È questo il “sentimento” che è stato in Gesù. Potremmo pensare che esso va ben oltre quel che noi possiamo realizzare, tuttavia Paolo scrive: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù” (Filippesi 2:5). Dovremmo sempre commuoverci, pensando a dove Lo ha condotto questo sentimento; e dovremmo anche sentirci stimolati a ripetere nella nostra vita quello che Egli ha fatto – soprattutto per quel che concerne i rapporti con i nostri fratelli. Il Signore Gesù ha percorso un sentiero che lo ha portato dalla gloria più alta all’umiliazione più profonda: svuotò se stesso; poi, vivendo nel mondo, umiliò se stesso (v- 6-8).
L’espressione “umiliò se stesso” e le altre dello stesso versetto – “facendosi ubbidiente”, “fino alla morte”, “alla morte di croce” – possono essere collegate a quattro luoghi citati nei Vangeli: la Galilea, il Getsemani, Gabbatà e il Golgota. Il Suo cammino di abbassamento è stato un lungo percorso di sottomissione; ma, considerando queste quattro località, possiamo notare la Sua immensa grazia, ed apprezzare meglio il Suo “sentimento” cercando di manifestarlo nella nostra vita.
La Galilea
Che percorso meraviglioso fu quello del Signore, come ce lo descrivono i Vangeli!
Il Signore Gesù era nato dalla stirpe reale, nella città di Davide, Betlemme di Giuda. Giuseppe, fuggito in Egitto con il bambino, alla morte di Erode aveva avuto paura di tornare a Betlemme; poi, “avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea, e venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno” Matteo 2:22-23.
Se Dio ha protetto in Galilea Colui che era “un ramo” uscito “dal tronco d’Isai”, questi ha fruttificato là dove era stato piantato (Isaia 11:1). Il profeta aveva annunciato: “Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo” (53:2). Luca ci ritrae in pratica queste parole, dicendo: “E il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui… E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini” Luca 2:40, 52. Era ammirevole anche nella sottomissione ai Suoi genitori, Maria e Giuseppe.
La Galilea era da molto tempo una regione disprezzata. Quando Salomone aveva offerto a Chiram, re di Tiro, venti città di questa regione, “non gli piacquero; e disse: Che città sono queste che tu mi hai dato, fratello mio? E le chiamò “Terra di Cabul”, nome che è rimasto loro fino a oggi” 1 Re 9:12-13. Cabul significa “che non serve a niente”. Poiché si trovava all’estremità settentrionale d’Israele, era stata la prima regione invasa dalle nazioni del nord ed era quella che ne risentiva di più la vicinanza.
Ma Dio, nella Sua grazia, ha voluto visitare il popolo della Galilea: “Il popolo che camminava nelle tenebre vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte la luce risplende” Isaia 9:1.
La lebbra, i demoni e tutte le miserie umane erano la manifestazione delle conseguenze del peccato sulla creazione. In risposta a questo, il Signore “Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il vangelo del regno, guarendo ogni malattia e ogni infermità fra il popolo” Matteo 4:23. Ma qual è stata la loro reazione di fronte a questo dispiegamento di grazia e di verità? All’inizio “tutti gli rendevano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”, ma presto “udendo queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni d’ira… lo cacciarono fuori dalla città, e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la loro città, per precipitarlo giù” Luca 4:22,28-29. Il profeta Isaia illustra il loro comportamento verso Gesù, quando scrive: “Non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna” Isaia 53:2-3.
Il Signore Gesù sapeva bene che un profeta non è stimato in casa sua (Matteo 13:57), tuttavia proprio in Galilea abitavano molte delle persone di cui Dio si era compiaciuto: là viveva la giovane donna adatta a diventare sua madre (Luca 1:26, 27); là alcuni discepoli Gli hanno chiesto: “Dove abiti?” ed Egli ha risposto:; “Venite e vedrete” Giovanni 1:39-40. Di là veniva Natanaele, scettico sulle prime, ma che Gli ha poi reso ogni onore (v. 48-50). Dalla Galilea venivano anche quelle donne fedeli che lo avevano seguito e che troveremo ai piedi della croce, quando anche i Suoi discepoli lo avevano abbandonato fuggendo (Matteo 27:55; Luca 23:55). Sempre in Galilea Gesù ha compiuto il primo miracolo, mutando l’acqua in vino e manifestando così la Sua gloria (Giovanni 2:11). È ancora in Galilea che Egli dà appuntamento ai discepoli, dopo la Sua risurrezione: “Vi precederò in Galilea” (Matteo 26:32). Alla Sua ascensione, gli angeli si rivolgono ai discepoli, dicendo: “Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che vi è stato tolto ed è stato elevato in cielo, tornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo” Atti 1:11.
