Si può dire che lo scopo principale della Lettera ai Romani sia di rispondere alla domanda: “Come potrebbe il mortale essere giusto davanti a Dio?” (Giobbe 9:2). Per far questo, Paolo sviluppa il messaggio del Vangelo, la buona notizia della grazia e dei suoi effetti pratici per l’uomo peccatore. Questa Lettera, tuttavia, non mostra nel dettaglio i pensieri di Dio su Cristo e sulla Sua Chiesa. Questo aspetto importante della verità divina, già esposto, in parte, nella prima Lettera ai Corinzi, sarà rivelato pienamente solo negli ultimi scritti di Paolo, durante la sua prigionia a Roma (Lettera agli Efesini ed ai Colossesi).
Facendo un parallelo con Israele, possiamo dire che la Lettera ai Romani vede il cristiano ancora nel deserto (il mondo), la Lettera agli Efesini lo considera già nella terra promessa (i luoghi celesti), mentre la Lettera ai Colossesi lo presenta mentre attraversa il Giordano (morto e risuscitato con Cristo).
La Lettera ai Romani considera la responsabilità dell’uomo; quella agli Efesini presenta l’aspetto dei disegni divini. Cristo e la Sua opera sono il centro sul quale tutto converge.
Introduzione della Lettera (1:1-15)
A Roma si era formata un’assemblea numerosa, senza l’opera missionaria di Paolo. Il suo ardente desiderio era di far visita a quei credenti, chiamati da Gesù Cristo, per annunciare loro il vangelo (v. 15). Questo Vangelo, oltre alla salvezza dell’anima per mezzo della fede, si propone di spiegare tutto il progetto di Dio in favore dell’uomo, realizzato attraverso l’opera di Cristo. Alla fine Paolo arrivò a Roma, ma come un prigioniero di Gesù Cristo (Efesini 3:1).
Lo stato dell’umanità davanti a Dio (da 1:16 a 3:20)
Il Vangelo di Dio riguarda il Figlio di Dio, Gesù Cristo. In Lui è offerta, per grazia, una salvezza eterna. Il Vangelo, che è la potenza di Dio, si rivolge a tutti gli uomini, nello stato disperato in cui si trovano tutti, nessuno escluso. Il Vangelo rivela anche la giustizia di Dio, sul principio della fede e per la fede: “Or il giusto vivrà per fede”.
Paolo dimostra, per prima cosa, lo stato di perdizione nel quale si trova l’umanità intera (da 1:18 a 3:20).
1. La collera di Dio è verso i pagani perché hanno rifiutato la testimonianza della creazione (v. 19:20), hanno trascurato la conoscenza del vero Dio (v. 21) e hanno messo a tacere la voce della loro coscienza (2:14, 15). Notiamo tristemente come la corruzione pagana (1:29-32), che attira la giusta condanna di Dio, sia stata superata dalla corruzione della cristianità (2 Timoteo 3:2-5).
2. I filosofi e i moralisti (Giudei o pagani) sono anch’essi inescusabili nella loro ipocrisia (2:1-16). Erano numerosi nel mondo d’allora e lo sono anche nel mondo contemporaneo. Come i Farisei al tempo del Signore, erano pronti a dare delle lezioni agli altri, pur commettendo gli stessi errori e compiacendosi in questi.
3. Il popolo d’Israele, i cui privilegi sono stati tanto grandi, è colpevole di aver trasgredito la legge di Dio e di aver disonorato il Suo nome (2:17-29).
L’uomo (Giudeo o no) può avanzare ogni tipo d’obiezione (3:1-8), ma il terribile quadro della colpevolezza e della rovina dell’uomo è completo. Sei testimonianze dell’Antico Testamento lo confermano: riguardano l’atteggiamento interiore, le parole, e i comportamenti in generale (v. 10-18). Così ogni bocca è chiusa davanti a Dio e tutti sono colpevoli. Nessuno può essere giustificato dalle proprie opere (v. 19, 20).
Il perdono e la giustificazione dei peccati (da 3:21 a 5:11)
“Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio” (v. 21).
Dopo questo lungo discorso che stabilisce la colpevolezza dell’uomo (da 1:18 a 3:20), si manifesta la giustizia divina: una giustizia offerta gratuitamente all’uomo peccatore, fondata sull’opera propiziatoria (*) di Cristo. Chi crede nel Signore è giustificato per mezzo della fede in Lui e per la grazia di Dio. La salvezza è offerta sia ai Giudei sia ai pagani, gli uomini delle nazioni, i Gentili (3:21-31).
