Seguici anche su Facebook!

Seguici anche su Facebook! Unisciti al Gruppo cliccando su:
https://www.facebook.com/groups/287768858057968/

domenica 9 marzo 2025

09 marzo - Saper dire di no

Figlio mio, se i peccatori ti vogliono sviare, non dar loro retta.

Proverbi 1:10

 

Fuggi le passioni giovanili e ricerca la giustizia, la fede, l’amore, la pace.

2 Timoteo 2:22

 

Saper dire di no

 

È difficile dire di no, soprattutto ad alta voce, opponendosi al pensiero della maggioranza. È difficile essere anticonformisti, andare contro corrente.

La Bibbia racconta di alcuni che hanno saputo dire di no. Un “no” che ha cambiato la loro vita e aperto un nuovo percorso. Mosè aveva un futuro ben delineato, era considerato il nipote del faraone che regnava sull’Egitto, aveva potere e ricchezze; eppure, “rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, che godere per breve tempo i piaceri del peccato” (Ebrei 11:24-25).

Anche a te, lettore, potrebbero venire proposte delle attività a cui non dovresti partecipare, delle situazioni non chiare dalle quali non ne usciresti bene, delle scelte pericolose. Impara a dire “no” anche se gli altri ti scherniscono per i tuoi scrupoli e ti trovano ridicolo. Sappi dire “no” quando vogliono cambiare il senso delle dichiarazioni divine e seminare il dubbio nel tuo cuore riguardo alla Parola di Dio, alle sue verità, alle sue promesse. Di’ “no” quando il diavolo vuole trascinarti nel peccato, e vuole farti credere che puoi tranquillamente commetterlo, che nessuno lo verrà a sapere e che non ci saranno conseguenze negative.

Di’ “no” se vogliono trascinarti in ambienti in cui il tuo Salvatore non potrebbe seguirti. Rifiutati di ascoltare calunnie o maldicenze.

Ma non essere mai presuntuoso o altero quando dici questo “no”. Dillo con semplicità ma con chiarezza, con umiltà ma con cuore risoluto.

sabato 8 marzo 2025

Una preghiera di Daniele (1)

Una preghiera di Daniele 

(Daniele capitolo 9)


Il libro di Daniele contiene, oltre a profezie straordinarie, anche molte istruzioni pratiche per la nostra vita cristiana. Daniele, giovane israelita della famiglia reale, era stato condotto prigioniero a Babilonia. Nonostante le influenze pagane da cui era circondato era rimasto fedele al suo Dio. Un aspetto caratteristico della sua vita è la preghiera. Ricordiamo, ad esempio, l’episodio del cap. 2 in cui, con i suoi compagni, si trova in una situazione di estremo pericolo, e quello del cap. 6 in cui lo vediamo continuare a pregare nonostante il divieto formale del re.

Il cap. 9 ci riporta nel dettaglio una preghiera particolarmente istruttiva. I primi versetti indicano l’occasione che hanno condotto Daniele a quel momento: nel libro del profeta Geremia ha letto un passo che riguardava in modo preciso il tempo che stava vivendo: “Io, Daniele, meditando sui libri, vidi che il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia, e durante i quali Gerusalemme doveva essere in rovina, era di settant’anni” (v. 2). Ciò lo spinge a cercare il suo Dio per mezzo della preghiera. I v. da 4 a 19 riportano le sue parole: è una confessione a Dio per la colpa e le mancanze del popolo.

Daniele, come pure Esdra e Neemia, si identifica col peccato di Israele (v. 4-6) e accetta e riconosce come giusta l’azione severa di Dio verso il popolo. Egli sa che Dio deve agire con giustizia, secondo quanto il popolo ha meritato: “A te, o Signore, la giustizia; a noi la confusione della faccia… perché abbiamo peccato contro di te” (v. 7-8). Ma fa anche appello alla compassione e alla grazia divine, confidando nel fatto che Dio avrebbe agito, nella Sua misericordia: “O mio Dio… apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni… Non ti supplichiamo fondandoci sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia… agisci senza indugio per amore di te stesso, o mio Dio” (v. 16-19).

Dal v. 20 troviamo la risposta che Dio dà a quella preghiera. La comunicazione divina contiene tra l’altro un’importante rivelazione riguardante le “settanta settimane” di anni (v. 25-27),  una profezia molto estesa che arriva fino alla reiezione del Messia e si spinge poi ben oltre, fino al periodo dei terribili giudizi di Dio che Apocalisse descrive in dettaglio. Varrebbe la pena approfondire la risposta data da Dio, ma non è il nostro scopo.

La sua preghiera è per noi uno splendido esempio, con dei dettagli molto istruttivi per la nostra vita di preghiera. Ci soffermeremo su sei punti.

L’atteggiamento giusto

Nel v. 3, vediamo Daniele volgere lo sguardo a Dio con lo scopo di disporsi “alla preghiera e alle suppliche, con digiuno, con sacco e cenere”. Da questo modo di porsi possiamo capire il suo atteggiamento interiore.

– Si rivolge a Dio per parlargli.

– Lo supplica. La sua preghiera è pressante.

– Prega e digiuna, cioè si concentra sulla preghiera e, per un momento, mette tutto il resto da parte.

– Si copre di un sacco o vi si sdraia sopra (cfr. Isaia 58:5; Geremia 6:26, ecc.). Si avvicina a Dio nella tristezza e nella confusione per il fallimento del suo popolo.

– Si siede nella cenere, riconoscendo così la propria nullità.

Questo atteggiamento ci parla. Non tutte le preghiere hanno queste caratteristiche, è chiaro, ma a volte non abbiamo forse delle buone ragioni per rivolgerci a Dio nella medesima maniera?


Il timore di Dio

Daniele non riconosce solo la sua piccolezza, ma anche la grandezza di Dio. Gli si rivolge come al “Signore, Dio grande e tremendo” (v. 4). Prega con un profondo rispetto, cosciente della giustizia e della santità di Dio.

Oggi noi conosciamo Dio come Padre, cosa che non valeva per Daniele. Possiamo avere una piena fiducia in Lui, visto che siamo Suoi figli, ma questa relazione nulla toglie al fatto che Egli sia un Dio santo e giusto.

La Lettera agli Ebrei ci ricorda il versetto di Deuteronomio: “Il nostro Dio è anche un fuoco consumante” (Ebrei 12:29). Non dobbiamo avere paura davanti a Dio, ma il timore è un atteggiamento appropriato perché implica rispetto e sottomissione. Non dimentichiamocelo quando ci rivolgiamo a Lui.

(segue)

08 marzo - L’unico vero amore

Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia.

Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli (Cristo) ha dato la Sua vita per noi.

Se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio.

1 Giovanni 3:13, 16, 21

 

L’unico vero amore

(leggere 1 Giovanni 3:13-22)

 

L’odio del mondo verso i credenti non ci deve stupire (v. 13); ci dobbiamo piuttosto preoccupare quando quelli che sono nemici giurati del Signore si dichiarano nostri amici. Quanto all’amore, nella maggior parte dei casi si tratta di contraffazioni perché i moventi sono raramente puri e disinteressati. Il solo vero amore è l’amore di Dio, perché trova la sorgente in Lui stesso e non in colui che ne è l’oggetto. È di questo amore che noi dobbiamo lasciarci amare, ed è la croce di Cristo il luogo dove impariamo a conoscere quanto sia infinito questo amore divino.

