“Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?». Gesù rispose: Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce. Pilato gli disse: Che cos’è verità?” Gv 18:37-38.
È utile parlare di verità?
Il pretorio di un governatore romano, con la folla fuori che rumoreggia e le autorità religiose che chiedono la condanna a morte di un loro connazionale, non sembra essere il luogo adatto per un’ordinata e pacata discussione sulla verità. Così almeno potrebbe sembrare a noi, che dagli anni passati a scuola abbiamo forse ereditato l’impressione che discutere sul tema della verità sia un’esercitazione intellettuale da lasciare a persone che hanno tempo e voglia di farlo o, al massimo, da riservare a momenti particolarmente tranquilli della nostra vita.
Di verità invece bisogna parlare, e bisogna parlarne come ne parla la Scrittura, perché è tutt’altro che un argomento ozioso. Oggi si preferisce parlare d’amore, perché nell’opinione corrente l’amore unisce, mentre la verità divide. Salvo poi a scoprire, davanti a un tribunale, che l’amore di cui tanto si parlava non era vero amore. La disprezzata verità entra allora in scena e a questo punto si rivela utile, perché viene impugnata come un randello per bastonare l’altro con il lungo elenco dei suoi veri torti.
La verità si è manifestata agli uomini
Il problema della verità si è presentato al mondo, insieme con la sua soluzione, in modo decisivo e definitivo quando “la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità” Gv 1:14. A un certo punto del suo ministero Gesù chiese ai discepoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?” ed essi risposero: “Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti”. E allora rivolse loro direttamente la domanda: “E voi, chi dite che io sia?”. Conosciamo la risposta di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” Mt 16:13-16.
La verità dunque è apparsa agli uomini nella Parola di Dio fatta carne, e davanti alla domanda: “Chi è Gesù?”, Simon Pietro, per rivelazione del “Padre che è nei cieli”, rispose secondo verità. Si potrebbe dire, usando un linguaggio attuale, che Pietro fece una corretta “confessione di fede”. Non sembra però che questo sia stato sufficiente per fare di lui un fedele seguace di Gesù.
Usando le parole del faraone, si potrebbe dire che Pietro, dopo aver riconosciuto chi è Gesù, si rifiutò di ubbidire alla sua voce. Nell’episodio della trasfigurazione il Padre rese testimonianza a Gesù dicendo: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo” Mt 17:5. Non basta dire la verità su chi è Gesù; bisogna anche ascoltarlo, cioè agire in modo conforme alla verità della Sua parola. Dopo aver riconosciuto chi è Gesù, Pietro avrebbe dovuto “camminare nella verità” (2 Gv 1:4) ascoltando le parole di Colui che aveva riconosciuto come Messia e Figlio del Dio vivente. Invece da quel momento cominciò a contrastare ripetutamente le parole di Gesù, mostrando di essere piuttosto all’ascolto dei suggerimenti di Satana, il padre della menzogna, fino al punto di farsi suo portavoce presso Gesù. Questo conferma che si può “professare di conoscere Dio” e “rinnegarlo con i fatti” (Tt 1:16). Pietro sfuggì alla tentazione di Satana soltanto quando riconobbe, con umiliazione, la verità delle parole di Gesù: “Prima che il gallo abbia cantato due volte, tu mi rinnegherai tre volte” (Mr 14:72).
Il problema della verità si presentò a Pilato, in una forma chiaramente personale-giuridica, quando gli misero davanti quel Rabbì giudeo di controversa fama. In qualità di magistrato romano, Pilato doveva prendere le sue decisioni sulla base di risposte a domande come: “Chi è Gesù?”, “Che cosa ha detto?”, “Che cosa ha fatto?”, “Che cosa vuole?” Si stava svolgendo un processo, sia pure sommario, e l’aula di un tribunale è la sede adatta per discutere il problema della verità. Tutte le persone coinvolte sono tenute a dire o a riconoscere la verità; dopo di che si esegue la sentenza.
Nel processo di Gesù la verità fu ripetutamente calpestata da diversi falsi testimoni, ma non fu questo che fece condannare il Signore Gesù: la Sua morte non fu la conseguenza di un errore giudiziario. Alle domande: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?“ Mr 14:61, “Sei tu il re dei Giudei?” (Mr 15:2) Gesù rispose con verità, dicendo che era venuto nel mondo “per testimoniare della verità” Gv 18:37. E per questo fu condannato. Non furono le menzogne dei falsi testimoni a provocare la morte di Gesù, ma la verità uscita dalla Sua bocca.
Un giorno la verità sarà ristabilita, e a questo non seguirà la pubblicazione di un articolo su qualche rivista scientifica o teologica, ma la verbalizzazione di una sentenza pronunciata dalla giuria di un tribunale. Gli uomini non sanno che con le loro dissertazioni culturali e morali riempiono verbali che un giorno saranno letti, esaminati e valutati. E il tutto si concluderà con una sentenza definitiva a cui non si potrà interporre appello.
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