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martedì 9 gennaio 2024

Due esempi importanti

Giuseppe, figlio di Giacobbe, e Davide sono due personaggi eminenti nei racconti del Vecchio Testamento. Cinque secoli di storia li distanziano eppure il contesto nel quale vissero e alcuni avvenimenti eccezionali li accomunano sorprendentemente.

Giuseppe nomade, Davide no. Ma tutti e due pastori. L'uno e l'altro timorati di Dio, rispettosi verso il padre, affezionati ai loro fratelli che non ricambiavano l'affetto. Tutti e due, ad un certo momento della loro storia, dopo grandi sofferenze, innalzati fino alla vetta della piramide sociale: vicerè dell'Egitto Giuseppe, re d'Israele Davide.

Ma c'è un episodio singolare che li accomuna, nel quale emerge con evidenza la loro somiglianza col Messia, il loro ruolo di figure del Cristo, sebbene pallide, nella rivelazione biblica.


"Va' a vedere se i tuoi fratelli stanno bene"

Giuseppe, ancora molto giovane, è mandato dal padre in cerca dei suoi fratelli per vedere se stavano bene e se tutto andava bene col gregge (Ge. 37:14). Animato da un amore sincero, Giuseppe ubbidisce e intraprende un viaggio lungo e pericoloso, complicato dal fatto che i fratelli non si trovavano nel posto dove avrebbero dovuto essere. Finalmente li trova, ma un orrendo complotto è già tramato contro di lui. Odio, crudeltà, indifferenza, tutte le peggiori manifestazioni della natura umana, si scatenano contro quel giovane fratello innocente e sensibile.

Anche il Signore fu mandato dal Padre. Iniziò la sua missione con le parole "Ecco, io vengo!" e la concluse dicendo "Io ti ho glorificato sulla terra avendo compiuta l'opera che tu mi hai dato da fare" (S. 40:7, Gi. 17:4). Veniva dai suoi fratelli Giudei, per liberarli dall'oppressione e "guidare i loro passi verso la via della pace" (Lu. 1:79) e "non è stato ricevuto". "Quando vi fu dato nelle mani - dirà Pietro - voi inchiodandolo su una croce lo uccideste" (At. 2:23). "Sono divenuto un estraneo ai miei fratelli" dice la profezia di un Salmo (69:8). 

A differenza del Signore, Giuseppe non fu ucciso; il resto della sua vita, la sua gloria dopo l'infamia, completa magistralmente la sua somiglianza col Cristo risorto e glorificato. 


"Vedi se i tuoi fratelli stanno bene"

Anche Davide è pastore e anche lui riceve dal padre una missione da compiere, il cui scopo è affine a quello di Giuseppe: "Vedi se i tuoi fratelli stanno bene e riportami un segno da parte loro" (1 Sa. 17:18). I fratelli erano arruolati nell'esercito di Saul e dovevano affrontare i Filistei, capeggiati da Goliat, un gigante apparentemente invincibile. La sconfitta era quasi certa. Disonore e disprezzo erano riversati ogni giorno sul Dio e sulle schiere d'Israele.

Ed ecco che Davide sopraggiunge. S'informa, ascolta, riflette, e un santo zelo per l'Eterno e per il suo popolo si risveglia in lui. Dice: "Chi è questo Filisteo che osa insultare le schiere del Dio vivente?" (v. 26); ma il suo fratello maggiore si adira contro di lui (v. 28), lo disprezza, lo insulta, invidia il suo coraggio, cerca di demolire le sue buone intenzioni.

Così è avvenuto al Signore. E' sceso in mezzo al suo popolo schiavo del nemico, mansueto ed umile di cuore ma rivestito di tutta la potenza per liberarlo e rendere il nemico impotente; ed è accolto con disprezzo.

Anche qui, come nel caso di Giuseppe, Davide non muore. Vince contro il gigante, libera il popolo e, dopo un certo tempo, salirà sul trono come è avvenuto del Signore. Ma Lui, il Cristo, ha dovuto morire per vincere, perché è per mezzo della croce che "ha spogliato i principati e le potenze, e ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro" (Co. 2:15). Si è fatto uomo ed è venuto fra noi per "distruggere con la sua morte colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita" (Eb. 2:14-15).


Giuseppe e Davide hanno amato i loro fratelli e ubbidito al loro padre. Per amore hanno messo a repentaglio la loro vita. Riflettendo su questi due episodi una domanda s'impone: Quanto amore abbiamo per i nostri fratelli? Ci interessiamo della loro salute fisica e spirituale? Siamo disposti a rinunciare a qualche agio, o affrontare qualche rischio, per andare incontro a loro come hanno fatto Giuseppe e Davide? In certo senso ognuno di noi è "il guardiano" di suo fratello, ruolo che Caino aveva tragicamente rifiutato (Ge. 4:9). Forse non arriveremo a dover dare la nostra vita per i fratelli (1 Gi. 3:16), anche se molti l'hanno fatto, per esempio accettando di essere uccisi per non aver voluto rivelare i nomi di altri credenti in momenti di persecuzioni. 

E' bene tenere in grande stima quei fratelli e quelle sorelle che fanno visite, che si mettono a disposizione della famiglia dei credenti, che con saggezza e discrezione si interessano dei problemi degli altri, che degli altri condividono gioie e dolori, e suscitano "grande gioia" (At. 15:3). E' doveroso pregare per loro; essi realizzano per il bene della fratellanza quella che Giacomo definisce "la religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre" (1:27).