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venerdì 10 ottobre 2014

10 Ottobre

Io ti chiedo due cose:…Allontana da me vanità e parola bugiarda; non darmi né povertà né ricchezze, cibami del pane che mi è necessario, perché io, una volta sazio, non ti rinneghi e dica: “Chi è l’Eterno?” Oppure, diventato povero, non rubi, e profani il nome del mio Dio.
Proverbi 30:7-9

Non darmi né povertà né ricchezze


Troviamo queste parole di Agur nel capitolo 30 del libro dei Proverbi. Quest’uomo dice di se stesso di essere stupido e di non aver intelligenza. È umile, senza pretese e chiede a Dio di preservarlo sia dalla povertà che dalle ricchezze.
Il motivo della sua prima richiesta  non è il proprio benessere; Agur sa che la miseria potrebbe trascinarlo a concupire o anche a rubare i beni degli altri e desidera essere preservato da questo peccato davanti a Dio.
Ma perché non volere la ricchezza? Potrebbe anche essere una benedizione divina! Agur vede con lungimiranza e chiarezza. Sa che, in una situazione d’abbondanza, corriamo presto il rischio d’avere il sentimento che tutto ci appartiene, che tutto ci è dovuto e che, grazie alla nostra intelligenza, abbiamo ottenuto ciò che possediamo. Il saggio Agur ha paura di arrivare al punto di dimenticare Dio, di non farlo più entrare nella sua vita.
Alla saggezza di Agur si collega l’esortazione dell’apostolo Paolo: “Ai ricchi in questo mondo ordina di non essere d’animo orgoglioso, di non riporre la loro speranza nell’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che ci fornisce abbondantemente di ogni cosa perché ne godiamo” (1 Timoteo 6:17).

Chiediamo a Dio tale saggezza e sobrietà, e pensiamo al nostro modello, Gesù Cristo che, “essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventare ricchi” (2 Corinzi 8:9).