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giovedì 14 gennaio 2021

14 gennaio - Ubbidienza, non servitù

(Gesù disse ai discepoli:) “Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici”.

Giovanni 15:14-15

 

Ubbidienza, non servitù

 

Il peccato fu introdotto nel mondo quando Adamo ed Eva disubbidirono all’unico comandamento che avevano ricevuto da Dio. Oggi, ciò che caratterizza un credente è che, mediante la fede, ha ricevuto gratuitamente il perdono e la vita, quindi è normale che debba ubbidire a Dio. Ma perché questa ubbidienza è spesso vissuta come un peso invece che come una grazia e un favore? Forse perché l’ubbidienza, nella concezione umana, si oppone alla nozione di libertà, alla quale tutti aspirano.

Ma non dimentichiamoci che ci sono molti plausibili motivi per ubbidire:

L’obbligo: anticamente non si chiedeva a un servo se voleva ubbidire o no; lo si costringeva, anche con la forza se era necessario. L’ubbidienza chiesta a un bambino dai suoi genitori, per formarlo e proteggerlo dai pericoli fa parte della sua educazione, e il bambino deve sottomettersi, per il suo bene.

La necessità: la maggior parte di voi, lettori, siete (o siete stati) dei lavoratori dipendenti, tenuti a seguire le direttive dei superiori, pena la perdita del posto di lavoro.

L’amore: ma ecco che il credente, per ubbidire al Signore, ha dei motivi ben diversi dall’obbligo o dalla necessità; lo fa per amore e per rispetto verso Dio che si è rivelato a lui come un Padre pieno di tenerezza; ed anche per piacere a Gesù, il suo Salvatore che ha dato la propria vita per strapparlo alla perdizione eterna. “Se voi mi amate – ha detto il Signore – osserverete i miei comandamenti” (Giovanni 14:15).

Consideriamo dunque l’ubbidienza a Dio non come una schiavitù, ma come la libertà dell’amore!