I versetti da 19 a 22 di questo capitolo 3 sottolineano la necessità di una buona coscienza da parte nostra, di un cuore che non ci condanni. Se pratichiamo ciò che è gradito al Signore, Egli potrà esaudire le nostre preghiere. “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto” (Giovanni 15:7).

Dei genitori onorati dalla condotta del loro figlio gli accorderanno volentieri le cose che chiede. “Rimanere in Lui” (1 Giovanni 2:6) cioè in Cristo corrisponde all’ubbidienza; “Egli in noi” (1 Giovanni 4:13) è la comunione che ne risulta.

Se immergiamo nel mare un vaso aperto, il suo interno sarà subito bagnato e riempito di acqua. Che anche i nostri cuori siano ripieni dell’amore di Cristo!


venerdì 7 marzo 2025

Eutico (Atti 20:6-12)

L’apostolo Paolo è impegnato in quello che sarà il suo ultimo viaggio missionario. Ha fretta di arrivare a Gerusalemme per il giorno della Pentecoste; decide di “oltrepassare Efeso, per non perder tempo in Asia” (Atti 20:16). Resta, tuttavia, per un’intera settimana a Troas, la città che aveva lasciato a malincuore alcuni anni prima (2 Corinzi 2:12).

Paolo era contento per la compagnia e la comunione fraterna dei servitori del Signore che viaggiavano con lui; erano almeno in sette e anche Luca stava per arrivare. Vogliono approfittare dell’occasione per rompere il pane in quell’assemblea, così aspettano la domenica e ripartono il lunedì.

Vediamo che i discepoli avevano già la bella abitudine di riunirsi, proprio in quel giorno, intorno al Signore, per rispondere al desiderio che Egli aveva espresso la notte in cui era stato tradito (Giovanni 20:19,26). E’ il primo giorno della settimana, che ricorda ai riscattati la risurrezione gloriosa di Colui che aveva sacrificato la vita per loro. Che valore ha per noi il ricordo della morte del Signore? Ne ha molto, oppure siamo negligenti e diamo la priorità ad altre cose?

In quest’occasione particolare, tutti possono approfittare del ministero di Paolo, questo “strumento scelto” (Atti 9:15) al quale Dio aveva rivelato le verità riguardanti la Chiesa, le sue benedizioni celesti e il suo avvenire glorioso.

Nella stanza, al terzo piano, nella quale si erano riuniti i credenti, l’apostolo Paolo continua a parlare fino a mezzanotte; sono, per così dire, lontani dal mondo e assaporano una comunione preziosa, sotto la sola autorità del Signore.

La Scrittura sottolinea che c’erano molte lampade, in evidente contrasto con l’oscurità circostante. Ogni credente è chiamato a far risplendere la luce intorno a sé (Efesini 5:8; Filippesi 2:15), ma anche la Parola (in questo caso l’insegnamento apostolico) fa brillare la sua viva luce (Salmo 119:105), e lo Spirito Santo, che vive nella Chiesa e in ogni credente, illumina la Scrittura e ci aiuta a comprendere il pensiero di Dio (1 Corinzi 2:10). Il mondo è avvolto in dense tenebre morali, ma i riscattati godono del privilegio di vivere nella luce della vita (Giovanni 8:12).

Che benedizione immensa per quei fratelli! Paolo non si tira indietro dall’annunciare tutto il consiglio di Dio (Atti 20:27). Ben volentieri si sacrifica, e si sacrificherà interamente per le anime (2 Corinzi 12:15). Non si riposa mai ma, come raccomanda a Timoteo, il suo amatissimo figlio, predica la Parola, insiste in ogni occasione favorevole o sfavorevole, convince, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza (2 Timoteo 4:2).

Tuttavia, né la sua presenza né gl’insegnamenti, pur elevati, né la gran luce che illumina la sala impediscono che qualcuno sia sopraffatto dal sonno. La Parola non chiarisce la ragione del sonno di Eutico: forse era per il prolungarsi del discorso di Paolo o per il calore delle lampade o per la fatica del giorno… Probabilmente era un po’ tutto questo. Potevano esserci anche dei motivi di ordine morale; e se il caso è questo, è un avvertimento che dobbiamo cogliere riguardo al sonno spirituale ed alle sue conseguenze. Eutico significa “arricchito” o “felice”, e noi lo siamo, se apparteniamo a Cristo, perché le Sue ricchezze insondabili sono nostre. Ricordiamoci, tuttavia, che la conoscenza non deve mai farci diventare presuntuosi.

Questo giovane era seduto sulla finestra: un posto pericoloso, perché la sala si trovava al terzo piano. Qualcuno non avrebbe forse dovuto esortarlo a mettersi al sicuro, per paura che cadesse? (1 Corinzi 12:25). Come ci comportiamo noi se vediamo un fratello o una sorella, per i quali Cristo è morto (Romani 14:15, 1 Corinzi 8,11), mettersi in una situazione pericolosa? L’egoismo e la ricerca dei nostri interessi personali spesso prevalgono. Se si nota in qualcuno un segnale di indebolimento spirituale è il momento di informarsi, con amore, del suo stato (3 Giovanni 2). Se qualcuno non frequenta più regolarmente le riunioni, ad esempio, presto in lui si indebolirà anche l’affetto per Cristo, o addirittura si manifesterà dell’incredulità (Giovanni 20:25). Non restiamo indifferenti verso i nostri fratelli ma, per mezzo dell’amore, veniamoci in aiuto, l’uno all’altro (Galati 5:13).

Seduti sulla finestra, non siamo né ”dentro” né “fuori”. Ci sono tante cose nel mondo che attirano i nostri sguardi e raffreddano il nostro amore per Cristo! Un cuore distratto è un flagello per il cristiano. Se davanti ai nostri occhi non abbiamo unicamente il Signore, la benedizione non sarà piena (Geremia 5:24-25). Occorre avere molta fiducia in sé per avventurarsi in un luogo pericoloso; ma fidarsi delle nostre forze è un grave errore. Pietro era già in pericolo quando diceva al Signore: “Quand’anche tutti fossero scandalizzati, io non lo sarò” (Marco 14:29).

Tutti avevano probabilmente sentito parlare dell’arrivo di Paolo; tutti erano d’accordo nel trovare “le sue lettere severe e forti”. E’ forse per questo che Eutico aveva deciso di essere presente quella sera. Quando decidiamo di andare ad ascoltare un fratello, non pensiamo alla sua abilità di oratore, non  facciamoci attirare dalla novità o dallo stile particolare di qualcuno che “sa suonare bene” (Ezechiele 33:32). Se questo è il nostro scopo e se sono queste le nostre aspettative, non ci si deve sorprendere se qualche volta la presenza fisica di chi parla ci sembra “debole e la sua parola cosa da nulla” (2 Corinzi 10:10), come qualcuno diceva di Paolo.

Troppo in fretta dichiariamo che una riunione è stata noiosa, che non ha edificato… La causa non sarà piuttosto nel nostro stato spirituale? Dio, infatti, si propone sempre di parlare alla nostra coscienza e al nostro cuore. Per noi è davvero un danno non riunirsi intorno al Signore, se non alla domenica mattina e in qualche occasione speciale. Cantiamo volentieri che la Sua presenza è il bene supremo, ma purtroppo alcuni la ricercano poco. La preghiera in assemblea, la lettura e la meditazione della Parola hanno tutte il loro valore, se si svolgono nell’amore per il Signore e avendo Lui come unico centro.

