Eravamo per natura figli d’ira, come gli altri. Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati).
Efesini 2:3-5
Il mistero della croce di Gesù
Quando
nel 1669 il pittore Rembrandt morì, il notaio che redasse l’inventario dei suoi
beni scrisse: “L’unico libro trovato in casa sua è una Bibbia, la Bibbia che ha
accompagnato il pittore durante tutta la sua vita”.
Ancora
molto giovane, Rembrandt illustrò numerose scene bibliche nelle quali
rappresentò se stesso fra i personaggi. Tuttavia, se nelle sue opere giovanili
lo si può vedere fra gli spettatori, col passare del tempo il pittore diventa
“partecipe” delle vicende raffigurate, come se avesse colto il vero significato
della morte di Gesù.
In
uno dei suoi dipinti si vedono degli uomini indaffarati a rizzare la croce
sulla quale Gesù è inchiodato. Rembrandt ha dipinto se stesso nel personaggio
che aiuta a rizzare la croce. La gravità disperata del suo volto e lo sguardo
accusatore del capo dei soldati, sottolineano la responsabilità di ognuno, e in particolare di colui nel quale il
pittore rappresenta se stesso.
Rembrandt
ha avuto la profonda intuizione che, se Gesù è morto sulla croce, gli uomini
che un tempo l’hanno inchiodato sul legno non sono i soli responsabili; era
responsabile anche lui perché il Signore moriva anche per i suoi peccati! Anche
lui, dunque, ha contribuito alla morte del Signore. A poco a poco il pittore ha
afferrato questa grande verità, e nei suoi dipinti successivi raffigura se
stesso come un uomo sereno, meravigliato e vinto dall’amore di Gesù.
Nessun commento:
Posta un commento