non eliminati; Dio può portarci ad oltrepassarli, purché i Suoi diritti siano rispettati.

Nadab e Abiu avevano forse bevuto troppo, per aver “dimenticato la legge” (v. 9; Proverbi 31:4-5). In questo caso, la loro carne aveva agito senza freni. L’ordine del Signore era chiaro: non si dovevano adoperare incensi estranei (Esodo 30:7-9). Così, poco dopo, Aaronne riceve un ordine preciso: “Tu e i tuoi figli non berrete vino né bevande alcoliche quando entrerete nella tenda di convegno, altrimenti morirete; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; e questo perché possiate discernere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è impuro da ciò che è puro, e possiate insegnare ai figli d’Israele tutte le leggi che il Signore ha date loro per mezzo di Mosè”. Non dimentichiamo che, per insegnare, bisogna essere nella condizione adatta!  


Istruzioni utili per noi credenti cristiani

La santità si addice alla casa di Dio

È chiaro che i turiboli di cui si servivano i sacerdoti nel tabernacolo dovevano essere riempiti soltanto di carboni ardenti presi dall’altare dei sacrifici (Levitico 16:12-13; Numeri 16:46).

La presenza abituale di Nadab e Abiu vicino all’altare rendeva quest’ordine di Dio facile da osservare; ma essi non si sono voluti servire del fuoco che Dio stesso aveva acceso poco prima; hanno preferito servirsi di un fuoco “estraneo”, cioè di altra provenienza. Così, il fuoco divino, che essi non avevano scelto, li ha consumati. Sono state vittime della sua forza devastante, mentre avrebbe dovuto servire solo per consumare le loro offerte!

Dio ha rifiutato quelle offerte a causa della loro disubbidienza (Numeri 3:4; 1 Cronache 24:2).

Il popolo d’Israele, liberato da poco dall’idolatria e dalla corruzione imperanti in Egitto, aveva bisogno d’imparare questo: “la santità si addice alla tua casa, o Eterno, per sempre” (Salmi 93:5). Strappati dal mondo, i riscattati del Signore sono chiamati a servirlo, e la Parola mette l’accento sulla loro santità pratica (1 Pietro 1:15-16). Notiamo bene che la santità ha un posto di rilievo in tutto il libro del Levitico.


L’uomo è messo da parte 

La Parola insiste su questo punto importantissimo: “Io sarò santificato da coloro che si avvicinano a me, e sarò glorificato davanti a tutto il popolo” (Levitico 10:3).

Poiché la Chiesa è la casa di Dio, ne consegue che “l’uomo” dev’essere messo da parte. Tutte le nostre buone intenzioni, le iniziative, le tradizioni non hanno alcuna importanza in questa casa. Noi dobbiamo comportarci, in questa casa, come “membri della famiglia di Dio” (Efesini 2:19), secondo il solo desiderio di Dio, che vi abita. Lo Spirito Santo si occupa d’insegnarci queste cose per mezzo della Parola: ascoltiamolo!

Quanto al nostro servizio personale abbiamo già visto che l’incenso presentato doveva essere offerto soltanto con il fuoco preso dall’altare del sacrificio. Questo ci ricorda che il solo fondamento accettabile è quello del sacrificio di Cristo. I profumi, composti da elementi “in dosi uguali”, erano per Dio solo. La gloria e la bellezza senza confronto del Suo amato Figlio sono prima di tutto per Lui. Allo stesso modo, per presentare la nostra adorazione, non c’è posto per un fuoco estraneo, prodotto da un entusiasmo umano.

Dopo la caduta, l’uomo ha sempre cercato di divertirsi con la musica. Jubal, uno dei figli di Caino, ha usato i primi strumenti musicali (Genesi 4:21). La musica esercita una forte influenza sui nostri sentimenti e sul nostro comportamento. I capi di questo mondo lo sanno bene (Daniele 3:4-7). Il nemico, che domina il mondo, se ne serve, a volte, per distrarre e risvegliare in noi delle passioni. Ci vuole equilibrio. Anche la musica cosiddetta religiosa non è priva di pericoli; dobbiamo stare in guardia, perché il nemico è bravissimo negli “arrangiamenti”.

Noi siamo anche molto sensibili all’eloquenza, a chi ha “una bella voce” (Ezechiele 33:32). Apollo, un vero servitore del Signore, era eloquente, ma si serviva di questa sua dote per la gloria del Signore. Facciamo attenzione: molti oratori sanno usare delle belle parole per trascinare i loro ascoltatori “dietro a sé”, su vie traverse.


Vegliare per essere protetti, in ogni tempo, da ciò che eccita la carne

La Parola ci mette spesso in guardia contro tutto ciò che influenza segretamente i nostri sentimenti naturali. 

A proposito delle bevande alcoliche, possiamo leggere, per esempio, 1 Timoteo 3:3 e Tito 2:3. Se non vegliamo, potremmo lasciarci andare, a poco a poco, a bere in modo eccessivo, superiore alla misura indicata dalla Parola in un caso particolare (1 Timoteo 5,23). Teniamoci a distanza da tutto ciò che eccita la nostra carne; era indispensabile per dei sacerdoti, e noi credenti siamo tutti sacerdoti; se cadiamo negli eccessi, non saremmo in grado di discernere fra ciò che è santo e ciò che è profano.

Adesso altri drammi si sono aggiunti a quello dell’alcol: l’uso delle droghe che è diventato un terribile flagello, soprattutto fra i giovani; e poi le passioni carnali, le perversioni, gli abusi. Come per le bevande alcoliche, solo la potenza di Dio può liberare del tutto quelli che ne sono divenuti dipendenti!

Il nostro cuore non è fatto per restare vuoto; Cristo solo lo può riempire in modo benedetto. Senza una relazione vivente con Lui, ricadiamo presto nel marasma interiore. La solitudine e l’apatia possono spingerci ad ogni tipo di eccesso. Allora, come dice un cantico, le “vane felicità di un mondo infedele” imprigionano il nostro cuore, non “creano che rimpianti e disgusto”.

Un cristiano deve vegliare e pregare in continuazione, cercare ad ogni passo, durante il cammino, la volontà del suo Dio e Padre. La strada gli è indicata dalla Parola, illuminata dallo Spirito Santo che abita in lui.


Conclusione

Nel mondo, molte cose possono essere un “fuoco estraneo”, che non deve trovarsi nell’adorazione e nei culti ai quali abbiamo il privilegio di prender parte. Un pensiero particolarmente incoraggiante, tuttavia, ci viene dalla lettura di questo passo. Il Signore ha voluto mantenere il sacerdozio, nonostante il disastro, servendosi dei “figli di Aaronne che erano rimasti” (v. 16). Possiamo vedervi un’immagine del tempo attuale: tutto ciò che riguarda la Chiesa e il servizio divino manterrà, a quanto pare, fino al ritorno del Signore, un carattere di debolezza e di povertà. Le risorse, però, vengono da Dio e restano sempre le stesse. Sono alla portata della fede ubbidiente: ricordiamoci, per la nostra consolazione, che Eleazar significa: “Dio ci ha soccorso”!


Ph. Laugt

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