Il discorso di Paolo viene all’improvviso interrotto da un grave incidente: Eutico precipita dal terzo piano! Quelli che stanno fuori ne sono testimoni, quelli che sono dentro restano sconvolti. Il ragazzo era come morto. Il “sonno spirituale” può farci cadere molto in basso. “Dormire un po’, sonnecchiare un po’, incrociare un po’ le mani per riposare… e la tua povertà verrà come un ladro e la tua miseria, come un uomo armato” (Proverbi 24:33). La caduta di Eutico non è avvenuta inaspettatamente. C’erano dei segni d’avvertimento: era stato colto, è ripetuto due volte, da un sonno profondo (Atti 20:9; 1 Tessalonicesi 5:6). L’insegnamento dell’apostolo Paolo richiedeva certamente un’attenzione costante, perché conteneva delle cose difficili da comprendere (2 Pietro 3:15-16). Ma Eutico si stanca e alla fine cade in basso; potremmo dire, in modo figurato, al livello del mondo.

Tralasciando un momento il caso di Eutico e le applicazioni che se ne possono trarre, possiamo dire che un credente non cade mai all’improvviso; forse quelli che lo conoscono sono sorpresi e si chiedono: “Com’è possibile?”. Eppure, se potessimo vedere ciò che Dio vede (Geremia 17:9-10) capiremmo le ragioni di certi crolli morali. Il male lavora in segreto (Giobbe 20:12-13); il vigore spirituale, frutto di una vera comunione con Dio, a poco a poco può inaridirsi “come per arsura d’estate” (Salmo 32:4).

Ricordiamo l’esempio di Davide. Già era un errore il fatto che avesse molte mogli (Deuteronomio 17:17), ma un giorno, oltre alla sua passione con poco controllo, si aggiunge l’ozio. Invece di andare in guerra, egli se ne resta a Gerusalemme, e una sera dalla terrazza vede Bat-Seba e ne è attratto. Sa che è la moglie di Uria l’Ittita, tuttavia commette adulterio con lei. Da quel momento, poiché i peccati vanno spesso in sequenza, quel re, noto per la sua pietà, arriverà all’omicidio del suo fedele servitore, nel vano tentativo di nascondere il suo peccato.

Non dimentichiamo mai che la carne è malvagia, in un credente come in un incredulo; dev’essere tenuta nella morte, là dove l’ha posta la croce di Cristo.

Più un uomo cammina con Dio nella consapevolezza della Sua grazia, più è portato a prendersi cura degli altri nelle loro debolezze.

Tornando al racconto di Atti 20, vediamo qui Paolo che scende subito, si china su Eutico e l’abbraccia (Atti 20:10). Abbiamo anche noi la stessa sollecitudine per le anime che, vicino a noi, hanno bisogno di cure?

Un minuto dopo, Paolo può rassicurare i discepoli: “Non vi turbate, perché è ancora in vita.” La tristezza legata all’imminente partenza dell’apostolo non sarà accresciuta dalla morte di quel ragazzo; anzi, la gioia riempie i cuori di tutti e, fino all’alba, Paolo prosegue nel suo insegnamento.

Non trascuriamo nessun aspetto degl’insegnamenti di Paolo: quello che mette in evidenza la rovina completa dell’uomo e le risorse di Dio: la croce di Cristo nei suoi diversi aspetti, la venuta del Signore per prendere i Suoi, i Suoi giudizi e poi il Suo regno glorioso. Saremo così fortificati, impareremo ad “apprezzare le cose migliori” per essere “limpidi e irreprensibili per il giorno di Cristo” (Filippesi 1:10).

07 marzo - Solo la verità

... la speranza che vi è riservata nei cieli, della quale avete già sentito parlare mediante la predicazione della verità del Vangelo.

Colossesi 1:5

 

Noi non abbiamo ceduto... affinché la verità del Vangelo rimanesse salda tra di voi.

Galati 2:5

 

Solo la verità

 

Guardando un telegiornale, ho visto una scena piuttosto consueta specialmente negli Stati Uniti. Una donna stava in piedi davanti al giudice e ai giurati, e con la mano sulla Bibbia e l’altra alzata faceva un giuramento: “Giuro di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità”. Era una testimone. Il suo compito non era di gonfiare o diluire la verità. Era di dire la verità.

Anche noi cristiani siamo dei testimoni, e come i testimoni in tribunale siamo chiamati a dire la verità. Il mondo che ci osserva è la giuria e noi siamo i testimoni principali. A darci questo ruolo è stato il Signore stesso: “Mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria, e fino all’estremità della terra” (Atti 1:8). Così siamo chiamati a dire ciò che abbiamo visto e udito. E dev’essere tutto vero. Non abbiamo il diritto di abbellire o di stravolgere la verità. Abbiamo il compito di proclamarla.

C’è tuttavia una differenza tra un testimone in tribunale e il testimone di Cristo. Il testimone in tribunale a un certo punto scende dalla sua postazione di testimone e se ne va, mentre il testimone di Cristo resta sempre al suo posto. Questo perché, in un certo senso, in questo mondo incredulo, le verità del Vangelo sono continuamente “sotto processo”, la corte è sempre riunita, e noi restiamo sotto giuramento per tutta la vita.

giovedì 6 marzo 2025

Il vestito

Parliamo dello strano vestito che ho posseduto e indossato per anni. Mi consideravo vestito bene, distinto, elegante nel mio bel completo ed ero convinto che anche gli altri mi vedessero così. I pantaloni erano ritagliati dalla stoffa delle mie buone opere e ne andavo fiero. Molte persone si complimentavano con me, in fondo ero educato e di buona famiglia. Confesso, avevo la tendenza a tirarli un po' su in pubblico, così che le persone li notassero.

La giacca era ugualmente bella, era intessuta con le mie convinzioni e intrecciata con le mie opinioni personali. La sfoggiavo in pubblico, l'avevo creata con le mie mani. La indossavo con orgoglio. Per completare l'abbigliamento avevo un bel paio di scarpe con le quali camminare. Io conoscevo la direzione da seguire, la strada da percorrere e non avevo bisogno di alcuna indicazione.

Poi l'incontro con la Parola di Dio ed è stato quello il momento in cui il mio guardaroba a iniziato a risentirne. La stoffa dei miei pantaloni si assottigliò. Le mie opere buone iniziarono a scucirsi e notai che le pieghe della stoffa non erano più diritte e impeccabili. Che stava succedendo? Era un buco nella mia giacca delle convinzioni- Le maniche erano lise e in poco tempo il vestito era consumato. Provai a ricucirlo ma la stoffa non poteva più reggere. I passi si fecero incerti, non ero più sicuro, le scarpe mi facevano male. Stavo veramente camminando sulla strada giusta? Era quella la direzione?

Il bel vestito si rovinò completamente e mi resi conto di essere nudo, insicuro, indegno e impresentabile. Per fortuna Dio intervenne. Aveva in serbo qualcosa per me, aveva preparato una veste straordinaria intessuta dalla sua bontà, dal suo amore per me. Le sue parole erano stupefacenti  “vi siete rivestiti di Cristo” Galati 3:27. 