Con l’esempio dei credenti dell’Antico Testamento (Abraamo e Davide in particolare), Paolo mostra il posto che ha la giustificazione per fede in rapporto con le opere, la circoncisione, le promesse e la potenza della risurrezione, in particolare quella di Cristo (cap. 4).
1, La fede e le opere (v. 1-8): Abraamo, chiamato il padre dei credenti, è stato giustificato per mezzo della fede, senza le opere; queste, tuttavia, sono essenziali per provare la realtà della fede (Giacomo 2:21-24). La salvezza è gratuita, è un dono di Dio.
2. La fede e la circoncisione (v. 9-12): la fede ad Abraamo è stata messa in conto di giustizia (Genesi 15:6) quattordici anni prima della circoncisione, il segno della separazione dal mondo per Dio. La circoncisione è il sigillo di questa giustizia (v. 11), e Abraamo diventa il “padre di circoncisione”, capostipite di quelli che sono separati, per Dio, dal mondo.
3. La fede e le promesse (v. 13-16). Abraamo ha ricevuto da Dio delle promesse senza condizioni, il cui compimento non dipendeva che dalla fedeltà di Dio, molto prima del dono della legge a Israele.
4. La fede e la risurrezione (v. 17-22). Le promesse, infine, riposano sulla potenza del Dio della risurrezione.
Per concludere (v. 23-25), Gesù, il nostro Signore, è stato crocifisso per i nostri peccati, ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. La fede del credente si basa così sul sangue di Cristo (3:25) e sulla Sua risurrezione (4:25).
Le conseguenze di questa prima parte dottrinale della Lettera sono trionfanti (5:1-11). Il credente può godere fin da ora:
- la pace con Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo (quella della coscienza);
- il favore di Dio (la Sua grazia);
- la speranza della gloria di Dio;
- la gioia nelle sofferenze (tribolazione, pazienza, esperienza, speranza);
- l’amore di Dio versato nei nostri cuori dallo Spirito Santo;
- la riconciliazione con Dio e la salvezza.
Quanto ai peccati commessi, Dio ci dà il perdono e la giustificazione. L’opera di Cristo è stata fatta a nostro favore, per togliere i nostri peccati.
La liberazione dal peccato (da 5:12 a 8:39)
La Lettera dà ora la risposta divina ad un’altra domanda. Al peccato – la sorgente del male che è in noi (non solo i peccati, le azioni cattive) – risponde la liberazione. La morte di Cristo ora ha delle conseguenze in noi, per quel che riguarda il peccato.
Il credente e il peccato (da 5:12 a 6:23).
Benché Adamo sia la figura di colui che doveva venire (cioè Cristo), Paolo stabilisce il contrasto fra il primo uomo (Adamo) e il secondo uomo (Cristo, l’ultimo Adamo). Entrambi sono capostipiti di una discendenza di umani (quella terrena di Adamo e quella celeste di Cristo); ed ogni discendenza manifesta i caratteri morali del suo capostipite:
- per quella di Adamo: la disubbidienza e il peccato, da cui la condanna e la morte;
- per quella di Cristo: l’ubbidienza e la giustizia, da cui la vita, la grazia e la giustificazione.
Legato ad Adamo per la sua nascita nel mondo, il credente ormai è unito a Cristo. Ed ora, per lui, “la grazia regna mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo” (5:21).
Il credente è liberato dalla schiavitù del peccato, perché “è morto al peccato”, identificato con Cristo nella Sua morte: è questo che significa il battesimo (6:4). Ormai egli vive, in pratica, per Cristo, manifestando la vita di Cristo: una vita nuova che produce dei frutti per Dio, con un cammino di santità pratica. Il “vecchio uomo” è stato crocifisso con Cristo (6:6) e dev’essere tenuto effettivamente nella morte (6:11).
Le tre tappe di questo esercizio, messe in evidenza dall’esempio stesso dell’apostolo, sono:
- “Voi moriste e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio” (Colossesi 3:3, 5)
- “Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù” (Romani 6:11)
- “Portiamo sempre nel nostro corpo la vita di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (2 Corinzi 4:10).
La vita eterna è presentata sia come il termine sicuro della nostra vita cristiana (6:22), sia come un dono della grazia di Dio (6:23).
Il credente e la legge (cap. 7).
Il credente è anche “morto alla legge” (qui, la legge di Mosè). Il suo valore non si discute: essa ha rivelato lo stato dell’uomo, senza però offrirgli alcun rimedio. Il credente, tuttavia, è affrancato dall’autorità della legge (cioè è come liberato, riscattato da una schiavitù) perché la sua morte con Cristo ha eliminato l’obbligo che lo vincolava alla legge.
