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giovedì 12 maggio 2022

"Io ti passai accanto"

(Ezechiele 16)


C'è un neonato abbandonato in terra, in aperta campagna. E' una femmina. L'hanno gettata lì subito dopo la nascita. Non l'hanno lavata né fasciata. Si dibatte nel sangue.

Ma qualcuno le passa accanto. Sa che morirebbe senza il suo intervento e le parla. Le dice "Vivi! tu che sei nel sangue". Glielo ripete ancora: "Vivi!". Le fa delle promesse straordinarie. Quel piccolo essere indifeso, destinato a morire, abbandonato da tutti, sarebbe vissuto, sarebbe venuto su come "il germoglio dei campi" che, miracolo della natura, si moltiplica e si moltiplica, fino a produrre innumerevoli pianticelle. 

Così descrive il profeta Ezechiele (16:4-6) la chiamata di Abramo. Sembra incredibile, ma lo Spirito usa proprio questa sconcertante e, per certi versi, macabra raffigurazione, per mettere a fuoco alcune fondamentali verità. 

Quel neonato che si dibatte nel sangue qui raffigura Abramo, ma il suo stato è anche quello di ogni essere umano lontano da Dio a motivo del peccato, schiavo di Satana. Nessuno può aiutarlo. Morirà certamente. E' nato per vivere, ma la vita gli sfugge. Come Adamo che aveva ricevuto il soffio di vita dal Creatore, ma che, per disubbidienza, ha dovuto sentirsi dire "Certamente morirai" (Ge. 2:17).

Ma c'è un Dio che ama la sua creatura. Non è un Dio lontano (At. 17:27). Si trova lì, al momento giusto, come al capezzale di un morente, per prendersene cura e garantirgli la vita. "Io ti passai accanto, vidi che ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi! tu che sei nel sangue! Ti ripetei: Vivi!" (v. 6).

"Vivi!". Chi può dare quest'ordine se non Lui? Chi può pronunciare queste parole in un mondo dove regna la morte, e ad una creatura che ha perso ogni diritto alla vita?

Il neonato "si dibatte". Si direbbe che abbia voglia di vivere ad ogni costo. Tenta di uscire da quella tragica situazione, ma non ne è in grado, perché non sa come fare e non può fare nulla.

Così l'Eterno ha trovato Abramo. In una città idolatra, in una famiglia idolatra (Gios. 24:2). Quando l'Israelita, entrato nel paese promesso, si presentava davanti a Dio per offrirgli le primizie dei frutti, doveva pronunciare un breve discorso che così iniziava: "Mio padre (Abramo) era un Arameo sul punto di morire (alcuni traducono errante)" (De. 26:5). Lo stesso cap. 16 di Ezechiele così incomincia: "Per la tua origine e per la tua nascita sei del paese del Cananeo " (v. 3).

Ma a quest'uomo, Dio ha promesso la vita; e non soltanto per sé. Una discendenza numerosa "come le stelle del cielo" e "la sabbia del mare" è la vita che si moltiplica e si perpetua nei secoli. 

La neonata cresce. Diventa bambina poi ragazza. Si sviluppa, giunge al colmo della bellezza (v. 7), ma è "nuda e scoperta". E di nuovo ricorre questa frase: "Io ti passai accanto" (v. 8). Qui c'è la formazione del popolo d'Israele. Alla fine dei quattro secoli di soggiorno in Egitto, i discendenti di Giacobbe erano numerosissimi. Ma erano schiavi. La conoscenza del Dio di Abramo era molto limitata. Non avevano altare per offrire sacrifici.  Nelle case di molti di loro c'erano degli idoli. Ma li chiama "mio popolo". "Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, ho udito il suo grido... conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo" (Es. 3:7-8). E' l'Eterno colui che passa accanto a quella fanciulla, copre la sua nudità e la sua vergogna, la lava, la unge con olio, la ama. L'adorna di gioielli e di vesti di seta. L'amore di Dio per il suo popolo è ampiamente descritto nella Parola. "Io ti amo di un amore eterno - fa dire da Geremia - perciò ti prolungo la mia bontà" (31:3). Ma con altrettanta frequenza ricorrono espressioni commoventi e severe, di sconforto e di delusione, e anche parole minacciose per la sua infedeltà e la sua ribellione. "Tu ti prostituisti... prendesti pure i tuoi bei gioielli fatti del mio oro, e ti facesti delle immagini d'uomo... Prendesti quelle vesti ricamate e ne ricopristi quelle immagini..." (v. 15-34).

Da quando il profeta scrisse queste parole, passarono molti secoli. Ed ecco che il Signore Gesù ripropone, in parabola, la situazione disperata del suo popolo e dell'uomo in generale, e la grazia infinita di Dio che lo vuole salvare. "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono, poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto" (Lu. 10:30-35). Di nuovo lo stesso tragico quadro. Di nuovo sangue e prospettiva di morte.  E di nuovo Dio che si presenta, perché il Samaritano della parabola è certamente il Signore che viene in casa sua, in un popolo oppresso, per liberarlo, ma col progetto ben più esteso di portare la salvezza a tutti gli uomini. "Un Samaritano, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe".

Chi osa dire che Dio non s'interessa della sua creatura? o che è un Dio lontano, indifferente alla sua disperata situazione? Cristo è venuto, animato da un infinito amore, quello stesso che il Padre aveva per il suo antico popolo. E' sceso in terra, è passato accanto a un'umanità morente, si è chinato sulle sue piaghe. E' venuto per dirci "Vivi!". E' morto e risuscitato perché i credenti avessero la vita e l'avessero "in abbondanza" (Gi. 10:10).

Ci può essere amore più grande? E ci può essere affronto più grave di quello di ignorare deliberatamente un tale amore? Per questo peccato, il popolo d'Israele ha pagato un gravissimo prezzo e ancora lo sta pagando. E così sarà fino al suo pentimento e alla sua conversione. E per non aver tenuto conto di Dio e delle sue rivelazioni l'umanità intera, compresa la cristianità fatta di falsi credenti, subirà fra non molto un tremendo castigo. Ma quelli che sono scampati alla morte, che hanno accettato di farsi curare le piaghe dal Dio d'amore, vivranno. Vivranno per sempre, con Lui!