Ho idea che qualcuno di voi sappia bene di che cosa stia parlando. Voi stessi indossate un guardaroba fatto da voi. Avete cucito il vostro abito e sfoggiate le vostre opere religiose forse avete già notato uno strappo nel tessuto. Non è un abito capace di coprirvi, non dinanzi agli occhi di Dio.  “E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto” Ebrei 4:13.

06 marzo - 7. “Beati quelli che si adoperano per la pace”

Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Matteo 5:9

 

Il frutto della giustizia si semina nella pace per coloro che si adoperano per la pace.

Giacomo 3:18

 

7. “Beati quelli che si adoperano per la pace”

 

Quando Gesù si presentò ai discepoli, il giorno della risurrezione, disse: “Pace a voi”. Era il saluto abituale a quell’epoca, ma nella bocca del Signore Gesù era ben più di un semplice augurio. Era una realtà, perché Egli è “il Signore della pace” (2 Tessalonicesi 3:16). È Lui che ha “fatto la pace, mediante il sangue della Sua croce” (Colossesi 1:20). Questa “pace con Dio”, che il Signore Gesù ha fatto, è all’origine della pace interiore promessa a quelli che credono in Lui. Essa presenta due aspetti: la pace della coscienza, cioè la certezza di essere perdonati, e la pace del cuore, quel sentimento di fiducia in Dio che si occupa dei Suoi nel loro percorso terreno. Questa pace, sperimentata personalmente, è ben di più dell’assenza di conflitti perché implica riconciliazione e armonia.

Beati quelli che si adoperano per la pace...” Questa felicità riguarda le nostre varie relazioni, in famiglia e nella società. Ciò che permette che la pace permanga fra i credenti non è l’assenza di problemi, ma la capacità di affrontarli e di risolverli nel sentimento della grazia del Signore.

Non possiamo trovare una pace durevole senza giustizia. “Il frutto della giustizia si semina nella pace per quelli che si adoperano per la pace” (Giacomo 3:18). La giustizia senza la pace schiaccia, la pace senza la giustizia soffoca.

Amici cristiani, è cercando di vivere questa pace e questa giustizia che saremo realmente dei “fautori” di pace. 

(il seguito il prossimo giovedì)


mercoledì 5 marzo 2025

Un nome per testimoniare (3)

Tornare a vivere

 

La disponibilità di Rut ad essere usata dal Signore per la consolazione di Naomi ha dato i suoi frutti.

Il racconto arriva ad una svolta quando Rut decise di andare a lavorare per tentare di portare qualcosa a casa da mangiare per lei e per sua suocera:

“Rut, la Moabita, disse a Naomi: «Lasciami andare nei campi a spigolare dietro a colui agli occhi del quale avrò trovato grazia». E lei le rispose: «Va’, figlia mia». Rut andò e si mise a spigolare in un campo dietro ai mietitori; e per caso si trovò nella parte di terra appartenente a Boaz, che era della famiglia di Elimelec” (Ru 2:2-3).

Per caso? C’erano decine e decine di campi in cui Rut sarebbe potuta andare a finire, ma per caso si trovò nella terra appartenente a Boaz, un parente di Elimelec. Mentre gli increduli credono nella fortuna, noi sappiamo che

“Il cuore dell’uomo medita la sua via, ma il SIGNORE dirige i suoi passi” (Pr 16:9).

Gli eventi della vita sembrano casuali ma la Scrittura ci dice che Dio ha ogni cosa sotto il suo controllo. Rut voleva aiutare sua suocera e Dio guidò le cose in modo che ciò potesse avvenire in maniera efficace.

Dio mostrò la sua compassione verso Naomi lasciando che Rut incontrasse Boaz e da qui in poi la storia assume toni completamente diversi. Infatti nel momento in cui si rese conto che Boaz era un loro parente stretto, Naomi realizzò che le cose potevano cambiare:

“E Naomi disse a sua nuora: «Sia egli benedetto dal SIGNORE, perché non ha rinunciato a mostrare ai vivi la bontà che ebbe verso i morti!». E aggiunse: Quest’uomo è nostro parente stretto; è di quelli che hanno su di noi il diritto di riscatto” (Ru 2:20).

Finalmente, dopo tanta amarezza, Naomi rivide uno spiraglio di luce. Capì che il Signore poteva dare un futuro alla sua famiglia proprio usando la sua nuora moabita. Tornò a vivere.

Il fatto che Boaz fosse parente stretto lo rendeva idoneo per essere il riscattatore (o redentore) della famiglia.

Benché esuli dallo scopo di questo articolo, è bene dire qualcosa sulla figura del riscattatore. In Israele, la terra apparteneva a Dio ed egli l’aveva suddivisa tra le varie tribù di Israele comandando che nessuna famiglia si arricchisse nel tempo a scapito di un’altra.

Per salvaguardare questo principio, nella legge ci sono diverse norme che prevedevano tra l’altro il riscatto delle terre di un parente impoverito (Le 25:25) e la cosidetta legge del levirato che serviva a garantire una discendenza ad un uomo che moriva senza figli:

“Se dei fratelli staranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà fuori, con uno straniero; suo cognato verrà da lei e se la prenderà per moglie, compiendo così verso di lei il suo dovere di cognato; e il primogenito che lei partorirà porterà il nome del fratello defunto, affinché questo nome non sia estinto in Israele” (De 25:5-6).

In questo contesto, Boaz, come parente stretto di Elimelec, poteva fare valere il diritto di riscatto sulla terra messa in vendita da Naomi e Rut e, allo stesso tempo, sposare Rut per non lasciare la famiglia senza eredi.

È proprio ciò che accadde nei mesi successivi. Dopo alcune vicende narrate nel libro, Boaz sposò Rut accettando il ruolo di riscattatore della famiglia e il libro si conclude con una Naomi finalmente felice con il suo nipotino in braccio:

“E le donne dicevano a Naomi: «Benedetto il SIGNORE, il quale non ha permesso che oggi ti mancasse uno con il diritto di riscatto! Il suo nome sia celebrato in Israele! Egli consolerà l’anima tua e sarà il sostegno della tua vecchiaia; l’ha partorito tua nuora che ti ama, e che vale per te più di sette figli». E Naomi prese il bambino, se lo strinse al seno, e gli fece da nutrice. Le vicine gli diedero il nome, e dicevano: «È nato un figlio a Naomi!» Lo chiamarono Obed. Egli fu il padre d’Isai, padre di Davide” (Ru 4:14-17).

In questi passi finali del libro vediamo che la consolazione di Dio è finalmente completa e va al di là di ogni aspettativa.

Vengono messi in luce diversi elementi che hanno contribuito a tale consolazione:

• Le donne dicevano “È nato un figlio a Naomi!”, a testimonianza del fatto che l’intera comunità gioiva nel vedere il riscatto di questa donna attraverso la nascita di questo bambino che viene chiamato Obed (servo).

• Obed sarebbe diventato celebre in Israele, fu infatti il nonno di Davide. La Naomi che non aveva speranza sarebbe diventata addirittura antenata del grande re Davide attraverso questo bimbo.

• Il valore di Rut nella vicenda viene riconosciuto anche dalle sue vicine. Naomi aveva perso due figli, ma Rut, la nuora che l’amava, valeva per lei più di sette figli.

• Dio ha provveduto Boaz che ha svolto il prezioso ruolo di riscattatore (una bella figura di Cristo).

• Il Signore viene indicato come colui che ha guidato ogni cosa e ha permesso il riscatto di Naomi.