Gesù Cristo, il grande liberatore, risponde all’angoscia dell’anima per fargli afferrare la liberazione. Paolo ci mostra in successione:
- la liberazione dalla legge per mezzo della morte (v. 1-6);
- la conoscenza del peccato per mezzo della legge (v. 7-13);
- lo stato e l’esperienza di un’anima che non ha ancora compreso la liberazione (v. 14-23); e Paolo s’identifica con quest’anima, per dimostrare che nella nostra carne non c’è alcun bene (v. 18), che la differenza sta fra noi e il peccato che è in noi (v. 20), e che in noi non c’è alcuna forza (v. 23).
Di conseguenza, non possiamo liberarci da soli; abbiamo bisogno dell’aiuto di un altro, di Cristo. Non ci resta nulla da fare, perché la Sua opera è perfetta e completa.
Liberazione e benedizioni (cap. 8). Le conclusioni a cui arriva questa seconda parte dottrinale della Lettera sono trionfanti come quelle della prima. Liberati dal peccato, dalla carne e dalla legge, i cristiani gustano la gloriosa libertà dei figli di Dio. Lo Spirito Santo è in loro vita e potenza.
- La potenza dello Spirito di vita ci libera da ogni schiavitù (v. 2).
- Lo Spirito Santo è la nostra vita (v. 10).
- Lo Spirito di Dio ci guida (v. 14; Galati 5, 18).
- Lo Spirito di adozione testimonia che siamo figli e figli di Dio (v. 14-16). La posizione di figli implica privilegi e responsabilità. Alla relazione di figli con il Padre, si legano l’adozione e gli affetti divini.
- Le primizie dello Spirito sono testimoni della nostra liberazione finale (v. 23).
- Lo Spirito ci viene in aiuto nelle nostre infermità (v. 26).
- Infine, mentre gemiamo dentro di noi (v. 23), in mezzo ad una creazione che è in travaglio (v. 22), lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili (v. 26). Cristo intercede per noi (v. 34).
In mezzo alle sofferenze, siamo fortificati dalla speranza della gloria futura. Oggetti dell’amore di Dio e di Cristo, da cui niente e nessuno ci può separare, siamo al sicuro. Questo capitolo meraviglioso contiene una breve visione (v. 29-30) dei disegni eterni di Dio riguardo a Suo Figlio, “il primogenito tra molti fratelli”. I credenti sono presentati come: preconosciuti, predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, chiamati, giustificati e già glorificati. Questi sono i cinque anelli del consiglio divino.
Israele e il Vangelo (capitoli da 9 a 11).
Restava ancora da trattare una questione essenziale riguardo al Vangelo, offerto ora a tutti gli uomini, Giudei o nazioni, senza distinzione. Come conciliare questo messaggio di salvezza con le promesse particolari fatte anticamente da Dio al Suo popolo Israele?
Capitolo 9: la posizione dei Giudei in rapporto a Dio ed al Suo vangelo dipende da tre verità generali:
- Dio è sovrano. Non deve rendere conto all’uomo e compie il disegno della propria volontà secondo l’elezione della grazia (come dimostrano gli esempi di Isacco e Ismaele o di Giacobbe ed Esaù).
- Dio, nella Sua infinita pazienza, sopporta i malvagi, come dei vasi di ira (il Faraone, per esempio), aspettando di eseguire il Suo giusto giudizio.
- Le ricchezze della gloria di Dio si manifestano nei vasi di misericordia (noi, tutti i credenti).
Capitolo 10: a causa della sua disubbidienza, Israele ha perso ogni diritto alle promesse. Potrà essere benedetto solo attraverso la grazia. La salvezza nasce dalla fede nella parola di Dio ricevuta nel cuore (v. 17); e la fede è confermata dalla confessione della bocca (v. 9). Le tappe del cammino della salvezza di Dio verso l’uomo sono: Dio manda l’evangelista a predicare. La sua predicazione viene ascoltata. Chi le crede è salvato. Infine: il peccatore salvato invoca il nome del Signore (v. 12-15).
Tuttavia, Israele aveva respinto la testimonianza di Dio; perciò sul suo cuore è stato messo un velo (2 Corinzi 3:14-16).
Capitolo 11: nonostante tutto, Dio non ha respinto definitivamente Israele. L’apostolo ce ne dà due prove:
- Egli stesso, un Giudeo oggetto della grazia di Dio. Restava così un residuo, secondo l’elezione della grazia, confermato dall’esempio di Elia (v. 1-10).
- Dio voleva servirsi delle nazioni per risvegliare la coscienza d’Israele, e non per respingerlo (v. 11-24). (**)
- I disegni di Dio erano un mistero, in particolare quello dell’indurimento parziale e temporaneo del popolo (v. 25-31).
