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domenica 10 aprile 2022

Chi insegna come Lui?

“Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno” Rom. 8:28. 

Il versetto invita tutti i credenti a considerare “tutte le cose”, quelle che sono sgradevoli nello stesso modo di quelle che sono gradevoli, come dei mezzi di cui Dio si serve. Non solo esse concorrono al bene ultimo, ma compiono il lavoro, come implica il verbo impiegato; esse sono come utensili per formarci. Ogni utensile non lavora da solo: è tenuto da una mano e questa mano è la mano di Dio. Gli avvenimenti che ci concernono non dipendono dal caso né dalla sfortuna. Se gli utensili talvolta fanno male dobbiamo considerare che la mano che li tiene è quella di Dio.

Nel libro di Giobbe tre suoi amici – Elifaz, Bildab e Zofar – vanno da lui per confortarlo e consolarlo. All’inizio non hanno parole, poi sono addirittura prolissi e si rivelano come dei “consolatori molesti”. Basandosi su una conoscenza rudimentale del governo di Dio, affermano che tutte le disgrazie di Giobbe non possono essere altro che il castigo divino per la sua condotta.

I personaggi del libro conoscono Dio secondo le rivelazioni che Egli aveva fatto fino a quel momento e secondo quello che essi avevano potuto comprendere. Gli amici di Giobbe conoscevano il grande principio del governo di Dio, quello della retribuzione: Dio punisce il peccatore e benedice il giusto; dà all’uomo quel che si merita, secondo la sua opera. Però applicano a Giobbe questo principio in modo ingiusto e inappropriato. Giobbe è consapevole che quel principio è vero, ma non capisce perché Dio colpisca lui. 

Tuttavia Giobbe ha una conoscenza di Dio molto più profonda di quella dei suoi amici. Nei suoi discorsi sostiene che la situazione sulla terra non è necessariamente la manifestazione del piacere o del dispiacere di Dio, perché vediamo dei malvagi che prosperano, senza che Dio intervenga. Il loro giudizio, tuttavia, arriverà più tardi (21:7; 24:12).

Quello che Giobbe non sa è che le radici del male sono in ogni essere umano, anche nel credente e nell’uomo integro. Egli ignora anche che l’atteggiamento di Dio verso l’uomo, soprattutto le sofferenze che permette, non sono necessariamente una punizione, ma possono avere lo scopo di educare, possono essere una forma di disciplina. Questo Giobbe lo imparerà dal ministero di Eliu e poi direttamente da Dio.  “Allora l’ira di Eliu… si accese” (32:2, 3). Lui sa tacere e sa quando parlare.

L’uomo si metta al posto giusto davanti a Dio!

Eliu ricorda a Giobbe alcune sue affermazioni sconvenienti riguardo a Dio (33:8-11). Non le ripete alla lettera, ma nella sostanza: “Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c’è iniquità in me; ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi considera suo nemico” (v. 9-10). Notiamo che Giobbe, a differenza di come facciamo talvolta noi, non protesta dicendo: Non ho detto questo. Ma quello che aveva affermato rivelava che lui si riteneva inattaccabile, che Dio trovava delle scuse contro di lui per farlo soffrire e lo trattava come un nemico. 

La risposta di Eliu a queste parole inopportune è degna di nota: non si atteggia ad arbitro fra Giobbe e Dio, ma dimostra che l’uomo non può chiedere conto a Dio di nulla: “Ecco, io ti rispondo: In questo non hai ragione; poiché Dio è più grande dell’uomo. Perché contendi con lui? Egli non rende conto dei suoi atti” (v. 12-13).

Nella Sua grazia, Dio si occupa dell’uomo

Dal v. 14, fino alla fine del suo primo discorso (v. 33), Eliu mostra a Giobbe in che modo Dio si occupa dell’uomo. Innanzitutto gli parla: “Dio parla una volta, e anche due, ma l’uomo non ci bada; parla per via di sogni, di visioni notturne…” Qui non può essere citata la parola scritta – come potremmo fare oggi – poiché in quell’epoca remota non c’era nessuna Scrittura ispirata. Dio “apre i loro orecchi” (v. 16); li istruisce, per distoglierli da un cammino che porta alla morte.  

Dio, tuttavia, non insegna solo con le parole, ma esercita anche una disciplina sull’uomo: “L’uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore” (v. 19). Eliu descrive qui una situazione simile a quella di Giobbe (v. 20, 21). Lo scopo della disciplina è di mostrare “all’uomo il suo dovere” (v. 23). 

Tutto questo porterà Eliu ad esclamare: Chi insegna come Lui?

Nel suo primo discorso, Eliu aveva già spiegato in che modo Dio istruisce l’uomo, sia parlandogli sia disciplinandolo (33:14, 19). Nei versetti che abbiamo considerato (36:8-21), ha di nuovo parlato della disciplina di Dio, quella appunto che esercitava su Giobbe. Ora, egli completa questo insegnamento dimostrando che il Dio onnipotente agisce, nella creazione, in un modo che supera completamente l’uomo (da 36:22 a 37:24). Perciò nessuno può “prescrivergli la via da seguire” né giudicare quel che ha fatto (36:23), anzi, le opere che il mortale può solo contemplare da lontano, devono essere celebrate ed ammirate (v. 25). Esse testimoniano la grandezza di Dio: “Sì, Dio è grande e noi non possiamo conoscerlo” (v. 26). 

Giobbe, posto di nuovo, e in modo grandioso, di fronte alla maestà e alla saggezza di Dio manifestata nella creazione, Giobbe arriverà a dire: “Ecco, io sono troppo meschino, che ti potrei rispondere? Io mi metto la mano sulla bocca” (40:4). E, più avanti, manifesterà la sua umiliazione: “Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; sono cose per me troppo meravigliose e io non le conosco… Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora l’occhio mio ti ha visto. Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere” (42:3-6). Era una lezione necessaria per quell’uomo “integro e retto” che temeva Dio e fuggiva il male (cfr. 1:1). Sarebbe meno necessaria per noi?

Eliu, in qualche modo, ha contribuito a quel notevole lavoro avvenuto nel cuore di Giobbe. Bell’esempio di un saggio rimprovero!