Luca 24
Nell’ultimo capitolo del suo Evangelo, Luca ci riporta alcuni avvenimenti del giorno della resurrezione del Signore. Fra i molti dettagli istruttivi che contiene, ci soffermeremo su tre punti essenziali il cui insegnamento è atto ad aiutarci e incoraggiarci nel cammino della fede. Ricordiamo prima di tutto, a grandi linee, quello che è trattato in questo capitolo.
Al mattino del primo giorno della settimana, molto presto, alcune donne – di cui Luca menziona espressamente i nomi (v. 10) – si recano al sepolcro, lo trovano vuoto e questo le turba profondamente. Appaiono due angeli che portano loro il glorioso messaggio: “Egli non è qui, ma è risuscitato” (v. 6). Vanno allora dai discepoli e raccontano quello che hanno visto. In un primo momento essi non le credono, tuttavia Pietro corre al sepolcro dove vede soltanto le fasce che avevano avvolto il corpo del Signore e se ne ritorna pieno di stupore (v. 12).
Il pomeriggio di quello stesso giorno due discepoli se ne vanno, profondamente scoraggiati e abbattuti, verso un villaggio di nome Emmaus (v. 13). Mentre sono in cammino, un uomo si avvicina e inizia a camminare con loro. È il Signore Gesù stesso, ma i loro occhi sono impediti a tal punto che non lo riconoscono (v.16). Luca riferisce in dettaglio la loro conversazione. Il Signore riscalda i loro cuori e anche li fa ardere. Finalmente, nella casa dove lo hanno fatto entrare, lo riconoscono come Gesù risuscitato, ma Egli diviene invisibile ai loro occhi (v. 31). Tornano subito a Gerusalemme e rendono la loro testimonianza ai discepoli radunati insieme: “il Signore è veramente risolto”.
All’istante il Signore stesso compare in mezzo a loro (v. 36). Il Signore fa constatare la realtà della Sua risurrezione e spiega loro che tutte queste cose dovevano avvenire, poiché le Scritture, già da molto tempo, l’avevano annunciate. Poi da loro una nuova missione. Dal momento in cui avranno ricevuto lo Spirito Santo, dovranno andare a predicare a tutte le nazioni “il ravvedimento per il perdono dei peccati” (v. 47).
Alla fine del capitolo, Luca descrive la scena commovente che ha avuto luogo a Betania al momento in cui il Signore lascia i Suoi e ascende al cielo, lasciando sulla terra dei discepoli con il cuore pieno di gioia.
Il Signore presente ovunque.
Torniamo ai due discepoli che lasciavano Gerusalemme per andare a Emmaus. Il motivo che li ha portati a seguire questo cammino erano la delusione e lo scoraggiamento e, come il Signore dirà in seguito, la ragione più profonda era la loro incredulità ma nella Sua grazia il Signore si avvicina per camminare con loro.
Egli cerca prima di tutto di guadagnare la loro fiducia essendo per loro uno sconosciuto. Quanto è commovente per i nostri cuori vedere come il Signore sa venire incontro a delle anime in difficoltà! I due viaggiatori raccontano le circostanze appena vissute e ricordano come la loro speranza relativamente alla liberazione d’Israele sia svanita. Allora il Signore mette il dito nella piaga perché capiscano che la causa della loro afflizione è da ricercarsi in loro stessi; erano “lenti di cuore” a credere tutto quello che la Scrittura aveva detto (v. 25) . Certamente avevano creduto ad alcune “cose che lo riguardavano”; tutti i discepoli erano convinti che Egli fosse il Messia promesso ma il fatto che il Cristo doveva prima soffrire e che solo in seguito apparirebbe in gloria, i loro cuori non lo avevano afferrato, benché questo fosse contenuto nelle Scritture e che il Signore stesso ne avesse parlato ai discepoli in maniera chiara e a più riprese (cfr. 18.31-34). È questo che ora spiega loro “in tutte le Scritture”.
Arrivati a destinazione lo pregano di entrare in casa con loro: “Rimani con noi perché si fa sera” (v. 29). Il Signore non può e non vuole sottrarsi a questo desiderio. Quando sono insieme a tavola, prende il pane, rende grazie e avendolo rotto lo distribuisce loro; è allora che lo riconoscono. Non è la “frazione del pane” come noi possiamo realizzarla oggi quando siamo riuniti in assemblea alla tavola del Signore ma questo porta i nostri pensieri all’istituzione di questo memoriale, ed è palesemente quello che questi due discepoli hanno provato. (E' POSSIBILE MA MI SEMBRA PIU PROBABILE CHE QUEL GESTO DI COMUNIONE FOSSE LORO FAMILIARE...)
