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mercoledì 28 aprile 2021

Morti al peccato, ma viventi a Dio

“Fate conto di essere morti al peccato” (Romani 6:11).

“Presentate voi stessi a Dio come di morti fatti viventi” (Romani 6:13).

“Non regni il peccato nel vostro corpo mortale” (Romani 6:12).


Questi versetti ci insegnano a vivere come discepoli del Signore Gesù Cristo. Si nota subito che questo insegnamento non è presentato come un sistema di regole particolari da osservare. Non c’è nessun elenco che ci indichi dettagliatamente come dobbiamo comportarci nelle circostanze diverse nelle quali veniamo a trovarci. Non troviamo niente di simile nel Nuovo Testamento. 

A questo riguardo, il Nuovo Testamento è in contrasto con l’Antico, nel quale i doveri della vita sono descritti in modo dettagliato e preciso, tanto che il Giudeo poteva trovare con grande facilità tutte le ordinanze religiose che doveva osservare. Nell’ultima e definitiva rivelazione di Dio, quella che troviamo nel Nuovo Testamento, la Sua volontà, per quelli che lo servono, è espressa in modo diverso.

A coloro che seguono le orme di Cristo, adesso sono indicati i princìpi generali del loro modo di vivere, non delle regole dettagliate e precise. E questi principi toccano molto più profondamente la nostra vita intima di quanto non lo facesse la legge di Mosè. Essi devono essere pesati con cura nel nostro cuore e nella nostra coscienza, ed esigono che noi vegliamo attentamente sul nostro modo di vivere, se vogliamo comportarci in modo che piaccia a Dio, ed è certamente quel che desideriamo.

Ma c’è un principio importante in rapporto alla vita dei credenti. Esso riguarda quella parte di noi esseri umani che, prima o poi, mette i credenti sinceri in una seria inquietudine, quando si manifesta: si tratta della presenza del peccato che persiste in noi. Questo fatto è sottinteso in tutta questa parte della Lettera ai Romani; infatti, supporre che un figlio di Dio possa raggiungere, in questo mondo, uno stato di totale assenza del peccato, è solo un sogno privo di senso. È falso pensare che ci siano delle persone che vivono nel mondo come se fossero nel cielo, perché totalmente al riparo da ogni cattiva influenza esterna o interna. E tutti quelli che pensano di essere in un simile stato di perfezione si sbagliano di grosso (1 Giovanni 1:8, 10).

Paolo presenta la presenza del peccato nell’uomo, e quindi anche nel credente, con l’immagine di un tiranno che, in lotta con la giustizia e la santità divine, cerca di esercitare il suo dominio. In parallelo con la descrizione delle tendenze di questa potenza malvagia, è sviluppata la verità della signoria e dell’autorità di Dio. Dai nostri progenitori abbiamo ricevuto, come eredità inalienabile, una natura peccatrice: è quello che caratterizza la famiglia umana naturale. Però c’è un’altra famiglia, di cui Cristo è il capo, alla quale appartengono tutti i credenti. Ora se siamo credenti sinceri e lucidi impariamo per esperienza che, nonostante la nostra nuova posizione nella seconda famiglia, il peccato è sempre presente in noi come una forza attiva. Questo non pregiudica certo la nostra salvezza, ma implica un combattimento continuo nel quale lo Spirito Santo interviene con potenza per darci l’energia per vincere e onorare il Signore. 

“La carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra di loro…” (Galati 5:16). “Camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne” (id. v. 17).


W. J. Hocking

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