Colui che era sembrato un giudice cattivo aveva lavorato durante tutto il tempo come un Padre amorevole per dare consolazione a Naomi. Ma questo ha richiesto tempo e ha richiesto la strumentalità di persone come Rut e di Boaz nel lasciarsi usare da Dio a questo scopo.

 

Una Rut per Naomi

Quando mi troverò nei panni di Naomi, se Dio mi sembrerà lontano, posso essere certo che lui non si è mai mosso da lì.

Se esorta i suoi figli a piangere con quelli che piangono, non sarà lui il primo a dare il buon esempio?

Se aveva un piano per ricostruire la vita di Naomi, perché non dovrebbe essere lo stesso per me?

La sofferenza prima o poi ci accompagnerà per un tratto di strada nella nostra vita. Non so fino a che punto è possibile prepararsi ad affrontare le avversità, ma credo che nei momenti sereni della nostra vita dobbiamo approfittare per fare il pieno delle promesse che troviamo nella sua Parola.

Avremo carburante per attraversare il deserto della prova.

Quando sarò tentato di dire: “Chiamatemi Mara”, chiedo al Signore che mi ricordi parole come queste:

“Dio è padre degli orfani e difensore delle vedove nella sua santa dimora; a quelli che sono soli Dio dà una famiglia, libera i prigionieri e dà loro prosperità; solo i ribelli risiedono in terra arida” (Sl 68:5-6).

“Annienterà per sempre la morte; il Signore, Dio, asciugherà le lacrime da ogni viso, toglierà via da tutta la terra la vergogna del suo popolo, perché il SIGNORE ha parlato” (Is 25:9).

 “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21:4). 

Che in quel giorno queste parole siano per me un’ancora di salvezza e non parole dal significato lontano ed incerto!

E che Dio mi dia di riconoscere la Rut che mi ha messo vicino per la mia consolazione.

D’altra parte, quando sarò chiamato ad essere Rut per una Naomi che sta soffrendo, che Dio mi guidi a non giudicarla per la sua amarezza ma ad aiutarla nel riscoprire la dolcezza.

Che io stia zitto, se non ho intenzione anche di ascoltare!

Che io sappia essere “L’amico che ama in ogni tempo, nato per essere un fratello nella sventura” (Pr 17:7)!

05 marzo - Supremo abbassamento

Cristo Gesù… svuotò (o annullò) Se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò Se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato.

Filippesi 2:5, 7-9

 

Supremo abbassamento

 

Gesù Cristo è l’esempio perfetto di umiltà. Il Suo abbassamento, sempre più profondo, ci è così descritto:

– Pur essendo Dio, “annullò Se stesso”, s’è fatto uomo. Era il Figlio unico presso il Padre, era il Creatore, ed è diventato uomo fra gli uomini per essere il nostro Salvatore, senza mai cessare di essere Dio.

– Come uomo, “umiliò Se stesso”. Ha preso l’ultimo posto, s’è fatto servo. Avrebbe dovuto essere un re colmo di onori e di ricchezze, ma ha accettato il rifiuto, l’umiltà e la povertà.

– È diventato “ubbidiente fino alla morte”, quella morte infamante riservata ai peggiori malfattori, che comportava la maledizione su chi la subiva (Galati 3:13). “Egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia” (Ebrei 12:2), Lui, il “Signore della gloria” (Giacomo 2:1).

All’abbassamento totale di Gesù, Dio ha risposto elevandolo al posto d’onore più elevato. “Dio lo ha sovranamente innalzato… affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi 2:9-11). Ma fin da ora i credenti riconoscono la Sua gloria e lo adorano.


martedì 4 marzo 2025

Un nome per testimoniare (2)

Un nome per testimoniare - una triste situazione di vita (2)


Rut: non solo parole

Spesso ci sentiamo in dovere di dire qualcosa a chi soffre come Naomi.

D’altra parte, i credenti, a rigor di logica, dovrebbero essere le persone più adatte a consolare chi soffre, in quanto sono essi stessi oggetto continuo di consolazione da parte di Dio “il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione...” (2 Co 1:4).

Anche su un argomento spinoso come la morte, Paolo dimostra che il credente ha una consolazione da portare:

“Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza.…Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole” (1Te 4:13, 18).

Nella Scrittura ci sono molti passi che sono di vero incoraggiamento per il credente che sta attraversando una prova difficile.

Ma li utilizziamo sempre nel modo giusto e con la giusta sensibilità?

O rischiano di essere freddi enunciati che invece di aiutare il prossimo, creano una barriera ancora più impenetrabile?

“Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve?” (Gm 2:15-16).

Insomma, Non possiamo dire a qualcuno che soffre: “Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi”(Fl 4:4) e poi tornare ai nostri affari come se niente fosse.

Se vogliamo aiutare Mara a ritrovare la dolcezza di Naomi non abbiamo scorciatoie, se non quello di essere solidali con lei.

“Il cuore del saggio è nella casa del pianto; ma il cuore degli stolti è nella casa della gioia” (Ec 7:4).

“Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono. Abbiate tra di voi un medesimo sentimento” (Ro 12:15-16).

Non possiamo aiutare il nostro fratello inondandolo di versetti “dall’alto”. Dobbiamo sederci al suo fianco. Quando è ora di piangere, bisogna avere il coraggio di piangere.

Questo atteggiamento empatico è fondamentale per non fare la fine degli amici di Giobbe che, invece di lenire il dolore del loro amico, lo acuirono. Dio non vide infatti di buon occhio il loro maldestro tentativo consolatorio:

“Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, il SIGNORE disse a Elifaz di Teman: «La mia ira è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe»” (Gb 42:7).

Una semplice dimostrazione di saccenza indispettisce ma l’ammissione onesta di chi si rende conto che non siamo in grado di capire tutto ma confidiamo comunque nel Signore, viene apprezzata da chi soffre.

 

In un passaggio tratto dal libro “Lettere a Malcolm”di C.S. Lewis leggiamo:

“Alcuni anni fa, quando sono stato io a trovarmi in difficoltà, me lo hai anche detto esplicitamente. Anzi, mi hai scritto: «So di restare al di fuori. La mia voce riesce a stento a raggiungerti». E quello fu uno dei motivi per cui la tua lettera fu per me la stretta di mano più vera e sincera di qualsiasi altra che abbia mai ricevuto”.

Lewis dipinge con questa frase la condizione dell’uomo che, con estrema sensibilità, si rende conto di non riuscire a penetrare nel dolore dell’amico e non può fare altro che ammettere questa difficoltà. Questo umile punto di partenza può essere la base per aiutare davvero.

Dobbiamo ricordarci che il credente che soffre, molto spesso, conosce già i versetti che noi utilizziamo per cercare di consolarlo. Ciò che realmente gli manca in quel momento è la lucidità per applicare la Scrittura alla propria particolare situazione.

Il nostro compito quindi non è solo quello di snocciolare versetti ma quello di aiutare il nostro fratello a recuperare la giusta visione delle cose e a riporre la propria fede nel Signore. E questo richiede tempo.

Oggi, in un mondo che va di fretta anche la consolazione viene elargita come il cibo in un fast food. È più comodo recitare dei versetti a memoria piuttosto che dedicare del tempo ad ascoltare davvero qualcuno.

Ma come sarebbe riuscita Naomi a rivedere Dio come un Padre amorevole e non come un giudice?