Sforziamoci di rimanere in questa attitudine di umile virtù morale di cui ci parlano questi passi, aspettando il ritorno del Signore Gesù che verrà a prenderci per portarci con Sé.
Il Getsemani
Questo è uno dei numerosi giardini citati nelle Scritture. In genere erano dei luoghi piacevoli, recintati, irrigati, curati per il piacere dei proprietari. Dio aveva piantato un “giardino in Eden, a oriente” e aveva fatto “spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi” Genesi 2:8-9. I giardini del Cantico dei Cantici erano pieni di fiori, frutti e spezie (4:12-16). Questi luoghi isolati si prestavano molto bene sia alla meditazione solitaria sia alle gioie della compagnia. Getsemani aveva questo carattere per il Signore Gesù; Egli “si era spesso riunito là con i suoi discepoli” Giovanni 18:2.
Così, dopo aver mangiato la Pasqua, “andò, come al solito, al monte degli Ulivi, e anche i discepoli lo seguirono” (Luca 22:39; Giovanni 18:1). Quella notte, però, le cose dovevano andare in modo diverso dal solito. Invece della gioia, il Signore è oppresso dall’angoscia più profonda. Il Getsemani merita davvero il suo nome di torchio per l’olio. Turbato oltre ogni misura nell’anima, Gesù “cominciò a essere triste e angosciato” e disse ai discepoli: “L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me” Matteo 26:37-38. Il Signore Gesù dice: “Ho aspettato chi mi confortasse, ma invano; ho atteso dei consolatori, ma non ne ho trovati” Salmi 69:20. Da un lato le Sue sofferenze erano troppo profonde per i Suoi discepoli - è per questo che Egli “si staccò da loro circa un tiro di sasso” (Luca 22:41) e, d’altra parte, non avevano l’energia che avrebbero dovuto avere, dopo tre anni e mezzo trascorsi un Sua compagnia. Si addormentano quando Lui s’inginocchia e “essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente” Luca 22:44. Che scena! Il Signore della gloria, con la faccia nella polvere, ha davanti il calice che il Padre Gli porge, colmo di tutto quel che dovrà subire a causa del peccato e del giudizio su di esso. Prega tre volte, e il Suo sudore diventa “come grosse gocce di sangue che cadevano in terra” Luca 22:44. Contempliamo con meraviglia la Sua sottomissione: “Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà” Matteo 26:42.
Che contrasto con Adamo! Il giardino di Eden era quel che il suo nome indicava: un luogo di delizie. Tutto quel che vi si trovava era fatto perché l’uomo potesse godere della bontà del Creatore. Adamo doveva semplicemente obbedire a Dio; ma purtroppo è caduto nella trappola tesagli dal diavolo. Quando il Signore Gesù, all’inizio del Suo ministero pubblico, è stato portato dal diavolo nel deserto per essere tentato, non ha lasciato la dipendenza da Dio e l’obbedienza alla Sua volontà: dipendeva da Dio e da Dio soltanto. Pieno di Spirito Santo, si è servito della Parola di Dio per vincere il diavolo. La Sua vita è stata caratterizzata dalla preghiera e dall’obbedienza fino alla fine – “Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime, egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì” Ebrei 5:7-8.
Alzandosi dal luogo in cui aveva pregato, il Signore Gesù va verso il luogo in cui si offrirà in sacrificio. Ma in Getsemani dovrà subire ancora un dolore: Giuda, che conosceva il posto, arriva alla testa di una folla e lo “tradisce con un bacio” Luca 22:48. Il giardino all’improvviso è animato da lanterne e torce, da spade e bastoni. Pietro tenta d’intervenire, ma il Signore lo riprende: “Rimetti la spada nel fodero; non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?” (Giovanni 18:11). Gesù si lascia prendere dai Suoi nemici e intercede per i Suoi: “Se dunque cercate me, lasciate andare questi” (v. 8); ma tutti l’abbandonano e fuggono.