In definitiva, i doni di grazia e la chiamata di Dio sono assolutamente assicurati (v. 29). Se tutti gli uomini sono disubbidienti, a tutti è offerta misericordia. La grazia e la saggezza di Dio sono meravigliose!
Le esortazioni pratiche e il servizio dell’apostolo (capitoli da 12 a 15).
1° Fondate sulla dottrina di questa Lettera, le esortazioni scaturiscono dalle compassioni divine. Il cristiano appartiene a Cristo per offrirsi a Dio. La separazione dal mondo (nel cammino) e l’umiltà (nel cuore) permettono di conoscere la volontà di Dio per piacergli (12:1-4).
2° Dei doni di grazia sono dati così alla Chiesa (il corpo di Cristo sulla terra), per mantenere i legami fra i credenti (le membra del corpo). Ne derivano delle esortazioni pratiche per ogni attività dei cristiani, per le loro relazioni reciproche (v. 9-16) o con il mondo (v. 17-21). Gl’incoraggiamenti cominciano dall’amore e terminano con il bene che si attiva per superare il male.
3° Il cristiano è invitato anche a sottomettersi all’autorità e alle autorità; a causa della collera (la sua responsabilità è verso le autorità umane, come cittadino) e a causa della coscienza (la sua responsabilità è verso Dio come cristiano). L’amore resta il motivo supremo, un debito che ogni credente ha verso Dio e che niente può estinguere (13, 1-10).
4° Manca poco al ritorno del Signore: bisogna svegliarsi dal sonno spirituale per rigettare le opere delle tenebre e rivestire le armi della luce, rivestire il Signore Gesù Cristo stesso, nell’attesa della venuta del giorno eterno (v. 11-14).
5° La libertà cristiana si sviluppa poi con la responsabilità che le si ricollega e con le attenzioni che dobbiamo avere gli uni per gli altri (da 14:1 a 15:7).
Cristo è il modello perfetto di abnegazione e di devozione. Contemplandolo, possiamo realizzare i caratteri morali del regno di Dio, giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. In pratica, noi dobbiamo guardarci dal lassismo e dal legalismo, nel rispetto della coscienza del fratello, ”colui per il quale Cristo è morto” (14:15, 1 Corinzi 8:11).
6° Dio è il Dio della speranza, per i Giudei come per le nazioni. L’apostolo Paolo aveva predicato il Vangelo in tutto il mondo greco, ma ignorava quale sarebbe stato lo sviluppo del suo servizio nel mondo latino (l’Italia e l’Europa occidentale). Tuttavia, il Dio della pace era con lui (15:8-33).
Saluti e conclusione della Lettera (Capitolo 16)
I numerosi saluti che concludono la Lettera dimostrano i legami affettuosi fra Paolo e i santi di Roma, che egli non aveva mai visto, salvo alcuni. Paolo li associa a tutte le assemblee di Cristo (16:21-24).
È necessario vigilare e resistere a quelli che turbano l’assemblea con dottrine strane. Occorre essere saggi nel bene e incontaminati nel male, prima che il Dio della pace stritoli Satana sotto i nostri piedi (v. 17-20).
La Lettera ai Romani ha presentato il Vangelo di Dio e i suoi effetti pratici per l’uomo peccatore. Essa dimostra che la croce di Cristo risponde perfettamente alla responsabilità dell’uomo davanti a Dio; inoltre mette in rapporto la verità della salvezza per fede con le diverse fasi delle relazioni fra Dio e l’uomo sulla terra. Paolo non può, tuttavia, terminare la sua lettera senza ricordare quello che egli chiama il mistero, il mistero per eccellenza: il disegno di Dio di unire spiritualmente, in un solo corpo, Cristo e tutti i Suoi riscattati (fra i Giudei o fra le nazioni). Già esposto, in parte, nella prima Lettera ai Corinzi, questo mistero sarà rivelato completamente nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi, quando Paolo sarà in prigione a Roma.
Di fronte alle meraviglie insondabili del Vangelo e dei disegni eterni di Dio, Paolo chiude la lettera con una lode al Dio, unico in saggezza.
A Lui, come a Cristo, sia la gloria nei secoli dei secoli!
J. Muller
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(*) La propiziazione è l’atto di coprire il peccato sulla base di un sacrificio.
(**) Dio paragona Israele ad un olivo. Le radici e il tronco rappresentano Abraamo che ha ricevuto le promesse di Dio. Gli Israeliti sono i rami. Dio innesta gli stranieri (i non Ebrei) sull’olivo per benedirli con Israele.