Non solo attraverso parole frettolose ma attraverso Rut la Moabita che le avrebbe mostrato l’amore di Dio in maniera pratica.

Quando soffriamo, non abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci ricordi che Dio ci ama ma di qualcuno che ci mostri l’amore di Dio per noi.

 

L’empatia di Rut con Naomi è quasi totale:

“Rut rispose: Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io, e là sarò sepolta. Il SIGNORE mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!” (Ru 1:16-17).

Mentre Naomi, nel suo dolore, aveva tentato di allontanare Rut e rimandarla al suo paese, Rut, sopportando le parole amare della suocera, decise di ascoltare la voce del Signore che le indicava il modo più giusto di aiutarla.

Le parole di Rut non sono un semplice enunciato teologico con il quale accettava il Dio di Naomi ma sono parole che dimostrano una trasformazione interiore. Nel momento in cui dichiarò la sua fede nel Dio di Israele, la dimostrò in maniera pratica nel suo solenne impegno con Naomi.

La giovane Moabita Rut poteva rifarsi una vita in Moab ma preferì rinunciare a sé stessa per aiutare sua suocera. E in tale rinuncia anticipa di secoli ciò che il Nuovo Testamento ci insegna sul modo in cui l’amore di Dio ci spinge a operare:

“Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli” (1Gv 3:16).

“La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e conservarsi puri dal mondo” (Gm 1:27).

Dio non operò un miracolo eclatante per consolare la vedova Naomi ma le diede l’amore di Rut.

Dio manifesta sé stesso a chi soffre proprio attraverso altri esseri umani che si lasciano utilizzare come strumenti nelle sue mani.

Quegli esseri umani possiamo essere proprio noi!


(segue)

04 marzo - 2. “Come! Dio vi ha detto...?”

“Ti ho amata di un amore eterno; per questo ti ho attirata con benevolenza”.

Geremia 31:3 (vers. Nuova Diodati)

 

2. “Come! Dio vi ha detto...?”

 

All’inizio della storia del mondo, Adamo ed Eva vivevano nell’innocenza, circondati dalla bontà e dalle cure di Dio. Ma una voce astuta si era fatta udire: “Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?” (Genesi 3:1).

Il serpente, sotto la cui forma il diavolo si era presentato, ha cercato di insinuare il dubbio nel loro spirito. Poi ha aggiunto: “No, non morirete affatto” (v. 4). Ognuno di noi conosce bene quella voce interiore che arriva a influenzare i nostri pensieri, come pure quella che, dall’esterno, viene a sedurci per farci dubitare dell’amore di Dio. Ciò che è all’origine della disubbidienza di Adamo è stato non solo la mancanza di rispetto verso il suo Creatore, ma soprattutto la sfiducia in Lui, il dubbio riguardo al Suo amore e alla Sua parola. Da quando ha disubbidito, l’uomo ha avuto “paura” di Dio e si è nascosto cercando di sfuggire al Suo rimprovero.

Non ci riconosciamo anche noi in Adamo e in Eva quando si nascondono dietro gli alberi del giardino e non vogliono incontrare Dio?

È così che abbiamo perso il contatto con Dio e, consapevoli o no, abbiamo nostalgia di Lui. Come ritrovarlo, dal momento che essendo peccatori siamo incapaci di fare un solo passo verso Lui?

Dio, nel giardino di Eden, ha cercato Adamo: “Dove sei?”, gli ha detto. Anche a te Dio fa questa stessa domanda: “Dove sei?”. Durante le tue attività, le tue occupazioni giornaliere, i tuoi passatempi, dove sei? Lontano da Dio al quale cerchi ancora di sfuggire? Lui ti cerca, ed è pronto a perdonarti in Gesù Cristo perché il Figlio Suo, sulla croce, ha pagato per te, poi è risuscitato, e ora è vivente nel cielo per intercedere per te, ascoltarti, guidarti, mostrarti il Suo amore.

lunedì 3 marzo 2025

Un nome per testimoniare (1)

 Un nome per testimoniare - una triste situazione di vita (1)

 

Naomi arrivò a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo. Era accompagnata da Rut la Moabita, sua nuora.

La città fu commossa per loro, due donne che avevano percorso circa un centinaio di chilometri da Moab a Betlemme, da sole.

Le donne del paese, che non la vedevano da molti anni, si chiedevano l’un l’altra con tono incredulo: “È proprio Naomi?”.

Chissà se Naomi era stata una ragazza dolce come il suo bellissimo nome faceva presagire! Naomi significa infatti “mia dolcezza”.

Forse proprio di quella dolcezza si era innamorato suo marito Elimelec. E insieme avevano scelto di partire per Moab quando a Betlemme era cominciata la carestia.

Avevano lasciato Betlemme, che significa “casa del pane”, per andare a cercare del pane in un paese straniero. Ma a Moab, Naomi non trovò solo pane.

 

Trovò la sofferenza.

Prima perse il marito che la lasciò sola con i suoi due figli. Poi, dopo che entrambi avevano sposato donne moabite, non proprio il genere di nuore che aveva sognato, Naomi perse anche i figli.

Naomi si ritrovò vedova e priva di figli in un paese straniero, in compagnia delle sue due nuore moabite.

Quando aveva saputo che in Giuda il Signore aveva visitato il suo popolo mettendo fine alla carestia, Naomi aveva deciso di tornare a Betlemme.

Entrambe le nuore la accompagnarono ma, dopo un po’ di strada, Naomi era riuscita a convincere Orpa a tornare indietro. Rut invece non ne aveva voluto sapere di andare a cercarsi un altro marito nel suo paese ed era rimasta con Naomi.

Così Naomi era tornata a Betlemme con l’ulteriore peso di dover sistemare la nuora.

Chi, nella piccola Betlemme, si sarebbe preso in moglie quella vedova moabita?

Ecco perché non possiamo biasimarla se, quando le donne si erano rivolte a lei chiamandola Naomi, lei aveva risposto:

“Non mi chiamate Naomi; chiamatemi Mara, poiché l’Onnipotente m’ha riempita d’amarezza. Io partii nell’abbondanza, e il SIGNORE mi riconduce spoglia di tutto. Perché chiamarmi Naomi, quando il SIGNORE ha testimoniato contro di me, e l’Onnipotente m’ha resa infelice?” Rut 1:20-21.

 

“Chiamatemi Mara”.

Nella vita di Naomi non c’era più spazio per la dolcezza. Quel nome alle sue orecchie suonava come una beffa e non voleva più sentirlo.

Mara significa, amara, triste.

In quel momento era il nome che meglio la descriveva.

Quando tutto va a rotoli

Alle orecchie di molti credenti le parole di Naomi suoneranno irrispettose nei confronti del Signore.

Ma piuttosto che biasimarla per le sue parole, se vogliamo imparare qualcosa che può essere utile anche nella nostra vita, dobbiamo provare a metterci nei suoi panni.

Dal suo punto di vista, la situazione era tragica:

• il passato le riportava alla mente i suoi cari che ora non c’erano più,

• il presente le sembrava un peso impossibile da sopportare,

• il futuro appariva senza prospettive e senza speranza.

Dopo tutto ciò che le era successo, Naomi vedeva il Signore più come un giudice che come un Padre amorevole. Più che colui al quale poteva chiedere soccorso, Dio sembrava essere il nemico, l’artefice dei suoi mali.

Si sentiva colpita da Dio e si stava rassegnando ad una vita piena d’amarezza.