Questo racconto è pieno di istruzioni per noi. Prima di tutto è un grande incoraggiamento vedere che dopo la Sua resurrezione Gesù era non solo lo stesso di prima della Sua morte ma anche il Maestro sempre paziente e pieno di grazia tanto che ha invitato i due discepoli a confidargli quello che li preoccupava, così come fa ancora oggi. Egli conosce il nostro dolore per la perdita di un nostro caro; conosce i problemi che incontriamo nella nostra vita professionale e le preoccupazioni per la famiglia. Conosce anche, e questo non è il minore dei soggetti della sofferenza, tutte le difficoltà che sorgono nella vita dell’assemblea. Apriamo a Lui tutto il nostro cuore.
Il grande insegnamento che possiamo trarre da questo racconto è la realtà della presenza costante del Signore nella nostra vita. Qualcuno forse obbietterà: Egli non è più personalmente quaggiù. È vero ma ricordiamoci di quello che ha detto ai Suoi discepoli quando annunciava la Sua partenza verso il Padre: “Io non vi lascerò orfani; tornerò da voi” (Gv. 14:18). Il Signore ha mantenuto questa promessa e, dopo cinquanta giorni dalla Sua resurrezione, ha mandato lo Spirito Santo , questo “altro Consolatore” per essere con noi per sempre. In tale maniera possiamo essere certi della Sua costante presenza e aggrapparsi ad essa con piena fiducia. È stato un Signore e Maestro presente e vivente, non solo per i suoi discepoli dopo la Sua resurrezione, ma lo è per sempre per tutti i figli di Dio.
RIPETO LA NOTA ESPRESSA IN ALTRO ARTICOLO APPENA RILETTO E CIOE' che confinare questa promessa alla discesa dello Spirito Santo non mi soddisfa molto.
Camminare per fede e non per visione.
La sera della Sua resurrezione il Signore è entrato in casa con i due viaggiatori per mangiare con loro tuttavia è avvenuta una cosa del tutto inattesa: il Signore “scomparve dalla loro vista” (v. 31) eppure era entrato “per restare con loro” (v. 29). La loro gioia di avere nuovamente il Signore con loro era stata turbata da questo fatto? Assolutamente no! Malgrado la sera si avvicini, tornano immediatamente a Gerusalemme con i loro cuori gioiosi per tutto quello che avevano udito e visto. Trovano insieme “riuniti gli undici e quelli che erano con loro” (33). La notizia della resurrezione del Signore doveva essersi divulgata rapidamente e i discepoli potevano ben essere radunati insieme per intrattenersi su tutto quello che era avvenuto.
Il fatto che il Signore scompaia all’improvviso davanti agli occhi dei discepoli ci mostra una importante verità: e una illustrazione di quello che Paolo insegnerà più avanti quando scrive: “camminiamo per fede e non per visione” (2 Co. 5:7). L’ultima sera prima della Sua morte, il Signore, aveva detto ai Suoi discepoli nella sala al piano di sopra: “il vostro cuore non sia turbato, abbiate fede in Dio , e abbiate fede anche in me” (Gv. 14:1). Stava per lasciare i Suoi per tornare al Padre e per questo motivo essi dovevano credere in Lui . Se ne andava per essere, come il Padre, un oggetto per la loro fede. Quando il Signore, qualche settimana più tardi è stato elevato in cielo e “tolto dai loro occhi” è iniziato per i discepoli – e anche per noi – il tempo in cui il Signore Gesù può essere visto e afferrato solo per fede. Nel tempo attuale, mentre il Signore è nel cielo, lo vediamo soltanto con gli occhi del cuore, aspettando il giorno in cui lo vedremo con gli occhi del nostro corpo glorificato. Allora “lo vedremo come Egli è” (1 Gv. 3:2).
L’attendibilità della parola divina.
In questo capitolo, Luca menziona molti riferimenti alle dichiarazioni del Signore e alle Scritture. Il mattino presto, gli angeli ricordano alle donne spaventate: “ricordate come egli vi parlò quand'era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell'uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare” (v. 6-7). Nessuno aveva capito queste parole. Durante il cammino verso Emmaus con i due discepoli, “aprendo le Scritture” il Signore “spiegava loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (v. 27). Alla sera, quando il Signore è in mezzo ai suoi discepoli radunati, ricorda loro quello che aveva già detto in precedenza: “Queste sono le cose che io vi dicevo quand'ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi” e aggiunge poi: “Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno” (v. 44-46).
Con queste parole, il Signore pone il suo suggello sull’affidabilità e autenticità della Scrittura. Non si accontenta di convincere i discepoli della realtà della Sua resurrezione, ma vuole far loro capire – e anche a noi come a loro – che dobbiamo dare fiducia alla Parola scritta. Questa è la parola di Dio che sostiene la nostra fede ed è il garante della nostra sicurezza eterna. È anche la luce per il nostro cammino, particolarmente necessaria nei giorni di tenebre che stiamo vivendo oggi.
Incoraggiamoci ad amare la Parola e ad onorarla; consideriamola come un prezioso tesoro e mettiamola in pratica; vi sarà una immensa benedizione riservata per noi. “Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate, e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù “ (2 Ti. 3:14-15).