La focaccia rivoltata
“Efraim si mescola con i popoli. Efraim è una focaccia non rivoltata” (Osea 7:8). Questa figura descrive lo stato morale di Israele che si era alleato al mondo – rappresentato dall’Egitto e dall’Assiria – e non si era pentito.
Una focaccia non rivoltata, cotta solo da una parte, non è appetitosa: dev’essere prima cotta sul fuoco da ambedue le parti e solo in seguito potrà servire da nutrimento. Uno che si dice credente e poi si associa al mondo e si comporta come i non convertiti, è una focaccia non rivoltata. Ha due facce, con consistenza e aspetto diversi, e non può sentirsi a suo agio né in compagnia dei veri credenti, né in quella delle persone del mondo. Ma anche il credente deve fare attenzione a non farsi complice di Satana, né a identificarsi con un mondo di cui costui è il capo, un mondo che ha crocifisso Cristo e lo rigetta ancora. I più pericolosi strumenti del diavolo sono proprio i falsi credenti che si associano al mondo e indietreggiano davanti alla croce. Paolo li chiama “nemici della croce di Cristo”, non propriamente “nemici di Cristo”, ma della sua croce. Infatti, rifiutano di lasciarsi “crocifiggere”, e vogliono salvare la loro vita in Adamo, pur pretendendo di seguire il Signore (Filippesi 3:18, 19; Matteo16:24-26). Ma un cristianesimo senza croce è un cristianesimo senza Cristo.
Per il credente la frontiera con questo mondo sarà sempre “la croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo” (Galati 6:14). Questo confine è tracciato prima nel nostro cuore, secondo il posto che Cristo vi occupa, poi nel nostro cammino quaggiù dove dobbiamo dimostrare che, come Lui, anche noi non siamo del mondo (Giovanni 17:14, 16).
Seguendo l’esempio di Mosè, dobbiamo, per fede, congedarci definitivamente dall’Egitto, il paese della nostra “nascita”, senza temere la collera del re che ci inseguirà, ma che non potrà nuocerci se dimoreremo in Colui che l’ha vinto alla croce. Quando ci saremo incamminati nel deserto, se ci affideremo a Lui, i cocomeri dell’Egitto non occuperanno più né i nostri pensieri né i nostri desideri; ma se cerchiamo di stabilirci nel deserto o, peggio ancora, di ritornare in Egitto, Dio dovrà “rivoltare la focaccia” sul fuoco, infrangere la nostra volontà personale con la sua disciplina e raggiungere il male fin nelle sue radici più profonde, per liberarci dalla morsa del mondo e del suo principe e ricondurci all’obbedienza alla Sua volontà. “Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui… Il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:15)
Quanto più un cristiano ha a che fare col mondo, tanto più è esposto al pericolo di conformarsi allo spirito di questo secolo. Se così avviene, Dio interverrà per rompere i lacci che l’hanno legato e per questo scopo si può anche servire delle difficoltà che si incontrano nella vita.
Il tralcio potato
“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo…. Ogni tralcio che dà frutto, lo pota (o lo “monda”; letteralmente lo “purifica”), affinché ne dia di più” (Giovanni 15:1, 2). Le cure della disciplina paterna si applicano solo ai suoi figli, i tralci che danno frutto. Che conforto per il credente chiamato ad attraversare la prova, il sapere che, se suo Padre lo “purifica” come si fa col tralcio, è perché dia più frutto! Lo scopo di quest’opera paterna di purificazione è perché i suoi figli manifestino sempre di più la vita della vera vite, cioè del Signore. E’ vero che solo nella gloria “saremo simili a Lui, perché lo vedremo com’Egli è” (1 Giovanni 3:2), ma la volontà del nostro Padre è che, fin da quaggiù, “siamo ricolmi di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (Filippesi 1:11).
Questa potatura è dolorosa, perché il Coltivatore deve eliminare tutto quello che impedisce al tralcio di portare frutto in abbondanza. Egli desidera ottenere del frutto, più frutto, molto frutto. Il Signore dice: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli” (v. 8). Condividiamo il desiderio del Padre e rallegriamoci del fatto che, nel suo amore, Egli ci guiderà, con la sua disciplina piena di grazia, allo scopo che si è proposto!
Ma perché sia raggiunto questo scopo, bisogna anche dimorare in Cristo. “Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me… Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché, senza di me, non potete far nulla” (v. 4 e 5).
Dio vuole farci progredire nella comunione con Cristo. Le vanità temporanee occupano troppo facilmente, nei nostri cuori, il posto che appartiene a Lui, privandoci così della sua comunione. E’ dunque una grazia che Egli, a volte mettendo delle prove sulla nostra via, ci porti a dimorare in Cristo e a portare più frutto. Separati da Cristo siamo incapaci a far fronte, coi nostri sforzi, alla nostra responsabilità di cristiani. La vita nuova del credente rimane legata a Colui che ne è la sorgente, come il tralcio è legato al ceppo.
Quando attraversiamo la prova, consoliamoci e rallegriamoci al pensiero che è il divino Coltivatore che pota il tralcio, e che Lui conosce il nostro stato e le nostre circostanze. Egli sa di quale prova abbiamo bisogno perché sia raggiunto il suo scopo e, di conseguenza, regola ogni cosa. “L’opera sua è perfetta, poiché tutte le sue vie sono giustizia. E’ un Dio fedele… Fedele è colui che vi chiama ed Egli farà anche questo” (Deuteronomio 32:4; 1 Tessalonicesi 5:24). Possiamo dunque dire con Davide: “Dio mio, in te confido; fa’ che io non sia deluso… Nessuno di quelli che sperano in te sia deluso” (Salmo 25:1- 3)
Focaccia rivoltata sul fuoco che consuma i legami che ci legano al mondo; tralcio mondato dal Padre, perché rifletta meglio le perfezioni della vera Vite. “Chi può insegnare come lui?”, dice Eliu (Giobbe 36:22). Riceviamo con gioia, e nella sottomissione alla Sua volontà, le benedizioni che Dio ha in vista per noi per mezzo della Sua disciplina.
M. Tapernoux