Neanche la presenza di Rut sembrava essere un sollievo per lei, infatti al loro arrivo a Betlemme, Naomi dichiarava a tutti di essere tornata spoglia di tutto. Non un solo accenno positivo alla nuora. Forse in quel momento, più che una consolazione, Rut sembrava essere solo un peso che Naomi non era in grado di sopportare. Perché non se ne era tornata al suo paese a rifarsi una vita come aveva fatto Orpa?

Quando tutto va a rotoli, non è facile affrontare la vita in maniera serena e vedere le cose dalla giusta prospettiva.

Nelle sue condizioni, quanti di noi sarebbero stati tanto ottimisti da vedere il bicchiere mezzo pieno?

Non avremmo anche noi pianto sulle nostre disgrazie?

Quando il mondo sembra crollarci addosso non ci viene talvolta da gridare: “Perché proprio a me?”.

Domande come queste spesso non trovano risposta in questa vita e hanno l’unico effetto di logorarci:

“Non dire: «Come mai i giorni di prima erano migliori di questi?», poiché non è da saggio domandarsi questo”(Ec 7:10).

 Come accade a chiunque si trovi nel dolore, in quel momento i suoi occhi non riuscivano a vedere ciò che il Signore le aveva donato, una nuora che si sarebbe rivelata più preziosa di sette figli (Ru 4:15). Naomi vedeva solo ciò che le era stato tolto.

Nella sua infinita grazia, colui che a Naomi sembrava solo un giudice severo, aveva un piano per risollevarla e darle una speranza e le aveva messo vicino Rut per la sua consolazione ma, in quei momenti,  la fede di Naomi era offuscata dalla ragione che le mostrava solo i fatti nudi e crudi: suo marito e i suoi figli non c’erano più.

(segue)

03 marzo - 1. “Sarete come Dio”

Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi.

Ecclesiaste 7:29

 

Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili.

1 Pietro 5:5

 

1. “Sarete come Dio

 

Dio, il Dio infinito e assoluto, ha creato l’uomo a propria immagine e gli ha affidato la gestione della terra. Ma gli ha dato anche una proibizione: non doveva mangiare il “frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male” (Genesi 2:9). Rispettando quel divieto, l’uomo doveva mostrare che dava fiducia al suo Creatore. Quel Dio buono e saggio sapeva che Adamo, se fosse venuto a conoscere il bene e il male, sarebbe stato infelice.

Con quel divieto, Dio ha sottoposto Adamo a una sorta di test di ubbidienza. Se fosse stato fedele in quella “piccola cosa”, lo sarebbe stato anche nelle cose più grandi, e amministrare la terra per conto di Dio, che ne era il legittimo possessore, era una grande cosa. Se disubbidite a Lui, ha insinuato il diavolo, “sarete come Dio” (Genesi 3:5). Attratto da questa prospettiva, l’uomo è caduto nell’inganno del tentatore: l’orgoglio.

Questa vena d’orgoglio e di vanità pulsa spesso in noi, ci spinge a farci valere e a vantarci, ed è causa di molte delle nostre sofferenze e dei nostri conflitti. Peggio ancora, è la causa del nostro allontanamento da Dio. L’orgoglio, radicato ma anche mimetizzato nel nostro cuore, ci rende ipocriti e costituisce un vero affronto all’amore infinito di Dio. Ma anche oggi, a chi riconosce di essere peccatore, la salvezza è offerta! Dio ha sempre la mano tesa verso di noi.

(segue e si conclude domani)

domenica 2 marzo 2025

La purificazione della contaminazione nel cammino giornaliero (3)

Studiando gli ordinamenti e le cerimonie della economia levitica, niente colpisce di più della cura gelosa con cui il Dio d’Israele vegliava sul suo popolo, affinché fosse preservato da ogni influenza corruttrice. Di giorno o di notte, fossero svegli o dormissero, dentro o fuori, in seno alla famiglia o nella solitudine, i suoi occhi erano sopra loro. Egli vegliava sul loro nutrimento, sul loro vestimento, sulle loro abitudini e sui loro assestamenti domestici. Egli li istruiva accuratamente su ciò che potevano o non potevano mangiare, o indossare. Manifestava loro anche distintamente il suo pensiero per quel che concerneva il toccare o il maneggiare le cose. In una parola li aveva circondati di barriere ampiamente sufficienti, se soltanto avessero voluto farvi caso, per evitare la corrente della contaminazione a cui erano esposti da ogni lato.

In tutto ciò vediamo evidentemente la santità di Dio; ma vi vediamo altrettanto chiaramente la Sua grazia. Se la santità divina non poteva sopportare nessuna contaminazione sul popolo, la grazia divina provvedeva ampiamente alla purificazione. Queste cure si manifestano nel nostro capitolo sotto due forme: il sangue espiatorio e l’acqua d’aspersione. Preziose risorse! Se non conoscessimo le immense provviste della grazia divina, i diritti supremi della santità di Dio sarebbero sufficienti per schiacciarci; mentre che essendo accertati della grazia, possiamo rallegrarci con tutto il nostro cuore nella santità. Un Israelita poteva fremere udendo queste parole: «Chi avrà toccato il cadavere di una persona umana sarà impuro sette giorni». E ancora: «Chiunque tocchi un morto, cioè il corpo di una persona umana che sia morta, e non si purifica, contamina la dimora dell’Eterno; e quel tale sarà tolto via da Israele».

Tali parole potevano veramente terrificare il suo cuore. Ma allora le ceneri della giovenca arsa e l’acqua d’aspersione gli presentavano il memoriale della morte espiatoria di Cristo, applicata al cuore dalla potenza dello Spirito di Dio: «Quando uno si sarà purificato con quell’acqua il terzo e il settimo giorno, sarà puro; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà puro»

Notiamo che non si tratta né d’offrire un nuovo sacrificio, né d’una nuova applicazione del sangue. È importante di vedere e di comprendere chiaramente questo. La morte di Cristo non può essere ripetuta. «Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio» (Romani 6:9-10).

Noi siamo, per la grazia di Dio, al beneficio del pieno valore della morte di Cristo; ma, essendo circondati da ogni parte dalle tentazioni e dai lacci ai quali rispondono le tendenze della carne che è ancora in noi; avendo inoltre un avversario potente, sempre all’agguato per sorprenderci e condurci fuori del sentiero della verità e della purezza, non potremmo avanzare un solo istante, se il nostro Dio nella sua grazia non avesse provveduto a tutte le nostre necessità per la morte preziosa e la mediazione onnipotente del nostro Signore Gesù Cristo. Non solo il sangue di Cristo ci ha lavati da tutti i nostri peccati, e riconciliati con un Dio santo, ma «noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto». Egli «vive sempre per intercedere per loro». E «Egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio». Egli è sempre nella presenza di Dio per noi. È là come il nostro rappresentante, e ci mantiene nella divina integrità della posizione e della relazione nelle quali la sua morte espiatoria ci ha posti. La nostra causa non può mai essere perduta fra le mani d’un tale Avvocato. Bisognerebbe ch’Egli cessasse di vivere, prima che il più debole dei suoi santi potesse perire. Noi siamo identificati con Lui, ed Egli con noi.

