(leggere Isaia capitolo 3)
In questo capitolo viene presentata la grande rovina nella quale sono cadute Gerusalemme e Giuda. Dio comincia questo giudizio sempre dalla sua casa. Sarà anche il caso della cristianità professante (1 Pietro 4:17). Il completo fallimento dell’uomo si nota specialmente in quelli che hanno delle responsabilità e occupano una posizione elevata. Dio toglierà loro ogni appoggio e in quel tempo vi sarà carenza di nutrimento e non vi sarà più niente per togliersi la sete. Inoltre, nonostante gli insegnamenti di Dio, l'indovino e l'abile incantatore, (letteralmente: “coloro che sono abili nel sussurrare”) hanno un posto in mezzo al popolo (vers. 2 e 3).
Non vi sarà più un “giudice” che faccia giustizia .Verrà a mancare l'esperienza dell'anziano, l'abilità del prode, ma i “bambini” (senza esperienza e maturità) useranno autorità e domineranno. Sarà un tempo d'insolenza senza alcun riguardo per il valore “il giovane sarà arrogante con il vecchio, l'infame contro colui che è onorato” v.5
Perché è accaduto tutto questo?. Perché Gerusalemme è caduta? Il ver. 8 ci conduce alla causa principale di questo crollo e questa è una causa spirituale: “le loro opere sono contro il Signore” v.8.
In loro non vi è alcun senso di colpa. Anzi: “proclamano il loro peccato, come Sodoma; non lo nascondono” v.9. Il peccato non è più peccato, fa parte solamente della nuova moralità. “Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro!” Isaia 5:20.
Queste parole dovrebbero farci riflettere perché segno evidente di decadimento morale di questi ultimi anni è proprio la tendenza a sminuire la gravità del peccato e a giustificare il male. Eppure il male è male e Dio odia il male. Se non siamo più capaci di chiamarlo per nome e abbiamo perso il coraggio e la volontà di condannarlo, scivoliamo su una china da cui non risaliremo più.
Ma Dio sa fare la differenza tra il giusto e il malvagio (vers. 10 e 11) e rende ad ognuno secondo le proprie opere. «Quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà», conferma Galati 6:7. Lo vogliamo o no, ciascuno di noi, al presente sulla terra, vi semina... qualche cosa. Vedremo un giorno la mietitura! Ma, non inganniamoci: essa sarà inevitabilmente della stessa natura del seme che spargiamo oggi. Che sorta di opere seminiamo noi, voi e io?
I versetti 18 a 23 vi insegnano, ragazze (e anche ragazzi!), che le raffinatezze della moda non datano dal nostro secolo. Vi è forse qualcosa di più insopportabile — e ad un tempo di più ridicolo (vedete fine del vers. 16) — di questa grande preoccupazione della propria persona, questa ricerca dell’attenzione e dell'ammirazione altrui? Tutti quegli accessori di abbigliamento e quei fronzoli, Dio sembra riunirli senza riguardo sotto una stessa etichetta: «la bruttura delle figliuole di Sion» (cap. 4:4). Si vuol forse dire che una cristiana non debba vegliare sul suo abbigliamento? Al contrario! e la Parola le insegna anche il modo di farlo (vedere 1 Timoteo 2:9 e 10; 1 Pietro 3:2 a 6).
Ciò che l’Eterno dà al suo popolo alla fine della sua storia ricorda le cure del principio (paragonare vers. 5 con Esodo 13:21 e 22). Come per affermargli: Non ho mai cessato d'aver gli occhi su te!
Qui termina la prefazione del libro. Essa ci ha mostrato la rovina morale di Giuda e di Gerusalemme, i giudizi che le colpiranno, ma anche il loro ristoramento e la gloria di Cristo (il Germoglio dell’Eterno, sorgente e potenza di vita: vers. 2) quando quella dell'uomo avrà avuto fine.