Che dolore per il tradimento da parte di colui che Egli chiama “mio compagno e mio intimo amico” (Salmi 55:13). Si erano incontrati “con piacere”, ma ora quello di cui si era fidato e con cui aveva spartito il pane “si è schierato contro di me” (Salmi 41:9). Queste espressioni di tenerezza, rivolte ad un cuore freddo e calcolatore, sono strazianti; ma Gesù ha sopportato tutto per obbedienza e per amore. Questo doveva precedere la potenza e la gloria di un giorno che sorgerà presto sul monte degli Ulivi (Zaccaria 14:4). Quanto amore è colato dal torchio delle olive in quella notte!
Quanto a noi, imitiamo il Suo esempio, come ha fatto Paolo, che si è sottomesso alla volontà del Suo Signore, dopo aver pregato tre volte per essere liberato da una “spina” (o “scheggia di legno”, figura di un’infermità fisica dolorosa – 2 Corinzi 12:8-10).
Gabbata
Gabbatà significa luogo elevato; là aveva la sua sede il governo romano a Gerusalemme. Qui è stata decisa la morte del Signore Gesù, il Creatore della vita, nonostante il governatore stesso, Pilato, avesse riconosciuto: “Egli non ha fatto nulla che sia degno di morte” (Luca 23:15). Trattenuto per un momento dalle parole di Gesù “tu non avresti alcuna autorità su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto; perciò chi mi ha dato nelle tue mani ha maggior colpa” (Giovanni 19: 11), Pilato ha anche cercato di liberarlo. “Ma i Giudei gridavano, dicendo: “Se liberi costui non sei amico di Cesare” (v. 12)”. “Pilato dunque, udite queste parole, condusse fuori Gesù e si mise a sedere in tribunale nel luogo detto Lastrico, e in ebraico Gabbatà” (v. 13). A quel punto, anziché emanare un giusto giudizio, Pilato si lavò ostentatamente le mani per far cadere sul popolo la colpa del sangue di Gesù, e lo consegnò nelle loro mani. Il nostro Salvatore “umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte” (Filippesi 2,8).
Il comportamento del nostro Salvatore, in quella situazione terribile, è meraviglioso, ma ricordiamoci che noi siamo chiamati ad imitarlo! “Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandoci un esempio perché seguiate le sue orme. Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno. Oltraggiato, non rendeva gli oltraggi, soffrendo non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica giustamente” (1 Pietro 2: 21-23).
Il Golgota
“Svuotò se stesso… fino alla morte… di croce”. Nel Vangelo di Marco, gli uomini portano Gesù al Golgota, il luogo del Teschio (15:22); in quello di Giovanni, Egli esce e va “portando la sua croce” (19:17). “Egli fu crocifisso per la sua debolezza“ (2 Corinzi 13:4), ma quando rimette il Suo Spirito a Dio, lo fa “con gran voce” (Matteo 27:50).
Pietro dice ai Giudei, il giorno della Pentecoste: “Voi, per mano d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste” (Atti 2:23). E Paolo scrive, ai Gentili: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: Maledetto chiunque è appeso al legno” (Galati 3:13).
Vediamo i sacerdoti e Pilato discutere per l’iscrizione nel cartiglio posto sulla croce del nostro amato Signore (Giovanni 19:19-22). Nessuno dei “dominatori di questo mondo” ha conosciuto la sapienza di Dio – quella nascosta – “perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1 Corinzi 2:7-8). La sapienza di Dio si trovava là in persona: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Corinzi 1:23,24). Egli ha imparato l’ubbidienza attraverso le cose che ha sofferto, come uomo sottomesso, ed è diventato, per la morte sulla croce, “per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna” (Ebrei 5:9). Che Salvatore!
La gloria
E dopo la Galilea, il Getsemane, il Gabbatà e il Golgota, che cosa c’è? La gloria!
Là il Signore Gesù è entrato: “Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore alla gloria di Dio Padre” Filippesi 2:9-11.
“Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” Luca 24:26.