Or dunque, lettore cristiano, quale dovrebbe essere l’effetto pratico di tutte queste grazie sui nostri cuori e sulla nostra vita? Quando pensiamo alla morte e all’incenerimento — al sangue e alle ceneri — al sacrificio espiatorio e all’intercessione del Sacerdote e dell’Avvocato, quale influenza dovrebbe ciò esercitare sulle nostre anime? Come dovrebbe agire questo pensiero sulle nostre coscienze? Ci condurrà forse a tenere in poco conto il peccato? Avrà forse per effetto di renderci leggeri e frivoli nelle nostre vie? Così non sia! Possiamo essere certi di questo: l’uomo che può vedere nelle ricche risorse della grazia di Dio una scusa per la leggerezza di condotta o la frivolezza di mente, conosce pochissimo o affatto la vera natura della grazia, la sua influenza e le sue risorse. Potremmo immaginarci per un solo istante che le ceneri della giovenca o l’acqua d’aspersione potessero avere per effetto di rendere un Israelita incurante della sua condotta? Certamente no. Anzi il fatto stesso d’una tale precauzione contro la contaminazione doveva fargli sentire quanto fosse cosa seria il contrarre la contaminazione. Il mucchio di ceneri deposte in un luogo netto offriva una doppia testimonianza; testimonianza della bontà di Dio e della natura odiosa del peccato. Dichiarava che Dio non poteva sopportare l’impurità in mezzo al suo popolo; ma pure che Dio aveva provveduto i mezzi per togliere l’impurità. È impossibile che la dottrina benedetta del sangue sparso, delle ceneri, e dell’acqua d’aspersione, possa essere compresa e gustata, senza che produca un santo orrore del peccato in tutte le sue forme corruttrici. E noi possiamo affermare, inoltre, che chiunque ha provato l’angoscia di una coscienza contaminata non può considerare con leggerezza la contaminazione. Una coscienza pura è un tesoro troppo prezioso perché uno se lo lasci rapire con leggerezza; d’altra parte una coscienza contaminata è un fardello troppo gravoso perché, uno se lo indossi alla leggera. Ma, benedetto sia il Dio d’ogni grazia, Egli ha provveduto per ogni nostro bisogno in modo perfetto, e non in maniera da renderci negligenti, bensì vigilanti. «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate». Poi aggiunge: «Se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1 Giovanni 1:1-2).

Ancora una parola sugli ultimi versetti di questo capitolo: «Sarà per loro una legge perenne: colui che avrà spruzzato l’acqua di purificazione si laverà le vesti; e chi avrà toccato l’acqua di purificazione sarà impuro fino alla sera. E tutto quello che l’impuro avrà toccato sarà impuro; e la persona che avrà toccato lui sarà impura fino alla sera» (vers. 21-22). Al versetto 18, abbiam veduto che occorreva una persona pura per fare spruzzamento su quella contaminata; qui vediamo che si contraeva contaminazione nell’atto di spruzzare un altro.

Mettendo insieme queste due cose, impariamo, come qualcuno l’ha detto, «che contaminato è colui che ha da fare col peccato altrui, benché vi tocchi per dovere e a fin di purificare il suo prossimo; non è punto colpevole quanto l’altro, è vero, ma noi non possiamo avere contatto col peccato senza essere contaminati». Impariamo ancora che per condurre un altro a godere della virtù purificatrice dell’opera di Cristo, dobbiamo goderne noi stessi. Chiunque aveva spruzzato altri con l’acqua di aspersione, doveva lavarsi i vestimenti e lavare se stesso con acqua; poi la sera era netto (vers. 19). Possano le nostre anime afferrare bene quest’insegnamento! Possiamo noi vivere abitualmente nel sentimento della purezza perfetta in cui ci ha introdotti la morte di Cristo e nella quale ci mantiene la Sua funzione di Sacerdote.

Non dimentichiamo mai che il contatto col male contamina. Era così sotto la dispensazione mosaica, oggi il medesimo principio permane.

02 marzo - La vera vite

(Gesù disse:) “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo... Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla”.

Giovanni 15: 1, 5

 

La vera vite

 

Come tutti sanno, la vite sopravvive per moltissimi anni, però i suoi tralci vanno potati alla fine di ogni inverno e hanno bisogno di essere curati nel corso dell’anno. La loro potatura consente la longevità della pianta e permette di ottenere uva di migliore qualità.

Nella Bibbia, la vite e i tralci sono una figura di Gesù e di quelli che credono in Lui. Gesù è la sorgente della vita, e i credenti devono restare attaccati a Lui per portare del frutto, per fare ciò che Dio si aspetta da loro. Il Padre è il vignaiuolo, che si prende cura dei credenti affinché questi portino più frutto.

Ogni credente è sottoposto a questo lavoro di “potatura”. Le circostanze difficili della vita fanno parte dei mezzi che il Padre usa per accrescere la nostra capacità di portare dei frutti alla Sua gloria. Il Signore incoraggia i discepoli a restare vicini a Lui, parlandogli con la preghiera, meditando la Sua Parola. È l’unico modo per essere “produttivi” per Dio.

Perché il Signore dice di essere Lui la “vera” vite? Nell’Antico Testamento è scritto: “Portasti fuori dall’Egitto una vite” (Salmo 80:8). Questa vite era Israele, la nazione che Dio aveva fatto uscire dalla schiavitù dell’Egitto e aveva piantato nella terra promessa perché producesse del frutto. Ma quel popolo non ha ascoltato il suo Dio, e non poteva essere chiamato “la vera vite”. Questo titolo è riservato al Signore Gesù. Egli ha detto di essere quella vite mentre era sul punto di offrire Se stesso sulla croce. Sacrificando la propria vita, è diventato la sorgente di ogni “linfa” vitale per tutti quelli che lo amano e lo seguono.

sabato 1 marzo 2025

01 marzo - A chi cercate di piacere?

Cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo.

Galati 1:10

 

Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?

Giovanni 5:44

 

A chi cercate di piacere?

 

Un giovane musicista molto dotato, allievo di un famoso violinista, si esibì per la prima volta. La sua brillante esecuzione fu meritatamente molto applaudita. Ma il giovane talento non sembrava apprezzare tutti quegli applausi, quasi non ci faceva caso. Lui era intento a osservare la reazione di un anziano, seduto in prima fila; e fu soltanto dopo che questi si alzò e inclinò dolcemente il capo verso di lui che un ampio sorriso gli rischiarò il viso. Era il suo maestro, che con quel semplice gesto gli aveva espresso la sua approvazione. Soltanto questo contava per lui.

E noi, di chi cerchiamo l’approvazione? L’eccessiva cura della nostra “immagine” di fronte agli altri rischia di farci trascurare il solo apprezzamento che conta, quello di Dio. Abbiamo tutti la tendenza a cercare di essere benvisti e apprezzati nella nostra cerchia. Sovente diamo troppa importanza all’opinione degli altri. Se il male che è detto di noi desta la nostra suscettibilità e il bene il nostro compiacimento, dimostriamo di essere sotto l’influenza di ciò che gli altri pensano e di come ci giudicano.

Gesù Cristo, quando viveva sulla terra, non ha mai cercato di essere “benvisto”. Al contrario di quelli che perseguono la popolarità a tutti i costi, ha sempre dichiarato la verità anziché cercare di compiacere agli altri, fino al punto che finì con l’essere condannato a morte. Ma che approvazione ricevette da parte di Dio Padre! Dio lo risuscitò e lo fece sedere alla Sua destra sul Suo trono, “coronato di gloria e di onore” (Ebrei 2:7).