“Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile” 1 Corinzi 9:25.
Sulla prima pagina di un noto quotidiano spiccava la notizia della morte di un giovane esperto di sport estremi che è morto gettandosi giù da un alto monte con una tuta alare. Non è finzione, ma realtà; un’impresa che è costata la vita già a diverse persone.
Abbassando lo sguardo sulla mia Bibbia aperta, leggo la storia di un altro uomo che rischia la vita. Ma non si lancia dall’alto di un monte, di fronte a una folla di fotografi e di persone plaudenti; egli si trova in mezzo a una folla ostile e violenta che sta per lapidarlo.
Ho cercato di capire perché l’uomo ritratto nell’immagine ha rischiato la vita. Era l’ambizione di riuscire dove altri avevano fallito? Oppure la pura eccitazione di spingersi al limite estremo?
Non lo so. Ma so perché l’altro uomo, uno dei primi cristiani, di nome Stefano, era disposto ad affrontare l’ingiustizia e la morte. Non era un temerario né qualcuno a cui piaceva il brivido, ma un devoto seguace di Cristo che riteneva un privilegio morire come testimone del suo Signore e Salvatore.
Nel primo caso, la sua telecamera ha filmato il suo ultimo attimo di gloria e di trionfo. Anche Stefano morì. Ma nel momento della morte i cieli si aprirono ed egli vide la gloria di Dio. La sua non fu l’eccitazione di un attimo, ma la gioia dell’eternità; alla fine, la gloria e l’amore di Cristo sostituivano l’odio degli uomini. La morte fisica lo fece entrare nella vita eterna, e la sconfitta fu inghiottita dalla vittoria.