Gesù rispose loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, bensì i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori a ravvedimento”
Luca 5:31.
Partiamo da questa figura usata dal Signore Gesù quando era seduto alla tavola di Levi, il pubblicano. Immaginiamo un malato che conosce bene il proprio stato, che soffre terribilmente, ma che non sa a che medico rivolgersi, né che medicina assumere. E poi immaginiamone un altro che ha sentito parlare di un bravissimo specialista che prescrive una medicina molto efficace, ma che non va da quel medico e quindi non usa quella terapia perché ritiene di non averne ancora bisogno. Quale dei due guarirà? Nessuno, evidentemente. Il secondo è condannato tanto quanto il primo.
Ora, cosa c’è di più grave della malattia dell’anima che si chiama “peccato”? Il peccato colpisce tutti senza distinzione, e nell’atteggiamento della maggior parte delle persone possiamo riconoscere le due categorie di “malati” che abbiamo preso ad esempio. Dio fa conoscere all’uomo il proprio stato e rivela il suo amore, ma questo non impedisce che molti siano ancora come il primo malato. Sono consapevoli di essere peccatori, hanno paura di morire perché intuiscono che dopo ci sarà una resa dei conti, ma ignorano tutto del Salvatore e della grazia di Dio. Altre, invece, e metterei in questa categoria molti figli di genitori cristiani, conoscono bene il Vangelo e sarebbero capaci di recitarne tanti brani, imparati a memoria nelle scuole domenicali; la croce, l’efficacia del sangue di Gesù, l’inutilità delle opere per essere salvati, sono nozioni familiari. Ma cosa manca loro? La consapevolezza della propria miseria. Conoscono la medicina, ma non la malattia.
Indubbiamente, aver ricevuto un’educazione cristiana ha costituito, per quelli di noi che hanno avuto o hanno questo privilegio, una salvaguardia contro i peccati più grossolani. Dio ci ha “circondati di un riparo” (Giobbe 1:10) che ci ha impedito di commettere tanti peccati nei quali ci avrebbero fatto cadere le nostre tendenze naturali. Così per molti figli di credenti, avendo rispetto ad altri meno colpe da confessare, anche se la loro natura di peccato è uguale a quella di tutti gli uomini, il pentimento sembra meno necessario e provano, forse inconsciamente, un certo sentimento di superiorità. Alcuni reagiscono come il figlio maggiore della parabola di Luca 15; non sono andati nel paese lontano a dilapidare i beni del padre con cattive compagnie, non hanno lavorato fra i maiali, nella sporcizia e nella fame, ma hanno avuto un comportamento corretto, onesto, serio. Eppure, finché non si pentiranno, non riceveranno nulla di tutte le belle cose che la grazia del padre concede al figlio prodigo pentito; non conosceranno la bella “veste” di giustizia, né l’anello, figura dell’appartenenza alla famiglia, né i sandali, simbolo di un cammino in una vita nuova; soprattutto non conosceranno la pace del perdono del padre nella gioiosa comunione con lui.
Allora, qualcuno potrebbe porsi una domanda: poiché questo è il vantaggio di chi prima era uno sviato, un disonesto, un corrotto, non potrebbe essere utile fare qualche esperienza di che cos’è il male per essere meglio in grado di capire e afferrare la grazia di Dio? Paolo prevede questo ragionamento empio, ma subito esclama: “No di certo!” (Romani 6:1). Per un malato non è necessario, anzi è molto pericoloso, aspettare che il male si aggravi e lo porti in punto di morte, prima di iniziare una terapia. Se il paziente ha fiducia nella diagnosi del suo medico, non aspetterà, per incominciare il trattamento, di provare violenti dolori o di constatare sintomi allarmanti, perché in quel caso potrebbe essere troppo tardi.
Anche in campo spirituale vi sono due modi di conoscere il peccato: con l’esperienza fatta in compagnia di Satana, o per la fede, nella compagnia del Signore Gesù. Dio, nella sua Parola, mi istruisce sullo stato di peccato della mia natura. Se io credo alle sue dichiarazioni, non avrò bisogno di toccare con mano gli orrori del peccato. Come, per fede, afferro quanto dice la Scrittura riguardo a Cristo e alla sua opera di grazia, così, anche per fede, accetto ciò che la stessa Parola dichiara riguardo al mio stato di peccatore colpevole davanti a Dio e perduto. Solo così la mia conoscenza sarà completa: le due facce della verità si illuminano una con l’altra: la perfezione di Cristo risponde alla mia rovina morale, la sua misericordia alla mia miseria, la sua giustizia alla mia iniquità, la sua vita al mio stato di morte. Conosco il rimedio divino, ma anche la mia malattia. E nella misura in cui comprenderò la gravità del peccato, comprenderò il valore infinito della grazia e dell’amore di Dio.
Ecco come mi istruisce la Bibbia riguardo al peccato.
- Con dichiarazioni riguardanti il cuore dell’uomo (leggere Genesi 8:21; Isaia 1:5,6; Geremia 17:9; Marco 7:20 a 23, ecc.).
- Con esempi di cadute di molti personaggi e soprattutto del popolo d’Israele.
- Con la rivelazione delle Sue sante esigenze in presenza delle quali diventa evidente la nostra incapacità.
- Soprattutto con la vita del Signore Gesù sulla terra, in perfetto contrasto con tutto quello che noi siamo per natura. Non posso leggere il racconto della sua vita senza dire a me stesso: Lui è tutto quello che io non sono e io sono tutto quello che Lui non è!
Se dopo quello che Dio mi ha detto io mi facessi ancora l’illusione che nel mio cuore naturale vi possono essere delle buone cose, questo non sarebbe altro che incredulità. Forse senza rendermene conto, farei Dio bugiardo e mi esporrei a due gravi conseguenze:
1. Sottovalutare le insidie di Satana, per eccesso di fiducia in me stesso, e finire col conoscere umilianti cadute, come è accaduto a Pietro nel cortile del sommo sacerdote.
2. Sottovalutare la grazia di Dio perché la mia educazione cristiana, il mio passato onorevole, il mio comportamento soddisfacente, costituirebbero per me un vanto. L’orgoglio per la mia propria giustizia mi farebbe ritenere di aver meno bisogno di un altro di essere perdonato e, di conseguenza, amerei meno il Signore, perché “colui a cui poco è perdonato (o che pensa che sia così!), poco ama” (Luca 7:47).
Il Signore ci aiuti ad apprezzare sempre di più la sua grazia sovrabbondante, e a vederci così come siamo per vedere meglio come Lui è!
J. Koeklin